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Blockchain: una tecnologia su cui le aziende devono puntare. Ecco perché

Non solo bitcoin… L’interazione con il digitale attraverso il proprio wallet diventerà sempre più centrale nell’esperienza del consumatore. Eppure, troppe aziende italiane stentano a cogliere i vantaggi di questa nuova tecnologia. E le regole non sono ancora granché chiare

Si scrive blockchain, si legge metaverso. La tecnologia ormai non nuova ma di cui il mondo produttivo pare accorgersi solo in tempi recenti, è un mattoncino su cui si stanno costruendo mondi teori­camente infiniti, terre di frontiera che vengono già oggi colonizzate dai business più coraggiosi. Il binario su cui si muove questo svilup­po è la decentralizzazione e lo scenario in cui tutto accade è il web 3.0. Difficile? Sì e no. Certamente è un bel salto concettuale visto nel suo complesso, ma il sistema si basa su concetti che applichia­mo anche nel mondo analogico. Vediamone alcuni.

Blockchain non è altro che un registro pubblico in cui vengono an­notate le operazioni effettuate, ma ciascuna criptata e non modifi­cabile. I Token (Fungible o Non Fungible) sono rappresentazioni di un valore, come le cambiali, o le fiche del casinò. Lo Smart Con­tract contiene una serie di condizioni da soddisfare perché un’ope­razione avvenga, come in tutti gli accordi, però governato da un al­goritmo che fa da garante ed esecutore allo stesso tempo. L’identità digitale con l’adozione dello Spid è già un concetto familiare, ma con la self sovereign identity il passo in più non prevede la condi­visione dei propri dati (per la quale dobbiamo autorizzare a ogni ac­cesso) ma la validazione di un wallet certificato, i dati restano pri­vati.

Come tutto questo si traduce in una nuova economia e come la “vec­chia” possa profittarne, ecco, qui le cose si complicano. Mentre il mondo del gaming, infatti, è pienamente transitato nel “virtuale” (anche se i capitali coinvolti sono molto reali), industria e servizi an­cora esitano. Lo dimostra chiaramente la Blockchain Survey 2021 con cui Ernst & Young ha documentato la conoscenza delle nuove tecnologie digitali presso 100 C-level manager, sia nel privato che nella Pubblica Amministrazione. I risultati sono piuttosto deludenti, anche tra chi pensa di implementare le nuove tecnologie (89%) si conoscono solo alcune delle applicazioni. C’è un mercato in crescita esponenziale, in cui l’Italia però latita.

Secondo gli ultimi dati dell’Osservatorio blockchain del Polimi, a livello mondiale nel 2021 sono stati presentati 370 progetti blockchain based, il 39% in più rispetto al 2020. L’investimento nel nostro Paese invece non solo non è cresciuto, ma è anche leggermente in calo: 28 milioni di euro nel 2021, 23 nel 2020 ma 30 nel 2019. Insomma, tutti ne parlano, ma pochi si muovono. «C’è un gap da colmare tra knowledge ed education sul tema», ci conferma Giuseppe Perrone, EY Emeia Blockchain Leader, «e serve la creazione di un perimetro di regole chiare che governino la disintermediazione dei processi. Rispetto a sei mesi fa, che è la data della survey, c’è stato un ulteriore passaggio in avanti. La Commissione Europea con la European Blockhchain System Infrastructure (EBSI) ha identificato un proprio standard; la Bce ha annunciato il progetto pilota per il cryptoeuro che dovrebbe vedere la luce nel 2023; la Federal Reserve con un gruppo di ricercatori del Mit ha lanciato uno studio pilota Hamilton Project per architetture blockchain che lavorano a più di 100 mila transazioni al secondo. L’Eidas in Europa sta spingendo l’adozione di meccanismi basati su blockchain e self sovereign identity. A questo si aggiunge la crescita esponenziale del fenomeno Nft e del metaverso, nonché degli investimenti fatti da aziende quali Microsoft con l’acquisizione di Activision Blizzard, per 70 miliardi di dollari, o la stessa Wallmart nel campo del food retail, Facebook con il lancio di Meta per cui il mercato varrà secondo le stime 800 miliardi di dollari nel 2024, e già oggi siamo nell’ordine dei 200 miliardi di dollari. La transizione al web 3.0», prosegue Perrone, «cioè l’interazione con il digitale attraverso il proprio wallet diventerà centrale nell’esperienza del consumatore rispetto agli acquisti, all’advertising, al customer journey, all’identità distribuita per accedere a servizi della PA, education e tantissime attività che facciamo normalmente nella vita comune. Siamo in una fase mainstream di questa tecnologia, non ci si può permettere di restare indietro. Se Adidas fa un drop di 23 milioni di dollari in 48 ore vendendo skin digitali, Coca-Cola fa la stessa cosa, Nike acquista un’azienda che fa solo questo per 2 miliardi di dollari, significa che non è un gioco d’azzardo ma c’è qualcosa di sostanziale. Per Morgan Stanely è l’unica tecnologia emergente con un futuro da qui a dieci anni molto importante».

Insomma, il messaggio è chiaro: blockchain non significa solo bitcoin e investimenti più o meno azzardati. Questa è solo la punta di un iceberg che arriva molto in profondità e che impatterà a brevissimo sulla vita di tutti. «Finora si è sovrapposto il tema blockchain e bitcoin, in quanto è il primo e più famoso caso d’uso. D’altra parte, è una tecnologia nata per disintermediare, e la creazione di una moneta svincolata dalle banche centrali è stata l’evoluzione più naturale. Poi si è iniziato a capire che c’era molto altro.

Nel settore food la tracciabilità su blockchain è ormai uno standard. Carrefour, Peroni, Bo Frost, il Consorzio Grana Padano, i vini europei tracciati sui mercati esteri e così via». Ma decentralizzare significa soprattutto rivedere le logiche e i processi produttivi, ed è immaginabile che questo abbia dei costi. «È vero che la blockchain è costosa e ancora poco green, ma anche qui le cose stanno cambiando. A giugno 2022 Ethereum passerà al proof of stake 2.0, sono nate altre blockchain connesse alla main net, i cosiddetti second layer, come Polygon, con le stesse garanzie di Ethereum ma con minori costi. E&Y ha lanciato Baseline, un programma che comprende 50 aziende tra cui Microsoft, Google, Consensus e simili, per lavorare su soluzioni con cui realizzare transazioni private su una blockchain pubblica, e che consentano di validare le transazioni senza dover risolvere problemi matematici che richiedono grandi potenze computazionali».

Di tali miglioramenti, però, è all’oscuro gran parte del campione intervistato. Il 44% non utilizzerebbe applicazioni di finanza decentralizzata (basata su blockchain), perché non si fida. Invece anche sotto il profilo regolamentare le cose stanno andando avanti. Come sottolinea l’esperto: «È stato istituito un albo nazionale per tutti i soggetti che si occupano di servizi finanziari in ambito crypto. Si iniziano a mettere dei paletti per far sì che chi sia associato a un wallet e operi transazioni sia identificabile. Paradossalmente è il sistema che garantisce la migliore tracciatura possibile, perché con web 3.0 potrò attribuire identità a ogni wallet e tenere le fila di tutti i flussi in movimento. Quello che nasce come meccanismo per l’anonimato diventerà trasparente grazie all’identità digitale distribuita». L’appello però è a darsi una mossa, perché tra l’accelerazione da Covid e la velocità tipica del mondo digitale la rivoluzione è dietro l’angolo. «Oggi Metaverse come Roblox ospitano 43 milioni di utenti al giorno e gli investimenti sono cresciuti in modo esponenziale, del 70-80-110% ogni 15 giorni, non si parla nemmeno di quarter. Nel giro di un anno e mezzo cambierà tutto». Eppure, c’è chi pensa a una bolla come fu Second Life qualche anno fa.

«È perché non hanno colto la differenza: e cioè che questa è un’esperienza decentralizzata, che è il clone di quello che oggi conosciamo nel mondo fisico. Il fatto che io tramite una valuta possa effettuare esperienze, posizionare un brand, comprare pubblicità, attrarre Millennial che poi diventano i consumatori target innesca un percorso molto virtuoso. Nel caso di Second Life era solo una riproduzione artefatta della realtà».

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