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Design generativo: alla scoperta del Dna nel design

Partire da algoritmi e informazioni matematiche, la progettazione generativa lascia al software l’elaborazione di forme che rispondano a esigenze specifiche. Si va dalla realizzazione di una protesi o di un motore a quella di un intero edificio. Una rivoluzione che consente di gestire migliaia di variabili con un unico “codice genetico”

«Il design non dovrebbe avere uno stile personale, ma inventarne di differenti a seconda di quello che intende comunicare». Così diceva Bruno Munari, tra i massimi protagonisti dell’arte, del design e della grafica del secolo scorso. Pensiero antesignano quello di Munari, che in un’era totalmente analogica aveva già plasmato uno dei criteri principali del “design generativo”.A 25 anni di distanza dall’elaborazione di quel ragionamento, i tempi sono diventati maturi per un cambio di paradigma dalla portata epocale. Il generative design è infatti un metodo di progettazione rivoluzionario, dove il prodotto finale (che può essere una protesi, la struttura di un edificio o anche una semplice immagine) è dato da un insieme di regole, algoritmi e dati matematici immessi dall’utente. «Il design generativo anziché prevedere lo studio di una forma come particolare risposta a una serie di esigenze, prevede la creazione di un set di possibili forme a partire da regole logiche o di tipo matematico. Queste regole si interfacciano con dati e specifiche preferenze, lasciando che sia un software a elaborare la forma di un oggetto», dice Alessandro Zomparelli, co-fondatore dello studio di design Mhox ed esperto di questa nuova disciplina. Si tratta di un approccio che pone al centro dell’attività progettuali la procedura piuttosto che la struttura. Se le regole, o algoritmi, di composizione vengono costruiti secondo dinamiche “parametriche”, si ha la possibilità di ottenere risultati variabili, eppure sempre coerenti e riconoscibili. Pensiamo alla fiamma, che pur vibrando, muovendosi e cambiando la sua forma, resta sempre identificabile. In questo contesto si parla addirittura di “dna”. Il design generativo, infatti, non lavora sulla forma, ma sul codice, sulle istruzioni che la generano. Ed è proprio ispirandosi al concetto di dna che è possibile sintetizzare le caratteristiche di un oggetto partendo dal suo codice genetico. In questo modo è possibile “generare” tanti oggetti diversi tra di loro, ma tutti appartenenti a una stessa “specie”. Una lampada, una sedia, un cucchiaio, possono essere riprodotti in migliaia di variabili semplicemente variando qualche elemento del loro codice iniziale. Realizzando oggetti in questo modo cambiano totalmente le regole produttive con vantaggi tangibili e significativi: si ottimizzano i costi, la scelta dei materiali, le tecniche di produzione, migliorando la qualità del progetto, l’efficienza e le prestazioni a tutti i livelli. Siamo entrati ufficialmente in una nuova era della produzione, uno degli aspetti più interessanti della quarta rivoluzione industriale.

ANZICHÉ PREVEDERE LO STUDIO

DI UNA FORMA PARTICOLARE,

IL DESIGN GENERATIVO PREVEDE

LO STUDIO DEGLI ALGORITMI

CHE GUIDINO IL SOFTWARE

NEL DISEGNO FINALE

OPERA APERTA«La rappresentazione digitale guida progetti concentrati sull’aspetto evolutivo della forma, consentendo un approccio scultoreo alla modellazione», sostiene Massimiliano Ciammaichella, ricercatore in Disegno all’Università Iuav di Venezia. «L’unione di diverse pratiche progettuali, attuate dai metodi della rappresentazione digitale, definisce le odierne tendenze del design: di architettura, del prodotto, della moda e coinvolge le arti in generale, in un processo di trasformazione continuo dei modelli di riferimento che si concentra sul carattere strettamente evolutivo della forma». Siamo di fronte, finalmente, all’“opera aperta” teorizzata da Umberto Eco, applicata al design. «La forma definitiva da raggiungere non sarà certo scelta aprioristicamente, ma sarà il risultato di un insieme di operazioni che evolveranno il modello di partenza, di continuo; spetterà poi al progettista stabilire la più idonea alla realizzazione, secondo una discretizzazione numerica», sottolinea Ciammaichella nella sua ricerca Artefatti in evoluzione. Oggetti tutti diversi l’uno dall’altro, realizzati in base a variabili definite, alle scelte del designer o ai gusti dei consumatori. Il merito di questo traguardo però non è più del creativo, in modo assoluto, ma del computer, e più precisamente degli algoritmi. Sono specifiche formule matematiche a generare le forme che poi verranno utilizzate per produrre gli oggetti. «Nel design generativo c’è sicuramente un cambio di paradigma rilevante, ovvero non è più il creativo a disegnare bensì il computer. Tuttavia il designer riveste ancora un ruolo importante, perché è lui che elabora e fornisce istruzioni al Pc e che interviene sull’algoritmo», sottolinea Zomparelli. In altri termini invece della matita ora il designer usa la matematica e sfrutta la capacità di calcolo dei computer per arrivare a risultati altrimenti impossibili da ottenere.

FORD E DARWIN INSIEME

PER UNA TECNOLOGIA DELLA SALVEZZA

LA MATITA MATEMATICA«La portata rivoluzionaria del design generativo non riguarda solo l’uso degli algoritmi, ma anche la conseguente evoluzione delle tecniche di riproduzione. Mi riferisco alle potenzialità offerte dalla stampa 3D, ma anche l’elaborazione CnC (Computer Numerical Control) e i tagli laser, ovvero tutte le modalità produttive di “digital fabrication”», precisa ancora il designer di Mhox. Si tratta di un elemento essenziale per capire i risvolti concreti derivanti da questa innovazione. Le forme di alcuni oggetti elaborate al Pc, infatti, si possono ottenere solo usando la stampa 3D. Inoltre, grazie alle moderne tecniche di produzione, è semplice ottenere in pochissimo tempo modelli che possono essere studiati e poi elaborati ulteriormente a seconda delle necessità. Per esempio, General Electric ha realizzato un motore d’aereo con il design generativo. Il suo predecessore era composto da 19 pezzi, mentre quello nuovo stampato in 3D è un pezzo unico e pesa un terzo. Allo stesso modo Airbus e Autodesk hanno progettato il pannello che separa la parte di cabina in cui operano hostess e steward da quella in cui siedono i passeggeri. Grazie agli algoritmi, quel pannello pesa 30 chili in meno rispetto all’originale con un risparmio del 45% grazie alla stampa 3D e a una speciale lega chiamata Scalmalloy. «Nei settori come automotive e aerospaziale è di importanza critica continuare a innovare la progettazione e produzione dei componenti. La progettazione generativa, le novità nella scienza dei materiali e le nuove tecniche di produzione stanno permettendo agli ingegneri di rilasciare componenti che non è stato mai possibile realizzare prima», ha dichiarato Mark Davis, Senior Director of Design Research di Autodesk.

VERSO L’UOMO BIONICOI campi applicativi del design generativo sono molti, uno dei più promettenti è quello legato al biomedicale. «Allo stato attuale uno dei campi applicativi più interessanti è quello medicale, la stampa 3D sta avendo molte applicazioni nel settore della protesica, soprattutto perché l’anatomia umana prevede infinite variabili, quindi il design generativo si sposa bene con le esigenze di questo ambito, spiega ancora Alessandro Zomparelli. Lo studio Mhox in cui lavora ha partecipato a un interessante progetto per la realizzazione di ortesi generative. Un’ortesi è un dispositivo medico, applicato esternamente al corpo umano, utilizzato per modificare le caratteristiche strutturali e funzionali del sistema neuromuscolare e scheletrico. Il suo scopo è assistere, restringere, controllare o limitare il movimento di specifici segmenti corporei, fornendo supporto per deficit motori cronici, assistendo la riabilitazione da fratture o operazioni chirurgiche, correggendo la forma o funzione del corpo per estenderne le capacità o ridurre il dolore. Lo studio emiliano ha addirittura ideato un progetto futuristico chiamato Eye (Enhance Your Eye) che, grazie alle tecniche di bio-stampa, potrebbe consentire di realizzare addirittura degli occhi bionici in grado di portare la vista a 15/10 e curare malattie e traumi della vista.Esercizi di stile meno estremi si ritrovano invece negli oggetti realizzati dai designer Andreas Hopf e Axel Nordin: lampade, tavoli e complementi d’arredo creati usando specifici algoritmi. Guardando i loro oggetti si comprende come il designer si stia trasformando in una figura simile al producer, delegando la formazione dell’oggetto a delle condizioni iniziali, personalizzabili grazie alle tecnologie di fabbricazione digitali. Principio, questo, che è alla base dei progetti curati da Nervous System, uno degli studi più blasonati nel settore. Unendo scienza, arte e tecnologia, Jessica Rosenkrantz e Jesse Louis-Rosenberg, fondatori nel 2007 di Nervous System, hanno sviluppato una piattaforma online che permette di far interagire nei progetti gli utenti, ottenendo così una gamma infinita di variabili e personalizzazioni. Le loro creazioni, specialmente quelle di gioielleria, arredamento e moda, sono state esposte in numerose mostre, anche alla Triennale di Milano.Siamo solo all’inizio di una nuova era che unisce design computazionale, produzione additiva, ingegneria dei materiali e biologia sintetica, i cui risvolti sono ancora difficili da comprendere, ma promettono di cambiare il mondo.

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