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Italia: senza prospettive di rilancio, a rischio 2 milioni di lavoratori

Il nuovo rapporto Cerved fotografa l’attuale crisi economica causata dalla pandemia e simula l’andamento delle imprese private per il 2021. Raddoppiano le società a rischio default

Sono aziende con una forte solidità patrimoniale quelle che stanno affrontando la pandemia in Italia, nonostante un decennio di crescita lenta non sia riuscito a riportare la redditività ai livelli pre-crisi finanziaria. Purtroppo, ciò non basterà per reggere l’impatto di quest’emergenza sanitaria, che ha implicazioni economiche mai viste prima. Il Rapporto Cerved PMI 2020, appeana presentato, stima che il fatturato delle piccole e medie imprese diminuirà nel 2020 di 11 punti percentuali (fino a 16,3% nel caso di ulteriori lockdown) e la redditività lorda del 19%. Una simulazione condotta da Cerved sul totale delle imprese private, quindi non solo pmi, prevede poi che a fine 2021 vadano persi 1,4 milioni di posti di lavoro e si abbia una riduzione del capitale di 47 miliardi di euro (il 5,3% del valore delle immobilizzazioni) qualora, una volta cessate le attuali misure di sostegno, non ci siano prospettive di rilancio. Con nuove chiusure, i disoccupati salirebbero a 1,9 milioni, e a 68 i miliardi in meno di capitale (7,7%). Gli effetti sarebbero particolarmente consistenti per le piccole imprese e per quelle che operano nel sistema moda, nella siderurgia, nella logistica e trasporti e in alcuni servizi alle persone. Nei dieci settori più colpiti – in particolare agenzie di viaggio, strutture ricettive, ristoranti, che potrebbero dover ridurre di un terzo o più il loro personale – si concentrerebbe circa la metà della perdita occupazionale. Solo nella ristorazione si potrebbero avere 432 mila posti di lavoro in meno; nuovi lockdown farebbero aumentare questa stima a 667 mila. Dal punto di vista territoriale, gli effetti maggiori si avrebbero nel Mezzogiorno: -9,4% di occupati nel settore privato, -13% nello scenario più severo. In termini di tassi di occupazione, il divario Nord-Sud non si allargherebbe ulteriormente solo grazie al maggior peso della Pubblica Amministrazione tra gli occupati del Mezzogiorno.

Crisi economica: la vera incognita è il 2021

Finora gli impatti della pandemia sono stati mitigati dai provvedimenti di emergenza, come l’estensione della Cassa Integrazione e gli interventi sulle garanzie pubbliche: nel 2020, dunque, nonostante i forti segnali di difficoltà la maggior parte delle pmi italiane chiuderà l’anno in pareggio o in utile e gli indici di redditività, pur crollando rispetto al 2019, risulteranno in media ancora positivi. Ma quando queste misure avranno fine, gli effetti della crisi potrebbero manifestarsi in maniera assai più rilevante: senza prospettive di rilancio, molti imprenditori potrebbero licenziare o dover chiudere le proprie attività. Sarà quindi decisivo, tra le altre misure di sostegno, il NextGenerationEU, il piano di finanziamenti per la ripresa dell’Europa (750 miliardi di euro, di cui 209 da destinare all’Italia) che ha messo al centro la sostenibilità e la digitalizzazione delle aziende.

Imprese: come fornire i finanziamenti necessari

Ma come fornire finanza alle imprese per far ripartire gli investimenti? “Finora lo strumento principale è stato il credito garantito”, afferma Andrea Mignanelli, amministratore delegato di Cerved, “ma la gran parte della riduzione di capitale che prevediamo, 37 su 47 miliardi di euro, sarà concentrata in imprese colpite duramente dal Covid che avranno difficoltà a finanziare gli investimenti con debito. L’iniezione di risorse nel sistema delle pmi dovrà quindi necessariamente prevedere sia finanziamenti a debito sia apporti di capitale di rischio, e un ruolo importante sarà giocato da operatori finanziari non bancari, nei quali il nostro Paese mostra ancora un ritardo di sviluppo. Trasformazione digitale, distruzione e ricostituzione delle catene globali del valore, smart working potrebbero però indurre un rapido cambiamento della struttura produttiva, con alcuni settori emergenti in espansione e altri destinati a un inevitabile ridimensionamento: sarà dunque necessario fare delle scelte su dove indirizzare le risorse”. Anche rispetto ai 209 miliardi che dovrebbero arrivare all’Italia con il NextGenerationEU non si potrà prescindere dalle due direttrici previste, digitalizzazione delle imprese e transizione verso un sistema più sostenibile.

Raddoppiano le imprese a rischio default

La doppia recessione che ha colpito l’economia italiana nel 2008-09 e nel 2013-14 ha innescato un processo severo di selezione e ristrutturazione che ha reso le pmi decisamente più solide dal punto di vista patrimoniale e finanziario. Inizialmente per effetto del credit crunch, e anche grazie a una serie di misure di incentivo fiscale, gli imprenditori hanno rafforzato la capitalizzazione delle imprese, che è cresciuta tra 2007 e 2019 del 72%, ben più dei debiti finanziari. Questo ha fatto quasi dimezzare il leverage delle pmI, passato dal 115% al 61%. Le aziende hanno anche beneficiato della politica monetaria fortemente espansiva della Banca Centrale Europea e dei bassi tassi di interesse. Grazie alla maggiore solidità, sono anche diventate più disciplinate nei pagamenti: i giorni di ritardo nel saldo delle fatture sono scesi dai 14,7 del 2014 ai 9 di marzo 2020. Poi, si è abbattuto lo tsunami Covid19, le fatture inevase sono passate dal 29% di gennaio 2020 al 45% di maggio (per ridiscendere al 37% in estate) e anche la natalità delle imprese, cresciuta solo in alcune filiere legate alla sanità e sostanzialmente azzerata in aprile, è in forte calo: nei primi otto mesi del 2020 sono state perse un quarto delle nuove nate rispetto allo stesso periodo del 2019, e va considerato che negli ultimi 10 anni le imprese con meno di cinque anni di età hanno fornito più di metà dei nuovi posti di lavoro. Gli interventi legislativi hanno invece impedito un aumento dei fallimenti e delle liquidazioni volontarie, che potrebbero però manifestarsi nei prossimi mesi.

Stessa analisi per quanto riguarda gli score economico-finanziari: le pmi con un bilancio rischioso sono passate da 37.000 nel 2007 a 17.000 nel 2019, praticamente dimezzandosi in tutti i settori economici, compresi quelli in cui la crisi è stata più intensa e persistente come le costruzioni; quelle con un bilancio più solido invece sono cresciute da 60.000 a 93.000. Il Cerved Group Score Impact, che stima l’impatto del Covid sulla probabilità di default delle imprese italiane, indica però che la lunga fase di rafforzamento delle pmi si è interrotta a causa della pandemia e che le imprese “a rischio” potrebbero ora quasi raddoppiare, passando dall’8,4% al 16,3% (e addirittura al 21,4% in caso di nuovi lockdown) e superando il precedente picco del 2014.

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Foto di Buffik da Pixabay