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Investimenti esteri in Italia tra criticità storiche e l’opportunità Pnrr

Secondo uno studio di Deloitte, negli ultimi anni c’è stata una crescita nel rapporto tra Investimenti diretti esteri in entrata e Pil. Ma è con il Pnrr che si può fare il vero passo in avanti per colmare il gap di attrattività rispetto alle altre principali economie europee, che resta elevato

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«L’Italia non è mai stata in cima alla classifica dei Paesi più attrattivi per gli investimenti delle imprese estere, ma con il Pnrr abbiamo un’occasione storica per invertire questo trend e rendere più attrattivo tutto il nostro tessuto economico». Ad affermarlo è Fabio Pompei, Ceo di Deloitte Central Mediterranean, nel presentare lo studio L’attrattività del sistema Italia per le imprese estere: opportunità e prospettive del Pnrr. La ricerca, curata dal partner di Deloitte, Marco Vulpiani, è stata presentata lo scorso fine settimana all’Università Luiss di Roma, in occasione dell’inaugurazione della cattedra congiunta con Deloitte intitolata a Guido Carli.

Investimenti esteri in Italia: gli ostacoli burocrazia, corruzione e politica

Nell’analisi illustrata da Vulpiani, si evidenzia come l’Italia sia tra le principali economie europee il Paese con il valore medio più basso in termini di flussi di Investimenti Diretti Esteri (IDE) in percentuale al Pil (25% nel 2020 verso una media area Euro del 77%). «Questo comporta che, in termini di attrattività complessiva degli investimenti esteri, l’Italia anche se si colloca al nono posto rispetto ai Paesi G20 è all’ultimo posto delle principali economie europee, mostrando una particolare debolezza nel sistema fiscale e nella disponibilità di infrastrutture» ha affermato il partner di Deloitte. «A queste si aggiungono lentezze burocratiche che rendono l’Italia meno competitiva nell’attrarre investimenti internazionali e domestici».

Nell’analisi sono state esaminate ulteriori criticità note del sistema Italia. «Secondo i dati Ocse, nel 2020 il gettito fiscale complessivo ammontava a circa il 43% del Pil, inferiore solo alla Francia rispetto alle altre grandi economie europee. A ciò si aggiunge che i livelli di evasione fiscale e di corruzione sono tra i più alti in Europa. In termini di Corruption Perception Index l’Italia è infatti alla peggiore posizione tra le grandi economie Europee. Anche in termini di stabilità politica l’Italia è agli ultimi posti in Europa, collocandosi alla 31 posizione su 45 in Europa», evidenzia Vulpiani.

L’aumento degli investimenti in Italia

Nonostante ciò – si legge nello studio – in termini di stock si rileva una crescita negli ultimi anni nel rapporto tra Investimenti Diretti Esteri in entrata e Pil, in linea con il trend europeo. Inoltre, emerge che il valore creato dalle multinazionali in Italia, in termini di valore aggiunto realizzato e di investimenti diretti esteri in entrata, sia cresciuto significativamente nel tempo. E il contributo fornito dalle imprese a controllo estero operanti in Italia in termini di valore aggiunto è cresciuto in media di circa il 2,4% per anno negli ultimi 10 anni.

«Questi dati sono particolarmente importanti», sottolinea il partner di Deloitte, «specie se si considera che le nostre analisi mostrano chiaramente l’esistenza di una relazione positiva tra il flusso di investimenti esteri e le performance economiche e di crescita dei Paesi nelle principali economie europee. Quanto alle cause del ritardo italiano, possiamo dire che sono ancora diverse le criticità di cui soffre il nostro sistema produttivo, ma tra questi è importante sottolineare il tema della bassa produttività, delle limitate infrastrutture e delle poche risorse destinate alla Ricerca e Sviluppo», spiega Vulpiani.

«In particolare, se consideriamo le principali economie europee, l’Italia è quella che presenta il più ampio gap fra investimenti infrastrutturali correnti e fabbisogno di investimenti. Un gap che è quasi del tutto ascrivibile al settore delle infrastrutture dei trasporti. Relativamente alla produttività, le nostre analisi mostrano l’esistenza di una relazione positiva tra la produttività per ora lavorata e gli investimenti fissi nelle principali economie europee», conclude il partner di Deloitte.

«Nonostante le criticità evidenziate dal nostro studio, l’Italia può vantare risultati estremamente positivi in alcuni ambiti strategici, quali il design, le imprese culturali, l’energia e i prodotti green», aggiunge Fabio Pompei. «Inoltre, come già sapevamo, lo studio evidenzia la grande capacità di innovare delle imprese italiane quando consideriamo le innovazioni di prodotto o di processo e l’offerta di prodotti green tecnologicamente avanzati».

«Infine, considerando le scelte di programmazione economica delle multinazionali estere, rivestono particolare importanza la presenza di conoscenze o competenze tecniche specializzate della forza lavoro e la capacità manageriale e di adattamento al cambiamento. Caratteristiche su cui dobbiamo puntare e investire sempre di più come sistema-Paese, come diciamo da tempo quando insistiamo sulla importanza delle competenze Stem per i giovani e le future generazioni», conclude il Ceo di Deloitte Italia.

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