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Artificial Intelligence: in Italia l’alba di un nuovo mercato

Nel 2018 investiti appena 85 milioni di euro nel comparto e solo il 12% delle medio-grandi aziende ha concluso un progetto di A.I., ma il settore è fondamentale per il recupero di produttività della forza lavoro

Il mercato dell’Artificial Intelligence è agli albori in Italia, con una spesa per lo sviluppo di algoritmi di intelligenza artificiale di appena 85 milioni di euro nel 2018, ma dalle grandi prospettive; agli investimenti nei progetti vanno affiancati infatti gli assistenti vocali intelligenti (appena introdotti e capaci di generare nel 2018 un mercato di 60 milioni di euro) nonché i robot autonomi e collaborativi usati in ambito industriale, il cui mercato valeva nel 2017 già oltre 145 milioni di euro. Lo scenario è stato tratteggiato dall’Osservatorio Artificial Intelligence della School of Management del Politecnico di Milano e mostra un mercato in cui le aziende italiane non hanno ancora investito realmente. Attualmente, infatti, solo il 12% delle aziende intervistate ha un progetto di Artificial Intelligence a regime, l’8% è in fase di implementazione, mentre il 31% ha in corso dei progetti pilota e il 21% ha invece stanziato del budget per concretizzare un’idea progettuale. Il 19% ha un interesse futuro, non ancora concreto, e il 9% non ha alcun interesse. “La ricerca evidenzia un mercato dinamico ma ancora agli albori, caratterizzato da una scarsa consapevolezza da parte delle imprese delle opportunità dell’Artificial Intelligence”, affermano Nicola Gatti, Giovanni Miragliotta e Alessandro Piva, direttori dell’Osservatorio Artificial Intelligence. “Tutti gli attori del mercato devono prendere posto ai blocchi di partenza per una trasformazione di cui non si conoscono ancora appieno le regole e la durata, ma di cui si comprendono già l’enorme portata e le implicazioni”.

Imprese italiane confuse sull’Artificial Intelligence

Le imprese italiane hanno una visione ancora confusa delle opportunità dell’Artificial Intelligence. Il 58% del campione associa l’A.I. all’emulazione della mente umana, un terzo (35%) a un gruppo di tecniche come il Machine Learning, solo il 14% alllo sviluppo di sistemi dotati di capacità tipiche dell’essere umano. Poco meno di un terzo (32%) associa in modo esplicito l’Artificial Intelligence a uno dei suoi principali campi di applicazione, dimostrando una conoscenza circoscritta del fenomeno. Tra questi, la maggioranza identifica con A.I. il concetto di assistenti virtuali (31%), poi la capacità di formulazione (12%) e comprensione (9%) del testo, le auto a guida autonoma (9%) e l’estrazione di informazioni dalle immagini (8%). Infine, solo il 7% ha colto che l’intelligenza artificiale è un bersaglio mobile, ovvero come evolva il concetto di “intelligenza” ogniqualvolta vengano conseguiti dei successi dalla comunità` scientifica in un ambito specifico.

Eppure, il 48% delle imprese pensa di conoscere in modo adeguato l’Artificial Intelligence, il 47% in modo superficiale, e solo il 5% dichiara un livello di conoscenza nullo. Le modalità con cui sono entrate a conoscenza delle possibilità dell’A.I. sono infatti le più disparate: passaparola con colleghi (32%), testimonianze di altre aziende (29%), networking (28%), richieste dal mercato di riferimento (22%) e risalto mediatico (21%). “Tra le imprese italiane prevale perlopiù una visione dell’Artificial Intelligence ancora influenzata dai media”, afferma Alessandro Piva, direttore dell’Osservatorio Artificial Intelligence, “dove prevale una pioggia di stimoli tipico delle fasi di hype che caratterizzano i nuovi trend innovativi, e non una visione informata e consapevole delle potenzialità e del percorso che trasferisce la ricerca in applicazioni”.

L’impatto dell’A.I. sul mondo del lavoro

Rimangono molti gli interrogativi sull’impatto dell’Artificial Intelligence sul lavoro: se da un lato il 33% delle aziende intervistate dichiara di aver dovuto assumere nuove figure professionali qualificate per realizzare soluzioni di A.I., dall’altro il 27% ha dovuto ricollocare personale dopo l’introduzione di una soluzione di A.I.. L’indagine puntuale sul bilancio occupazionale in Italia rivela come l’Artificial Intelligence sia da considerarsi più come un’opportunità che una minaccia: 3,6 milioni di posti di lavoro equivalenti potranno essere sostituiti nei prossimi 15 anni dalle macchine, ma nello stesso periodo a causa della riduzione dell’offerta di lavoro (principalmente per questioni demografiche, ipotizzando continuità` sui saldi migratori) e l’incremento di domanda si stima un deficit di circa 4,7 milioni di posti di lavoro nel Paese, da cui emerge un disavanzo positivo di circa 1,1 milioni di posti. In questo scenario (peraltro globalmente diffuso) di progressiva riduzione della forza lavoro, l’intelligenza artificiale appare non solo come una opportunità, ma come una necessità per mantenere gli attuali livelli di benessere economico e sociale, riducendo i costi assistenziali necessari a mantenere gli standard di vita, creando nuovi lavori a maggiore valore, per avvicinarsi all’1,5% di tasso medio annuo di crescita della produttività` che sarebbe necessario, nei prossimi 15 anni, per mantenere invariato l’attuale equilibrio socioeconomico del sistema assistenziale-previdenziale del nostro Paese.

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