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Attualità

Il tumore non può essere un affare: intervista all’oncologo Ermanno Leo

L’epidemia di tumori che secondo l’Oms si registrerà entro il 2030. Il monopolio delle multinazionali del farmaco. Le pesanti ripercussioni sui conti pubblici. L’assenza di una regia consapevole e il ruolo che potrebbero recitare, in positivo, anche le aziende sul fronte della prevenzione. Le riflessioni del chirurgo, primario dell’’Istituto dei tumori di Milano

«Quel che dimenticano di considerare certi economisti quando parlano della loro materia, è che l’economia non è qualcosa di avulso dalla vita di tutti i giorni. È un in­sieme composto da diversi spicchi, dove la sanità rappresenta una fetta importan­te, perché ha a che fare con la vita produttiva delle persone e con la loro sfera af­fettiva». Con queste parole Ermanno Leo, chirurgo oncologo di fama, già direttore della struttura complessa di chirurgia co­lon-rettale presso l’Istituto dei tumori di Milano e professore presso la Scuola di chirurgia dell’Università di Milano, noto per aver messo a punto la tecnica di chi­rurgia conservativa della funzione rettale nella cura dei tumori maligni, introdu­ce un tema che – purtroppo – presenta poche luci e molte ombre. Soprattutto perché il dito puntato verso le “ombre” è quello di un esperto, già componente del Consiglio superiore di Sanità e destinata­rio di vari riconoscimenti; tra le curiosità che lo riguardano: nel 2013, nei passaggi parlamentari per il rinnovo del mandato al presidente Napolitano, Leo ottenne tre voti, e più di recente c’è chi ha fatto il suo nome come potenziale ministro del­la Sanità. «Quando si parla di economia si parla di persone, la salute delle quali è fondamentale per misurare il livello di benessere di un Paese, ma se il governo di quel Paese tratta la sanità come un set­tore perennemente al rilancio, dove si spende sempre di più senza intervenire su come vengono investite le risorse e ta­gliare le inefficienze, allora è il Paese tut­to a essere malato. Si tratta di una sempli­ce regola applicata mediamente da ogni buon imprenditore o manager all’interno della propria azienda, che però sembra sfuggire ai nostri politici».

Sono parole dure, le sue dottor Leo.Sono figlie di un’analisi che non vuole puntare il dito contro nessuno, ma solo riprodurre uno scenario così come si presenta.

Ce lo descriva.L’Oms indica che entro il 2030 si registre­rà un’epidemia di tumori. Sempre più gente, anche perché l’età media della po­polazione andrà crescendo, si ammalerà. Non a caso due imprenditori del calibro di Bill Gates e Jeff Bezos hanno creato una società come la Grail per studiare un test capace di individuare le cellule cancerogene, che dovrebbe fatturare 200 miliardi di dollari l’anno. Attualmente in Italia muoiono di cancro in media circa 180 mila persone ogni anno: se que­sto è l’effetto di un successo terapeutico, cambiamo tutti mestiere. E il guaio è che queste morti ormai non fanno più noti­zia, è subentrata una sorta di rassegna­zione statistica, mentre personalmente – come uomo e come medico – mi fanno sentire uno sconfitto. Mai, quando iniziai la specializzazione in oncologia, avrei im­maginato che nel 2019 il cancro avrebbe avuto ancora così tanto la meglio su di noi. E sa cosa stiamo facendo in Italia a fronte di un simile allarme? Nulla. Gli ul­timi due governi non sono riusciti ad an­dare oltre al dilemma “vaccini, sì – vaccini, no”, mentre sempre più ospedali tendo­no a specializzarsi in interventi su pato­logie semplici, perché quelle complesse – come i tumori – comportano costi e ri­schi elevati. Mangio pane e cancro da 40 anni, e una cosa posso dirle con sicurez­za, ed è che per curare una malattia che è mille malattie insieme bisogna prima di tutto avere la fortuna di scoprirla nel­la fase iniziale e poi affidarsi a mani che abbiano sviluppato una lunga esperienza sul campo: più pazienti un oncologo ha curato, maggiore sarà la sua capacità di fronteggiare l’imprevedibilità di una pa­tologia della quale conosciamo al massi­mo il 30% dei meccanismi. Il guaio è che, invece, oggi ci troviamo in carenza di medici, e quindi di professionisti con un articolato know how in questa malattia. C’è il rischio che a breve gli italiani non abbiano cure adeguate. Sa cosa dovran­no fare per essere operati da chirurghi col mio grado di competenza? Pagare. A mio avviso, ciò crea una grave discrimi­nazione nel diritto alle cure sancito dalla nostra Costituzione. Per questo mi sono messo a disposizione dell’Ospedale Pub­blico Città di Sesto San Giovanni che ha richiesto le mie prestazioni professionali, dove opero i pazienti attraverso il servi­zio sanitario nazionale.

Cosa fare davanti a un quadro così di­sarmante?Riservare maggiore attenzione agli anda­menti delle malattie, in modo da trarre indicazioni su dove indirizzare gli inve­stimenti, e intervenire tempestivamen­te per sperare di avere una situazione migliore almeno tra qualche anno. Ma bisogna iniziare da subito, perché siamo già in ampio ritardo. E il problema non si risolve spendendo più denaro, perché il discrimine è come lo si spende.

Lei parla di sconfitta, eppure ogni giorno sui giornali si legge di ricerche e farmaci in grado di curare o di attenuare gli effetti della malattia.Sono tutte, per dirla in termini stretta­mente scientifici, balle… Se quanto si continua a leggere da decenni sul cancro fosse vero, saremmo in credito con la ma­lattia; sono specchietti per le allodole che servono a far raccogliere fondi alle tante società scientifiche che operano in Italia, con il loro bel giro di presidenze e comi­tati, e con rendiconti spesso poco traspa­renti. L’unico vero successo che abbiamo conseguito contro il cancro è la diagnosi precoce: bisogna confidare nella fortuna di non averlo o nella sfortuna di averlo, ma che venga diagnosticato in fase inizia­le e che a intervenire siano mani esperte. La realtà è invece che il cancro è diven­tato ormai un affare, come avviene per le guerre, che servono a vendere le armi ai due contendenti. I costi dei farmaci oncologici sono enormi, e costituisco­no una voce di spesa pesante a fronte di risultati non accertati. E non sono il solo a dirlo, ma diverse ricerche come quella del British Medical Journal. Sia chiaro, sarei il primo a sottopormi alla chemio­terapia se ne avessi bisogno, così come è vero che il problema non è solo italiano, ma è indubbio che sia da tempo in atto una precisa strategia da parte delle multi­nazionali del farmaco (Big Pharma) a mo­nopolizzare il mercato. E, quindi, anche i risultati delle ricerche che monitorano l’efficacia dei loro farmaci.

Sta dicendo che le verifiche sull’efficacia dei farmaci oncologici sono falsate?Sto dicendo che se uscisse un rimedio contro il cancro, metterebbe in crisi in­vestimenti miliardari. Dico anche che bisogna fare molta attenzione all’obiet­tività dei risultati dei farmaci che vengo­no dati da sperimentare. Succede invece che, se dai medici viene dato il crisma dell’equivalenza o del leggero miglio­ramento a un farmaco che invece dà prova di funzionare poco o nulla, esso continua a essere utilizzato. E a perderci sono innanzitutto i malati, poi le casse pubbliche e, in ultimo avviso, anche la ricerca che non ha i feedback corretti sugli effetti del farmaco. Non voglio dire che ci sia del dolo in questo, voglio solo denunciare una prassi che fa disperdere risorse e tempo preziosi, perché appe­na una terapia non dà i risultati sperati andrebbe abbandonata per investire in ricerche che potrebbero dare riscontri più concreti. In un quadro simile, le multinazionali del farmaco – che ope­rano spesso al limite della spregiudica­tezza – sono indirettamente autorizzate a spingere sull’utilizzo dei loro prodotti e a manipolare finanche le statistiche pur di rientrare degli investimenti. Per ovviare a tutto questo occorrerebbe una regia, consapevole, che adesso non c’è, e controlli serrati da parte di un’autori­tà di governo che non sia inquinata da conflitti di interesse o esercitata – anco­ra peggio – da incompetenti.

Mi sembra che ci sia ancora molta strada da fare.E ha ragione. Ma fortunatamente stan­no crescendo la cultura e la sensibilità dei cittadini ai programmi di screening che meritoriamente le Regioni stanno proponendo: la diagnosi precoce è at­tualmente l’unico strumento davvero ef­ficace per la cura di una malattia ancora sconosciuta qual è il cancro. Così come sta crescendo la consapevolezza che, in particolare per i tumori solidi come quelli di colon-retto, polmone, mammel­la, la chirurgia specialistica eseguita da mani esperte possa cambiare la guaribili­tà della malattia, in attesa che una ricerca seria faccia la sua parte, indispensabile per i casi di malattia in stadio avanzato. Ciascuno deve fare quello che può. Per quanto mi riguarda, a breve divulgherò un vademecum, frutto della mia espe­rienza sul campo, con l’indicazione dei pochi esami indispensabili alla diagnosi precoce. Credo che sarebbe meritorio che anche le aziende cominciassero a offrire ai propri dipendenti programmi di diagnosi precoce, proprio perché cia­scuno a suo modo possa contribuire alla crescita della cultura del rispetto della vita e della qualità della vita.

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