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Lifestyle

Formula E: silenzio, si gira!

Il 22 novembre secondo appuntamento del nuovo campionato automobilistico a Putrujaya (Malesia). Ma gli scettici sono già stati zittiti all’esordio: auto potenti e poco rumorose si sfidano per le vie delle grandi città spinte da propulsori esclusivamente elettrici. Una rivoluzione smart con grandi nomi – e due donne – al volante

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«No, non mi piace e non credo proprio che possa essere il futuro delle corse»: con queste lapidarie parole il pluri iridato Sebastian Vettel giudicava qualche mese fa la Formula E, la nuova categoria che vede darsi battaglia monoposto rigorosamente elettriche. Il pilota tedesco, poi, rincarava la dose dicendo: «La gente viene a vedere la Formula 1 per immergersi nell’energia delle macchine e non c’è molto da sentire se l’unica cosa che senti è il fruscio del vento…».

OGGI IN PISTA, DOMANI IN STRADA

Un de profundis che è stato clamorosamente smentito lo scorso 13 settembre, a Pechino, quando 20 vetture full electric si sono date battaglia su un tracciato cittadino per il gran premio d’esordio della nuova categoria. All’ultimo giro la classifica è stata rivoluzionata da un incidente tra il figlio d’arte Nicolas Prost e Nick Heidfeld, vecchia conoscenza delle corse a benzina. Il terzo incomodo, il brasiliano Lucas di Grassi, si è involato verso il traguardo.

Un vero spettacolo, con tanto di colpo di scena, esaltato dal fatto che le auto sono tutte sostanzialmente uguali, con telai dell’italiana Dallara, pneumatici Michelin, motori McLaren Electronic Systems, batterie sviluppate dalla Williams e cambi sequenziali Hewland. Alla Renault il compito di supervisionare l’assemblaggio del tutto, tanto che il nome ufficiale delle monoposto è Spark-Renault Srt 01E. Già, ma il rumore tanto rimpianto da Vettel? Credeteci: sarebbe piaciuto anche a Filippo Tommaso Marinetti, l’alfiere del Futurismo che cantava le lodi dell’automobile da corsa per «l’abbaiare della tua grande voce». Si tratta sì di un sibilo, ma possente, che dà l’idea di un razzo lanciato rasoterra. Senza però esagerare, per rendere possibili le gare nelle città.

I dati tecnici, del resto, parlano chiaro. Le monoposto arrivano a una potenza massima di 270 cavalli, che sul piano delle performance si traducono in una velocità massima di 225 chilometri orari e in un tempo di tre secondi nella prova di accelerazione da zero a 100 all’ora. E, a chi dovesse storcere il naso pensando al muro dei 300 km/h regolarmente sbriciolato dalle Formula 1, una domanda: è più emozionante vedere 20 macchine che se le danno di santa ragione sul filo dei 225 o guardarne una, sempre della stessa marca, che viaggia in solitaria a velocità più alta? «Queste gare sono state pensate per la giovane generazione degli smartphone», dice Alejandro Agag, Ceo della Federazione internazionale dell’automobile per la Formula E. «Ecco perché ai fan viene data la possibilità di scegliere il loro pilota preferito sui social network e influenzare potenzialmente l’esito della competizione». In concreto, i tre driver più votati su Internet hanno la possibilità di usare in corsa per cinque secondi un boost che aumenta la potenza di una quarantina di cavalli. È da notare, poi, che al volante ci sono anche due donne: la presenza in pista della britannica Katherine Legge e dell’italiana Michela Cerruti potrebbe contribuire ad allargare la schiera delle fan delle quattro ruote. Un altro aspetto completamente inedito sono i pit stop: ogni team mette a disposizione dei suoi due piloti quattro vetture e dopo mezz’ora di corsa (le gare durano circa 60 minuti) si deve effettuare un cambio macchina per avere di nuovo batterie cariche al 100%. Gli pneumatici, invece, possono essere sostituiti solo in caso di foratura. E siccome anche nell’era digitale il tempo è denaro, gli spettatori possono godersi nella stessa giornata due sessioni di prove libere, le qualifiche e la gara, riducendo così ai minimi termini l’impatto sulle città che ospitano gli “elettrizzanti” gran premi.

Città che, dopo Pechino, saranno Putrajaya in Malesia, Punta del Este (Uruguay), Buenos Aires (Argentina), Miami e Long Beach (Stati Uniti), Monte Carlo, Berlino e Londra. E l’Italia? Non pervenuta, anche se per un certo periodo si era parlato di una tappa a Roma. «Mai dire mai», chiosa Alejandro Agag, «perché il nostro obiettivo è correre in tutto il mondo e vogliamo espanderci soprattutto in Asia e in Europa fino ad arrivare a un calendario composto da 16 o 18 gare». Alla crescita geografica si affiancherà quella tecnologica, con nuovi costruttori in arrivo soprattutto sul fronte dei motori elettrici e delle batterie. A proposito di innovazione, merita una sottolineatura il metodo utilizzato per la ricarica delle vetture. In alcune città la corrente verrà presa dalla rete, ma naturalmente l’obiettivo è ottenerla da fonti rinnovabili. Ecco perché la società Aquafuel fornirà alla Formula E generatori che utilizzano come combustibile la glicerina ricavata dalle alghe. Risultato: emissioni zero e il “pieno” a tutte le auto in 50 minuti. La Qualcomm, una società di ricerca e sviluppo nel campo delle telecomunicazioni senza fili con sede a San Diego, in California, sta poi studiando un sistema di ricarica wireless che in futuro potrebbe evitare il cambio d’auto a metà gara.

IL TEMPISMO È TUTTO

Nel circus tinto di verde anche le safety car sono ecologiche: quest’anno si tratta di una Bmw i8 a dimostrazione dell’interesse che la casa tedesca ha per la mobilità sostenibile. Ma i grandi marchi che si sono fatti coinvolgere nell’impresa sono anche altri: si parte da Tag Heuer – partner fondatore e cronometrista ufficiale – per passare ad Audi, titolare di un team, fino a Virgin, che a sua volta mette in pista due vetture con i propri colori. E proprio l’adesione di Richard Branson uno che di business se ne intende, è la cartina al tornasole dell’interesse sollevato nel mondo degli affari dalle monoposto che hanno detto basta alla benzina.

Un interesse che coinvolge il Giappone con il team Super Aguri, che torna in pista dopo un passato in Formula 1 piuttosto opaco, ma anche la Cina (China Racing) e l’India, rappresentata dalla Mahindra Racing. E poi gli Stati Uniti che schierano una vecchia conoscenza degli appassionati italiani di motori: Mario Andretti con una squadra che porta il suo nome. Infine la ciliegina sulla torta per gli appassionati tricolori, ovvero Jarno Trulli, che dopo 252 partecipazioni nella massima categoria dell’automobilismo sportivo ha aderito con entusiasmo al progetto Formula E.

DALL’INDIA CON FURORE

E i soldi? Il quotidiano britannico The Telegraph ha fatto qualche conto e ipotizza che il nuovo campionato frutterà alla Fia 18 milioni di euro, una cifra certamente gradita dopo le perdite nette registrate in alcune delle ultime stagioni (nel 2012 ammontarono a 2,6 milioni di euro). La condivisione dei proventi di un investimento multimilionario (15,4 milioni) nella Formula E Holdings, società madre della Formula E basata ad Hong Kong, porterà alla Fia il grosso del guadagno (oltre tre milioni).

La federazione riceverà poi 50 mila euro a stagione da ogni team iscritto e 100 mila euro da ciascuno dei dieci gran premi in calendario. Già nel 2014 la Formula E dovrebbe in questo modo fruttare un ritorno pari a 1,5 milioni di euro, che moltiplicati per i 10 anni di contratto stipulati si tradurrà in un giro d’affari notevole. Insomma, le premesse ci sono tutte: stavolta lo scettico Vettel rischia di essere doppiato dal più temibile dei rivali, la realtà.