Un altro progetto industriale che naufraga tra veti politici e ostruzionismi locali. L’Enel dice infatti addio al progetto di riconversione della centrale di Porto Tolle (Rovigo) in un moderno impianto a carbone politico.
A tre anni dall'(inutile) firma dell’intesa con la Regione, troppi contenzioni, una causa legale e la crisi hanno spinto l’azienda energetica ad abbandonare il piano da 2,5 miliardi di euro. Anche perché – come spiega il Sole 24 ore – dalla nascita del progetto sono cambiate molte cose: sono crollati i consumi elettrici e sono cresciute le rinnovabili.
«A fronte dell’evidente cambiamento del contesto energetico», si legge in una nota di Enel, «e della differente dinamica tra domanda e offerta di energia avvenuti negli ultimi dieci anni, tanto è durato l’iter autorizzativo – peraltro non ancora concluso – per la riconversione della centrale di Porto Tolle, nuove alternative devono essere esaminate per l’impianto polesano alimentato a olio combustibile».
«L’azienda conferma la volontà di ricercare nuove soluzioni condivise con territorio ed enti locali, nella prospettiva di creare valore e salvaguardare l’occupazione nell’area della centrale», prosegue il comunicato ma ormai la centrale è spenta da cinque anni e il destino dei lavoratori è sempre più in bilico.
L’unica alternativa percorribile è quella una piccola centrale a biomasse (prodotte nella zona del delta del Po dove ha sede l’impianto), molto diversa dal megaprogetto di una centrale da mille addetti e tre anni di lavori per la riconversione.
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