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Consorzio Franciacorta: un salto verso il futuro

E’ quello che si può fare coniugando l’uso della tecnologia con un approccio più naturale alla viticoltura. ne è convinto il presidente Silvano Brescianini, che la ritiene l’unica strategia vincente a 360 gradi

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«Il Consorzio Franciacorta rappresenta viticoltori e produttori di vino. Da agricoltori la terra è il nostro bene più prezioso, quindi, tutte le ricerche e le strategie che ci portano avere maggiori conoscenze su come preservare questa risorsa insostituibile sono decisive. È sulla base di questa consapevolezza che lavoriamo ormai da più un decennio». Traspare la passione per la terra e i suoi frutti dalle parole di Silvano Brescianini, presidente del Consorzio Franciacorta, che conta circa 200 soci tra viticoltori, vinificatori, imbottigliatori, coinvolti nella filiera produttiva delle denominazioni Franciacorta Docg, Curtefranca Doc e Sebino Igt.

Presidente, qual è stato il vostro primo passo importante per un approccio sostenibile alla viticoltura?
Direi la misurazione della carbon footprint nel 2012, che ha interessato il 60% della superficie vitata. È stato un punto di partenza decisivo, perché quando si fanno questo tipo di analisi non è importante solo il risultato, ma anche il percorso, che porta a evidenziare aspetti positivi e negativi. Solo avendo una maggiore conoscenza e consapevolezza è possibile migliorare nella gestione. In aggiunta, dal 2014 al 2019 abbiamo partecipato con diverse aziende a uno studio sulla biodiversità e sulla fertilità dei suoli. Ha segnato l’inizio di un cammino su questo tema, in particolare sulla biodiversità funzionale, ossia – detto in parole povere – su quanto la ricchezza di vita all’interno dei nostri vigneti sia importante per moltissimi aspetti, come la fertilità del terreno e la qualità dei vini, ma anche il benessere ambientale. Per esempio, arricchire la sostanza organica nel suolo permette di assorbire maggiore anidride carbonica. Sappiamo inoltre che ne basta un 1% in più per rendere disponibile il 30% in più di acqua alle radici: un aspetto che appare quanto mai significativo dopo un’estate siccitosa come quella appena trascorsa. Il problema è che per aumentare di appena l’1% la sostanza organica ci vogliono dai 15 ai 20 anni. Devo dire che tutti i progetti attivati sono per noi importanti e destinati a durare nel tempo, e vanno complessivamente tutti nella direzione di studiare e salvaguardare la biodiversità funzionale.

A proposito di misurazione dell’impronta carbonica, la metodologia Ita.Ca che avete messo a punto vanta il primato di primo modello italiano. Siete stati dei precursori…
Merito dei nostri tecnici del territorio, in particolare del dottor Pierluigi Donna, che ha portato avanti questo tipo di analisi quando ancora non c’era la consapevolezza di oggi e che ha permesso a diverse aziende di ottenere la certificazione ISO 14064. Però ripeto, al di là dell’importante risultato raggiunto grazie a questo tipo di riconoscimenti, quello che ritengo decisivo è il percorso di conoscenza. Questo perché si inizia avendo in mente determinati obiettivi e strada facendo emergono scoperte impreviste. Non è un viaggio definito con parametri stringenti, ma un cammino che inevitabilmente cambia e si amplia. Questo lo rende ancora più interessante, anche perché stiamo esplorando temi tuttora poco studiati, non solo qui in Franciacorta, ma a livello internazionale.

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Con oltre il 60% dei vigneti bio (fra già certificati ed in conversione), la Franciacorta è una delle prime denominazioni a livello internazionale per quota di viticoltura biologica. È un dato destinato ad aumentare ulteriormente nel breve termine?
Non posso dare indicazioni precise in questo senso, perché è una questione gestita direttamente dalle singole aziende. Però vorrei precisare che, benché importante, il biologico lo considero solo un punto di partenza verso il percorso più ambizioso sulla biodiversità funzionale che citavo prima. Perché per ottenere la certificazione bio significa rispettare un regolamento europeo e, se rispettare questi limiti e indicazioni del protocollo è importante, lo è ancora di più imparare a capire come la biodiversità funzionale rappresenti un presupposto per il futuro, perché ci consente di creare le condizioni per lasciare suoli più fertili alle prossime generazioni e, quindi, più stabili, in grado di assorbire più acqua e CO2 e di produrre vini con maggiore personalità. È quella che potremmo definire una win win strategy , perché se l’argomento può essere complesso, lo è ancora di più individuarne dei risvolti negativi. E mi rende orgoglioso che da parte di tutto il nostro territorio ci sia interesse vero nell’approfondire e sviluppare strategie il più possibile sostenibili.

A proposito di questa intervista

Questa intervista è tratta da  I Campioni della Sostenibilità 2023, terza edizione dello speciale di  Business People  pubblicato sul numero di gennaio-febbraio . Per leggere la versione completa e approfondire altri temi della rivista, puoi scaricare il numero in versione digitale  cliccando qui

Il vostro è un consorzio che conta circa 200 soci. Come si conciliano gli interessi dei singoli con quelli dell’intero gruppo?
Come è normale che sia, c’è sempre un po’ di dialettica quando si è in tanti, ma possiamo definirci fortunati, perché fin dall’inizio ci siamo sempre distinti per la forte convergenza in merito alle tematiche più importanti. È questa unione di passioni il punto di forza che ci contraddistingue e ci ha aiutato a promuovere il nostro prodotto in Italia e non solo.

Come sottolineava, avete mosso i primi passi sul fronte della sostenibilità quando quel tipo di approccio non era affatto di tendenza, così oggi state iniziando già a vedere i primi risultati. Ma come si fanno a misurare in modo obiettivo?
Si ricorre a un mix di indicatori in continua evoluzione definiti dall’Oiv – Organizzazione Mondiale della Vigna e del Vino – che è un po’ l’Onu del nostro settore. Sono indicatori che riguardano l’impronta carbonica, il consumo e la gestione delle acque e anche la biodiversità. I protocolli internazionali, in questo senso, non mancano. Si tratta di un approccio multiforme con diversi punti di analisi, anche complessi, che poi alla fine danno una serie di informazioni e di dati. Così complessi, che per alcuni abbiamo in corso un progetto in collaborazione con le università di Brescia e di Milano che prevede l’utilizzo dell’intelligenza artificiale: la quantità di dati da analizzare sarà veramente molto importante! È un tipo di lavoro che anche solo dieci anni fa non si poteva nemmeno immaginare, per il semplice fatto che non c’erano gli strumenti che lo hanno reso possibile.

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Quindi la tecnologia è “amica” della sostenibilità?
Assolutamente sì. Pensi che oggi con droni dotati di lettori ottici siamo in grado di sorvolare i vigneti e andare a riconoscere tutte le specie vegetali presenti. Il tutto grazie a una videocamera ad altissima definizione e all’aiuto dell’A.I., che va a analizzare tutte le immagini raccolte. Era un lavoro di classificazione che si poteva fare anche di persona, ma molto più lentamente. È un errore di fondo pensare che chi voglia lavorare con un approccio più naturale sia orientato verso un ritorno al passato. In realtà, oggi, questo significa fare un importante salto verso il futuro. Anche perché il pianeta in cui viviamo è l’unico disponibile e l’agricoltura ha l’importante responsabilità di mantenere il suolo vivo e fertile per produrre il cibo e, naturalmente, anche il vino.

Che progetti avete per il prossimo futuro?
Ce n’è uno cui stiamo lavorando da tempo e che dovremmo riuscire a far partire nel 2023. Si tratta di una sorta di zonazione 3.0 – le prime due sono state fatte a inizio ‘900 e nel ’92 – che ci porterà ad avere informazioni approfondite sui terreni, sulla vocazionalità, sulla biodiversità, e anche su come certe posizioni vanno a influenzare i risultati nella produzione del vino. Ci vorrà qualche anno per portare a termine il progetto perché è estremamente innovativo e ambizioso.

C’è un insegnamento appreso in questi anni che potrebbe essere utile anche ad altri manager o imprenditori?
Mai accontentarsi, mai sentirsi appagati. Bisogna porsi obiettivi ambiziosi, lottare per conquistarli e subito darsene uno nuovo. Secondo me, un imprenditore dovrebbe ragionare sempre così. Non ci sono alternative: il mondo corre e noi non possiamo permetterci di stare fermi a guardare.