Se emozione, autenticità e chiarezza sono stati i capisaldi dello storytelling, di quella che viene considerata a tutti gli effetti l’arte di usare la narrazione per comunicare un’azienda, un brand o un prodotto, trasmettendo informazioni di valore, oggi i paradigmi stanno mutando.
Perché i confini della comunicazione di impresa sono costretti a trasformarsi con l’evoluzione delle tecnologie e della percezione del pubblico. Con l’avvento di una diffusa sensibilità verso tempi e modalità di produzione più sostenibili anche in termini sociali ed economici, l’approssimarsi dell’intelligenza artificiale e le questioni di ordine etico che ne impone l’utilizzo. E poi le mode e i gusti, nonché l’alternarsi delle generazioni di manager e imprenditori al comando.
Come sta cambiando il modo di raccontare un marchio o un business? E quanto invece può o deve rimanere fedele a sé stesso senza contravvenire alla propria storia? Si tratta di un equilibrio possibile? Ne abbiamo parlato con sei professionisti della materia:
- Lucia Lafuenti – Fater
- Riccardo Corsini – Gruppo FS
- Daniele Cobianchi – McCann Worldgroup Italy
- Paola Foglia – Verisure
- Elisabeth Leriche – Renault Italia
- Francesco Lucchetta – Vml Italia
Autenticità prima di tutto
Lucia Lafuenti, Corporate Communication Director di Fater
Fater è una realtà aziendale storica, molto radicata sul territorio e con un inestimabile patrimonio, soprattutto umano. Negli ultimi cinque anni stiamo investendo in tutto ciò che può migliorare sia il modo di lavorare che i prodotti che con i nostri brand (Ace, Lines, Lines Specialist, Pampers, Hero Solo, Tampax) fanno parte della vita di tre famiglie su quattro in Italia. Questo passa anche attraverso una nuova cultura aziendale, People First, che mette le persone al centro. La sostenibilità ambientale è un percorso su cui ci impegniamo con obiettivi chiari che rappresentano il patto stretto con consumatori, clienti e le comunità in cui operiamo. Ci assicuriamo anche che il benessere sia percepito in modo chiaro sia dalle persone di Fater che da tutti gli stakeholder esterni, basandoci sull’ascolto e il dialogo come elementi fondamentali.
Anche i brand hanno un purpose, un perché, che va oltre i fini commerciali. Lines abbatte gli stereotipi e promuove l’inclusione. Pampers supporta i genitori. Ace si impegna nella cura dei luoghi pubblici. Questi purpose guidano le nostre azioni e il nostro storytelling, riflettendo il nostro impegno sociale e la responsabilità che sentiamo nei confronti di tutte le persone con cui entriamo in contatto.
Il modo migliore per creare uno storytelling che possa risuonare con i nostri consumatori è essere autentici, in tutto quello che facciamo e diciamo. Con il supporto di Lines, WeWorld ha aperto due Spazi Donna, per aiutare le donne a rischio di violenza. Con La Fabbrica, portiamo avanti nelle scuole il progetto Domande Scomode@School, dove si stimolano conversazioni sulla parità di genere. Acce, insieme a Retake, ha promosso l’iniziativa Scendiamo in Piazza, con cui parliamo di sostenibilità e consapevolezza sociale. Con Pampers siamo già attivi virtualmente con il Pampers Village che vive nell’app Coccole Pampers, ma lo renderemo presto “reale” per aiutare i genitori a connettersi tra loro.
Raccontiamo storie vere che riflettono il nostro impegno e i nostri valori, facendo leva sull’impegno sociale dei nostri brand che si concretizza nelle iniziative che portiamo avanti attraverso partnership di lungo periodo con le associazioni con cui collaboriamo. Tra le nostre iniziative c’è il podcast Parents@Fater, che esplora cosa significa vivere la genitorialità in un’azienda come la nostra. Raccontiamo non solo le storie dei genitori, ma anche le misure di welfare che abbiamo implementato grazie all’ascolto. Affrontiamo temi come l’esperienza dei papà in congedo parentale e il supporto che un programma di coaching può offrire al momento del rientro al lavoro dopo la maternità. Oltre al podcast, utilizziamo altri canali per il nostro storytelling, come i social media, i video e gli eventi dal vivo. Ogni piattaforma ci offre un modo unico per connetterci con il nostro pubblico e raccontare la nostra storia in modo coerente e autentico. Siamo sempre alla ricerca di nuovi modi per espandere il nostro storytelling e raggiungere un pubblico più ampio.
Una narrazione per ogni brand
Riccardo Corsini, Group Head of Marketing Communication & Advertising del Gruppo FS
Appena arrivato, mi sono impegnato a portare le best practice assimilate nei precedenti lavori e a puntare sullo sviluppo della brand equity. Pensando al Gruppo FS, la prima cosa che viene in mente al 70% degli italiani è il trasporto passeggeri, ma l’universo è molto più complesso: ci occupiamo anche di trasporto merci, opere strategiche e rigenerazione urbana. Una delle chiavi per raccontare il Gruppo? Metterlo in parallelo con la storia del nostro Paese.
Un esempio su tutti è l’alta velocità, che in Italia ha rappresentato un cambiamento disruptive nelle abitudini di viaggio, vita e lavoro. Ma non è solo una questione di velocità. La mission è ridurre le distanze, offrire più comfort. Raccontiamo e dimostriamo che i nostri investimenti in tecnologia, innovazione e infrastrutture contribuiscono a cambiare il volto del Paese. Del resto, i numeri non mentono: ogni giorno facciamo viaggiare circa 9 mila treni e 2 milioni di passeggeri. L’alta velocità è il nostro fiore all’occhiello, protagonista in molti Paesi d’Europa. Le tratte del Frecciarossa verso Francia, Spagna e, in futuro, Germania, possono essere accomunate a un concetto di metropolitana europea. Del Frecciarossa evidenziamo l’eccellenza, che ci ha permesso e ci permette di costruire anche partnership con brand al top che ci uniscono per valori e posizionamento.
Per i treni regionali abbiamo puntato sul rebranding Regionale, grazie alla campagna olistica Rebel revolution. Il cuore della narrazione consiste nell’importanza di rendere il modo di viaggiare più sostenibile e tecnologico. Il target principale oggi è la Generazione Z, che non ha più il mito dell’auto, tantomeno di proprietà, e sceglie di viaggiare grazie all’intermodalità: mezzi diversi, molti elettrici (ricaricabili su alcuni nostri treni) e in sharing, che generano minore impatto sul Pianeta.
Degli Intercity evidenziamo che permettono di raggiungere in pieno comfort 200 località, molte non toccate dall’alta velocità. In particolare, gli Intercity notte, permettono una experience unica e sempre più confortevole. L’eccellenza si racconta anche grazie all’attenzione alla customer experience dei viaggiatori, un’esperienza di viaggio che parte da casa e arriva fino a destinazione. Il tutto, anche grazie ai nostri programmi di loyalty, da cartafreccia a x-go, che contano milioni di iscritti.
Grazie allo storytelling raccontiamo anche le altre cose che facciamo, come la rigenerazione urbana: dismissione di asset come scali ferroviari, riconsegnati alle città perché siano riqualificati. Altro tema della nostra comunicazione è la logistica: il trasporto su ferro è più sostenibile, riduce il trasporto su gomma, che è più inquinante, e migliora la qualità della vita. Come raccontare ritardi, incidenti, rallentamenti? La strategia è usare un tone of voice meno di intrattenimento e più informativo. Comunicare il vantaggio che quel cantiere aperto porterà permette di sopportare meglio il problema momentaneo. Ma, alla fine, la nostra arma comunicativa più efficace è rappresentata dalle 90 mila persone che lavorano con noi, molte a contatto con i clienti, il vero patrimonio del nostro gruppo.
Uscire dall’omologazione
Daniele Cobianchi, Chief Executive Officer di McCann Worldgroup Italy e Mediabrands Italy President
Sono da oltre 25 anni nel mondo dei network di comunicazione, ho al mio attivo tre romanzi e qualche disco come cantautore. Alla parola storytelling sono allergico da quando ho saputo che il salumiere di fiducia di Alessandro Baricco, vedendolo entrare – e dopo aver cambiato la disposizione dei prosciutti appesi – gli disse: «Sandro ti piace il mio nuovo storytelling?».
Tornando seri, “quella cosa lì” è la capacità di raccontare chi si è, cosa si è e che cosa si fa, con un tono di voce che possa esprimere la propria verità, la personalità e i valori. O, forse, è il modo di farsi leggere e interpretare dagli altri con trasparenza. Non dovrebbero esserci filtri né registri posticci nel raccontarsi come individui o come brand. Ormai è tutto storytelling, tanto che lo storytelling non esiste più.
L’obbligo di essere continuamente online, di allinearsi agli algoritmi delle piattaforme, di alzare il tono della propria voce, il sensazionalismo, il destreggiarsi nella frammentazione delle audience, la paura di essere invisibili e pertanto irrilevanti hanno trasformato tutto in una grande marmellata dal gusto amaro.
Uscire da questa omologazione non è facile ma c’è una ricetta: non tradire ciò che si è nella sostanza, la propria equity, il proprio sistema valoriale e cercare un linguaggio nuovo, compatibile con la tecnologia e le regole della distribuzione digitale. Impresa non facile. I grandi brand con storie e valori importanti alle spalle devono impegnarsi per costruire questo trade off, che è l’unica arma che possiedono per farsi ascoltare e non essere sorpassati dal velocissimo mondo nuovo.
Come riferimento per lo storytelling in Italia, cito la Scuola Holden, di cui sono un fan e con cui spero di poter collaborare presto. La transmedialità è la grande sfida: costruire modelli nuovi per comunicare concetti vecchi ma indispensabili per andare avanti costruendo valore. Riportarsi a casa etica e trasparenza, soprattutto ora che non si sa più quale sia la verità. E se McCann dal 1912 ha un motto che è Truth Well Told (la verità ben detta), ridargli centralità è quello che noi proviamo a fare ogni giorno con i brand che ci hanno scelto per rimanere rilevanti nel futuro.
Ogni azienda deve puntare su una narrazione efficace in ogni singolo istante. Un disallineamento tra realtà e percezione può diventare un coltello puntato alla schiena. Tutte le audience e tutti gli stakeholder sono pronti a farti la pelle appena commetti un passo falso. Ricordiamoci sempre il famoso “errore di comunicazione” e quello che ahilei, ma anche ahinoi, è accaduto. Fra i casi di successo segnalo la comunicazione della Birra Raffo. In questo caso, la “pugliesità” non ha rappresentato uno storytelling, ma la cultura unica di un popolo e del suo territorio. Con Birra Raffo abbiamo prima indagato e poi “ben detto questa verità” e, come sempre accade quando non si finge, ha funzionato.
Ora il focus è sul servizio
Paola Foglia, Head of Communication di Verisure
La nostra mission è legata a temi molto delicati: la sicurezza e la protezione come bisogni essenziali. Per questo, la nostra comunicazione non si limita a presentare un prodotto, ma racconta un servizio, vero e proprio ecosistema di protezione, reso possibile grazie a tante professionalità diverse: guardie giurate della centrale operativa e sul territorio, tecnici installatori e manutentori, gli addetti al customer service. Siamo persone che proteggono persone. Nel tempo, la nostra narrazione è cambiata, pur mantenendo sempre al centro il cliente.
In passato, il focus era sugli aspetti tecnologici del prodotto che, seppur rappresentando ancora un nostro punto di forza – basti pensare che nel comparto di ricerca e sviluppo lavorano ben 600 ingegneri – non mettevano in luce la completezza dell’offerta, che va ben oltre il semplice dispositivo. Ora la narrativa si è spostata dal cosa (il prodotto) al come (il servizio), evidenziando il valore aggiunto della nostra centrale operativa h24, delle guardie giurate e della verifica in caso di allarme.
Un’evoluzione in linea con il Dna di Verisure – che è una multinazionale svedese, da 12 anni in Italia e dal 35 nel mondo – caratterizzato da innovazione e continua evoluzione. Una strategia che mira anche a costruire una leadership di pensiero nel settore della sicurezza, offrendo dati e visione su temi rilevanti. L’Osservatorio sulla sicurezza in collaborazione con Censis, per esempio, fornisce una panoramica sulla situazione del Paese. Uno strumento con cui vogliamo aumentare il livello di consapevolezza delle persone nei confronti dei rischi. Per il 48% degli italiani il furto è la preoccupazione principale. Dati alla mano, abbiamo dimostrato che la maggior parte dei furti negli appartamenti avvengono tra le 17 e le 19, orario invece ritenuto sicuro, tanto che in pochi, pur avendolo, attivano il sistema di allarme. Facciamo informazione, quindi, ma non allarmismo.
Mettere al primo posto rischi e pericoli fa parte di un vecchio modo di fare storytelling, che rischia di sortire l’effetto contrario e cioè suscitare paura nelle persone. Il tema è delicato e sensibile – la protezione di sé stessi, dei propri cari e dei propri beni – perciò va trattato con grande attenzione e sensibilità.
Sono entrata in Verisure da alcuni mesi, provengo da grandi aziende come Eni e Tim. Di storytelling mi sono sempre occupata. A colpirmi in particolare in questa azienda è la mission che si percepisce a ogni livello: voler avere un impatto. Ho trovato un’azienda in forte crescita, giovane, dinamica, con una cultura aziendale orientata al fare e al miglioramento continuo. Anche con la nostra narrazione desideriamo comunicare la nostra cultura dell’errore: è meglio mettere in conto di sbagliare per migliorarsi ogni giorno e innovare, piuttosto che accontentarsi di buone performance con processi rigidi. A rassicurarci sull’alto livello qualitativo dei nostri servizi più dei premi ci sono i feedback dei clienti.
Il prodotto al centro
Elisabeth Leriche, Marketing Director & Board Member di Renault Italia
Sono di origine francese, ho compiuto studi in marketing del lusso, fatto esperienze con brand come Cartier e Guerlain, ma lavoro da oltre vent’anni in Renault Italia e da uno e mezzo ho assunto la carica di Marketing Director. Questo per spiegare che il mio approccio allo storytelling risente dell’influenza del mondo del lusso. E anche di una dimensione internazionale, che accomuna Paesi come l’Italia e la Francia nella ricerca di un design emozionale e di una cura dei dettagli in grado di restituire al cliente un’esperienza a 360°.
Un rilevante veicolo di narrazione è rappresentato per noi dal ripensamento e dall’attualizzazione di modelli storici di Renault, come R5, R4 e Twingo. Una rivisitazione dal punto di vista del design, delle prestazioni e dell’attenzione ai consumi e alla sostenibilità. Così da un lato parliamo ai consumatori di ieri, che ritrovano modelli che hanno amato e che oggi risultano ripensati e modernizzati, e dall’altro ai giovani di oggi, particolarmente sensibili alle tematiche legate alla sostenibilità e alla salvaguardia del Pianeta.
In questo modo Renault, che ha oltre 125 anni di storia, porta avanti una strategia di design retrofuturistico, che mette d’accordo la Generazione Z con quelle precedenti. Un esempio è la riproposizione del concetto alla base dello spot del 1984 che raccontava la voiture à vivre grazie alla musica di Robert Palmer. Resta il concetto di fondo, ma cambiano alcuni aspetti; per esempio, la musica è reinterpretata dai Placebo. Lo stesso avviene con il logo, che si evolve in continuità con il passato.
Una particolarità dello storytelling nel settore automotive è che non si può effettuare una narrazione che prescinda dal prodotto. Un primo aspetto da illustrare è quello tecnologico. Noi parliamo di tecnologia umanizzata, quindi non solo di performance e aspetti meccanici, che è un punto di vista più usato in Germania. Ci soffermiamo, invece, su come la tecnologia possa facilitare la vita degli utenti. E così si sottolineano la connettività offerta da Google o l’aiuto garantito dall’Intelligenza Artificiale, basti pensare all’avatar ufficiale Renault, Reno, presentato per la prima volta su R5 E-tech Electric.
Il secondo aspetto riguarda l’abitabilità, intesa come spazi e comodità all’interno dell’abitacolo. Il terzo, il più importante, è relativo alle modalità di alimentazione, dalle ibride alle full electric, in un’ottica di auto sempre meno impattanti dal punto di vista ambientale. Il nostro storytelling è molto attento ai giovani. Perciò si lavora su tanti aspetti, compreso il colore delle auto. Le nuove tinte pop, e in particolare citerei il giallo e il verde di R5, permettono di attirare l’attenzione anche della GenZ. E ancora, i giovani non sono più tanto propensi a visitare concessionarie fuori città. Perciò, anche per loro, mettiamo a disposizione un nuovo format di punto vendita nei centri cittadini, gli rnlt, moderni, compatti, dove fare una full immersion nell’universo della marca, più adatti a un pubblico di trendsetter.
Vincono le storie interessanti, meglio se vere
Francesco Lucchetta, Chief Strategy Officer di Vml Italia
Lo storytelling è un modo con cui connettere le marche alle persone e viceversa. Le storie sono utili per creare delle relazioni. Ma lo storytelling è in pericolo. Il mondo digital ha ridotto il tempo a disposizione per l’ascolto e frammentato la narrazione. Così sembrano funzionare solo contenuti flash. Questo ha delle ripercussioni in tutti gli ambiti.
Nella musica, per esempio, più dell’album dell’artista contano le singole hit e all’interno delle hit il ritornello diventato popolare su TikTok. Eppure emerge anche, specie da parte di alcuni target, l’attitudine a fruire contenuti più lunghi, come per esempio certi podcast. In questo contesto, le marche devono essere capaci di comunicare in modo anche frammentato, ma mantenendo il filo conduttore di una narrazione che prosegue nel tempo. La “pillola” deve rappresentare un elemento inserito in una strategia di comunicazione di lungo periodo.
Porto l’esempio di ITA Airways, che seguiamo dall’inizio. Negli anni, abbiamo lavorato al suo storytelling, declinato in contenuti diversi per piattaforme e target differenti. Per questo cliente abbiamo lavorato in particolare sul tone of voice: confidenziale, vicino alle persone, non urlato; in un mondo in cui gridano tutti, parlare a bassa voce è diventato un valore aggiunto. E poi abbiamo calibrato la comunicazione in base al target, evidenziando di volta in volta gli elementi di italianità maggiormente apprezzati. E così, per esempio, ai consumatori giapponesi abbiamo parlato di moda e design e a quelli americani di cibo e vini.
Va aggiunto che lo storytelling veicolato dai social si arricchisce del confronto con gli utenti e delle loro reazioni, di cui i brand reattivi tengono conto. Nella scelta dei temi da trattare, si fanno due serie di valutazioni. La prima riguarda gli argomenti che il brand sente vicini. La seconda implica una verifica dei temi di tendenza, sempre cercando di capire quali argomenti sono effimeri e quali invece garantiscono un interesse di più ampio respiro.
È chiaro che temi come l’inclusione e la sostenibilità fanno ormai parte in pianta stabile del bagaglio narrativo delle principali realtà. Ma le marche devono poi capire come trasformare le storie in equity e business, cioè in valore e vendite. Il tema della caducità resta centrale. Le campagne pubblicitarie vedono due fasi: wear-in e wear-out. La prima è la fase di lancio iniziale, quando la campagna inizia a essere vista, ricordata, diventa memorabile. La seconda è quella in cui il messaggio della campagna perde efficacia.
La sensazione è che oggi, nella continua frenesia e ricerca di nuovi stimoli, prodotti, idee ci siano difficoltà con la prima fase, si fatichi ad arrivare all’espressione piena del valore della campagna. Anche per questo c’è sempre più bisogno di bravi storyteller, in grado di narrazioni di marche, ma anche di persone. Una storia, per avere successo, deve essere interessante. Ma se è anche vera, parte avvantaggiata. La verità appassiona.
Articolo pubblicato sul numero di Business People di marzo 2025. Scarica il numero o abbonati qui
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