La maggioranza degli italiani (il 51%) considera più sicuri i titoli di Stato o le obbligazioni emesse dalle grandi aziende piuttosto che il semplice investimento azionario. Tuttavia, l’alfabetizzazione finanziaria degli abitanti del nostro Paese è molto bassa al punto che più della metà non ha ben chiare le differenze tra titoli di Stato e obbligazioni corporate, mentre circa l’80% non è a conoscenza del funzionamento di un’obbligazione. È il quadro che emerge da un’indagine condotta dalla società di consulenza finanziaria Moneyfarm sugli italiani, definiti poco propensi a investire e con una spiccata avversione al rischio.
L’identikit del risparmiatore italiano
Secondo l’indagine di Moneyfarm, il 52% degli italiani bancarizzati non ha effettuato alcun investimento negli ultimi quattro anni, contribuendo ad accrescere la quota di liquidità ferma sui conti correnti ed esposta al potere erosivo dell’inflazione. Del 48% che dichiara di aver effettuato almeno un investimento dal 2020 a oggi, la stragrande maggioranza (75%) ha optato per l’investimento obbligazionario, diretto o indiretto. Il quadro cambia radicalmente tra chi possiede un patrimonio superiore ai 50 mila euro: gli investitori passano dal 48% al 80%.
L’investimento in titoli di Stato o in obbligazioni emesse dalle grandi aziende viene percepito come più sicuro dell’investimento azionario dal 51% del campione. La prima preoccupazione associata al reddito fisso è legata al rischio di mercato: ben il 55% dei rispondenti teme di trovarsi costretto a vendere il titolo prima della scadenza a un prezzo inferiore rispetto a quello di acquisto. Altri rischi oggettivi dell’investimento obbligazionario, come il rischio di insolvenza dell’emittente e la riduzione della competitività della cedola a causa dell’aumento dei tassi, sono in cima alle preoccupazioni solo di una minoranza, rispettivamente del 26% e del 23% del campione di investitori.
A far riflettere ancora di più, anche in vista del percorso di tagli ai tassi che ci si attende dalla Bce, è il fatto che la stragrande maggioranza dei rispondenti (77%) ignora il meccanismo alla base dell’investimento obbligazionario: 4 investitori su 5 non sanno indicare la risposta corretta alla domanda “Cosa accade al valore di un’obbligazione quando il tasso di interesse fissato dalla Bce scende?”. Nello specifico, a ignorare completamente i rapporti di variazione prezzo-rendimento in relazione alla variazione ufficiale dei tassi è il 31% del campione e a rispondere in modo errato (“Il valore dell’obbligazione resta invariato” o “Il valore dell’obbligazione scende”) il 46%.
Se il livello di rischio relativamente contenuto spiega l’attrazione degli italiani verso il reddito fisso, a incentivare l’investimento in titoli di Stato contribuiscono senz’altro anche la garanzia dello Stato italiano, le cedole periodiche e l’aliquota fiscale agevolata. Una ricetta che, condita da una campagna mediatica pervasiva, ha determinato il recente successo del Btp Valore, l’obbligazione del Tesoro rivolta ai risparmiatori retail lanciata nel giugno 2023 che in meno di un anno ha raccolto complessivamente 65 miliardi di euro. Il 31% del campione intervistato da Moneyfarm dichiara di aver sottoscritto Btp Italia o Btp Valore e oltre la metà di questi sottoscrittori dice di essere stata influenzata dalla massiccia campagna di comunicazione che ne ha accompagnato l’emissione, tanto efficace che solo il 15% degli intervistati dichiara di non aver mai sentito parlare di questi strumenti.
La differenza tra titolo di Stato e obbligazioni
La maggioranza del campione non ha ben chiare le differenze tra titoli di Stato e obbligazioni corporate, ossia i titoli emessi da società private (per lo più banche e industriali) per finanziarsi. Addirittura, l’82% crede, erroneamente, che i titoli di Stato siano più facili da vendere delle obbligazioni corporate, il 38% pensa che i titoli di Stato abbiano rendimenti mediamente inferiori alle obbligazioni corporate e il 46% ignora che a queste ultime sia associato un rischio maggiore dei titoli di Stato. Allarmante il fatto che la diversificazione sia importante solo per un terzo del campione (35%), mentre molti ritengono che investire in un singolo titolo obbligazionario sia un approccio ugualmente valido (19%) o addirittura migliore (12%) e moltissimi (34%) non hanno un’opinione in merito.
Meno della metà degli intervistati conosce la tassazione delle obbligazioni. In materia di tassazione delle plusvalenze derivanti dai titoli obbligazionari, infatti, è solo il 34% del campione a sapere con esattezza l’entità dell’aliquota agevolata applicata al capital gain sui titoli di Stato quali Btp, Bot, Cct e Ctz, pari al 12,5%, e ancora meno (20%) sono coloro che conoscono con precisione l’aliquota effettiva del 26% applicata alle plusvalenze sulle obbligazioni corporate. La dimestichezza con il regime fiscale riservato alle obbligazioni cresce negli investitori affluent: tra chi possiede un patrimonio investibile superiore ai 50 mila euro, infatti, la percentuale di chi conosce con esattezza l’entità delle aliquote applicabili al capital gain su titoli di Stato e obbligazioni corporate è pari, rispettivamente, al 55% e al 42%.
Se si guarda al recente passato dei mercati finanziari, il 2022 è stato un anno particolarmente negativo per gli investitori che, però, dalla storia possono trarre delle lezioni importanti. Tuttavia, oltre la metà dei rispondenti dichiara di non sapere cosa sia accaduto né sul fronte azionario né su quello obbligazionario. In particolare, il 54% non sa che in quell’anno il valore dei titoli di Stato in portafoglio è sceso mediamente dell’11%.
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