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Lavoro

In pensione a 67 anni: ecco cosa cambia

L’Istat vara l’automatismo legato alla speranza di vita e la Consulta legittima il provvedimento. Non c’è più speranza, a meno che il governo…

Si andrà in pensione a 67 anni? Sì, non c’è più speranza o quasi. Resta in prima linea solo il Pd – esatto, il partito leader della maggioranza – a lottare contro l’adeguamento automatico dell’età pensionabile a 67 anni dal 2019 in seguito all’aumento delle stime dell’Istat sulla speranza di vita.

In pensione a 67 anni: la decisione dell’Istat

Il più critico contro la decisione che innalza l’età per andare in pensione a 67 anni è il ministro dell’Agricoltura, Maurizio Martina: «Non tutti i lavori sono uguali. E non tutti i lavoratori hanno la stessa aspettativa di vita per le mansioni che fanno. Le norme volute dal governo Berlusconi e poi modificate dal governo Monti sull’aumento automatico dell’età pensionabile vanno riviste e per questo serve un rinvio dell’entrata in vigore del meccanismo. I tempi per una discussione parlamentare a partire dalle commissioni preposte ci sono tutti ed io credo sia giusto prendersi tutto lo spazio utile per aggiornare questa decisione anche alla luce di nuove valutazioni».

Cosa cambia per i manager

Cosa cambia per i manager con la nuova età pensionale? Nella simulazione del Corriere della Sera, «l’ingegner Russo, dirigente industriale, ha 60 anni di età e lavora da 35 anni. Avendo riscattato la laurea (ingegneria, 5 anni), oggi può contare su una anzianità complessiva di ben 40 anni. Il suo stipendio annuo lordo è di 90 mila euro, corrispondente a poco più di 4 mila euro netti al mese. La data del suo pensionamento è prevista nel 2020, all’età di 63 anni, dopo aver accumulato 43 anni e 4 mesi di contribuzione. (…). Con un incremento reale dello stipendio e del Pil dell’1,5% il nostro dirigente potrà ritirarsi con una pensione molto vicina all’80% dell’ultimo stipendio».

Il sì della Consulta

A smontare le proposte dei critici, però, arriva anche il comunicato della Corte Costituzionale che ha respinto le obiezioni di incostituzionalità del decreto-legge 65 del 2015 in tema di perequazione delle pensioni. Il no della Consulta sarebbe potuto costare fino a 30 miliardi di euro, mentre è stato definito legittimo dal punto di vista costituzionale il bonus Poletti sulle perequazioni pensionistiche.

La legge Fornero

Il provvedimento risale alla Legge Fornero che aveva bloccato nel biennio 2012-2013 l’adeguamento automatico all’inflazione delle pensioni con un importo mensile di tre volte superiore al minimo Inps (circa 1.450 euro lordi). La norma era stata bocciata dalla stessa Corte costituzione, proprio nell’aprile del 2015. Per questo il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, aveva provato a risolvere la questione stabilendo una restituzione di quanto sottratto, ma non universale e non per la totalità della cifra. totale per tutti. Il 100% è stato previsto solo per le pensioni fino a 3 volte il minimo Inps; a quelle da 3 a 4 volte è stato concesso il 40%, che scende al 20% per gli assegni superiori di 4-5 volte il minimo, e al 10% per quelli tra 5-6 volte. Chi percepisce una pensione superiore a 6 volte il minimo Inps è stato escluso dalla restituzione.

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