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Sostenibilità

Fight the Stroke: lottare con il sorriso

È la storia di Fight the Stroke, associazione nata da un dolore personale per supportare i genitori con figli colpiti da ictus

La storia di Francesca Fedeli e Roberto D’Angelo inizia come quella di un film romantico. Lui il bibliotecario, lei la studentessa, si conoscono all’Università di Bologna, si innamorano e una volta laureati si trasferiscono a Milano, dove costruiscono la loro famiglia. Tutto cambia nel 2011, con la nascita di Mario: a dieci giorni dal parto i medici spiegano alla coppia che il bimbo ha avuto un ictus e che avrebbe sviluppato diverse disabilità. «La parte più difficile è stata recuperare le informazioni», racconta Francesca Fedeli. «Sul web si trova di tutto riguardo l’ictus negli adulti, mentre lo stesso problema nei bambini è quasi sconosciuto». Dopo tanto studio e tante battaglie per regalare al piccolo Mario il miglior futuro possibile, nel 2013 Francesca e Roberto decidono di creare una pagina Facebook in cui i genitori con il loro stesso problema potessero confrontarsi. Sono, infatti, dai due ai tre ogni mille nati i bambini colpiti in un anno da questa patologia. «All’inizio abbiamo avviato il progetto per condividere le informazioni raccolte», continua Francesca, «ma il network si è allargato velocemente ed è diventato internazionale: e così quest’anno siamo stati invitati al primo summit europeo dei Gruppi su Facebook».

Ed è proprio dal successo di quella comunità online che Francesca e Roberto decidono di fondare Fight the Stroke, un’associazione con una missione precisa: supportare le famiglie con figli, da 0 a 35 anni, colpiti da ictus. Francesca, Roberto e il loro piccolo Mario portano avanti questa missione seguendo più direttrici. La prima linea d’azione riguarda la creazione di una maggiore consapevolezza nell’opinione pubblica: «Il modo più semplice per farlo è intervenire attraverso la divulgazione scientifica. Per questo abbiamo creato l’evento Call For Brain, che ogni anno a novembre a Milano trasmette gli interventi del TedMed americano, dà voce agli esperti ma anche alla società civile», spiega Fedeli. Si passa poi alla prevenzione: «Questa è l’area su cui manca più conoscenza, perché l’ictus nei bambini oggi è ancora spesso imprevedibile».

Infine c’è la diagnosi precoce e la riabilitazione, che Fight The Stroke permette grazie alla promozione di terapie avanzate: «Con la collaborazione dell’ospedale Gaslini di Genova, abbiamo creato il primo Centro per lo Stroke del neonato e del bambino in Italia. Il centro dispone di un’équipe di professionisti di diverse discipline, una capacità tecnologica avanzata e progetti di ricerca già avviati in rete con i migliori centri di tutto il mondo». Proprio grazie a questo percorso, in pochi anni Fight The Stroke è cresciuta, aiutando più di un migliaio di famiglie e creando un network globale di organizzazioni che si occupano di prevenzione e cura di giovani colpiti da ictus. «Di solito sono le famiglie a contattarci, ma spesso sono i pediatri a indirizzare i genitori a noi, quando è l’aiuto tra pari che può fare la differenza o c’è bisogno di tecniche riabilitative più avanzate». Che l’associazione può garantire anche grazie alla grande rete di volontari e professionisti, attivati a seconda dell’iniziativa. «Non abbiamo un numero fisso di collaboratori», precisa Francesca. «Ad esempio al nostro ultimo progetto, MirrorAble, ha partecipato un team di nove esperti che lavoravano in sincrono ma remotamente, dalla Nuova Zelanda alla Svizzera. Per gli eventi riusciamo invece ad attivare una rete di più di 50 volontari».

Se all’apparenza Fight The Stroke può sembrare una organizzazione a conduzione familiare, in realtà esce dagli schemi del non profit per seguire quelli più ibridi delle B Corporation: «Abbiamo deciso di darci una struttura imprenditoriale a impatto sociale. Per esempio, la piattaforma di riabilitazione MirrorAble è stata finanziata inizialmente da grant promossi da fondazioni locali e internazionali, ma a regime lo statuto organizzativo è quello dell’impresa sociale. Pensiamo che certi temi non possano essere supportati solo dalle donazioni, che sono variabili, ma da un modello in grado di rispondere con continuità alle aspettative di pazienti e familiari». Un modello che pare essere vincente. Nel 2015 Francesca Fedeli è diventata la prima Ashoka Fellow italiana, riconoscimento conferito agli innovatori sociali: «Si entra in un network di persone che hanno individuato un problema a forte impatto sociale e hanno poi trovato una soluzione. Tra loro c’è anche il creatore di Wikipedia». Non solo, sempre nel 2015 la storia di Fight The Stroke è diventata anche un libro dal titolo Lotta e sorridi, il cui ricavato va a sostenere la ricerca.