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Obbligo pos: luci e ombre del provvedimento

Dal 30 giugno scorso rifiutare un pagamento con carta o altri sistemi digitali comporta sanzioni per commercianti e professionisti. Ma ci sono ancora diversi punti oscuri da chiarire

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Per primo ci provò il governo Monti nel 2012 con il Decreto Crescita 2.0: dal 1° gennaio 2014 commercianti, artigiani, professionisti e imprese avrebbero obbligatoriamente dovuto dotarsi di un Pos (acronimo di point of sale) per poter permettere i pagamenti con carte e bancomat. Il provvedimento, però, non prevedeva sanzioni per chi non assolvesse l’obbligo e sappiamo cosa questo possa significare nel nostro Paese. Il secondo governo Conte provò a metterci una pezza nel 2019, istituendo le sanzioni, ma al momento della conversione in legge l’articolo relativo fu abrogato. La firma definitiva, ormai è certo, è quella di Mario Draghi, visto che lo stesso provvedimento, completo di sanzioni, ora è contenuto nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr), l’imponente pacchetto di riforme che dovrebbe assicurarci i massicci investimenti europei.L’anticipo dell’entrata in vigore delle sanzioni al 30 giugno 2022 (inizialmente la data prevista era il 1° gennaio 2023) ha rianimato le proteste di commercianti e professionisti. Non si contesta tanto la norma in sé, quanto la sua reale attinenza con il vulnus che vorrebbe andare a riparare. All’interno del Pnrr, infatti, l’obbligo dei pagamenti elettronici e le relative sanzioni, vengono presentati fra le iniziative per combattere l’evasione fiscale. «L’osservatorio del Politecnico di Milano ha diffuso dei numeri molto interessanti», ci dice Paolo Ferré, consigliere di Confcommercio Imprese per l’Italia e, come tale, auditore nelle commissioni Affari costituzionali e Istruzione del Senato sul decreto in questione. «Nel 2021 il 38% dei consumi è stato pagato elettronicamente, per un totale di 327 miliardi di euro. Rispetto al 2020 c’è stato un aumento dell’importo transato del 22%. Il numero delle transazioni è aumentato del 34% nel 2021 rispetto al 2020, per un totale di circa 7 miliardi di transazioni. Il trend di crescita dal 2016 al 2019 è sempre stato mediamente nell’ordine del 10% annuo. Sempre nel 2021 registriamo una crescita delle istallazioni di Pos attivi del 16%. L’Italia è uno dei Paesi europei dove c’è il più alto numero di istallazioni di Pos». Questi dati sembrerebbero indicare che, nonostante mancasse un vero sistema sanzionatorio, la crescita ci sia stata comunque, e anche piuttosto importante. Dunque, inserendo la questione sanzioni nel Pnrr ci saremmo praticamente obbligati da soli ad accelerare un provvedimento che stava già dando i suoi frutti. Anche mettendosi dalla parte di commercianti e professionisti, però, si fa fatica a pensare che il problema sia alla fine solo un anticipo di sei mesi sull’applicazione delle sanzioni.

Una questione di costi?

«L’anticipo è sicuramente un problema, e avremmo auspicato una proroga fissata almeno alla fine dell’anno, quindi alla vecchia scadenza», ammette il consigliere di Confcommercio. «Quello che contestiamo con forza, però, sono le ragioni stesse del provvedimento. Ovvero che sia stato preso per ragioni fiscali, per combattere l’evasione fiscale. Una volta c’erano effettivamente molte possibilità di acquistare merci senza fattura, ma ormai tutte le attività commerciali acquistano le merci con fattura, quindi bisogna anche giustificare le uscite… il nero, il sommerso vanno cercati altrove. Bisogna combattere gli evasori totali, o comunque i grandi evasori. Mentre così si mettono solo in ulteriori difficoltà le piccole attività commerciali. Noi ne facciamo una questione di costi, perché secondo noi quelli legati al Pos sono troppo elevati. Quando sono stato in audizione in Senato ho precisato che siamo a favore di una politica di incentivazione dell’utilizzo della moneta elettronica e contro le sanzioni. È qualcosa che va anche a nostro vantaggio. Basti pensare alla differenza che per noi fa avere o meno una cassa piena di contanti che ci espone a rapine… Ben venga una politica di incentivazione. Anche nei riguardi dei consumatori che sono ancora legati alla moneta fisica. È una questione di abitudine, di cultura. Bisogna lavorare anche su quella. I numeri ci mostrano che qualcosa sta cambiando, ma bisognerebbe spingere di più». Altro tema, aggiunge Ferré, riguarda i professionisti, tirati in ballo al pari dei commercianti. «Loro in genere incassano con assegno circolare o bonifico, non in contanti. Le faccio l’esempio di mia cognata, notaio. Ha installato il Pos ma dice: “se è per l’onorario, io ci pago volentieri le commissioni, ma gran parte della fattura che io emetto sono tasse che vanno allo Stato. Perché devo pagare la commissione anche su quella parte della fattura?”. Un altro esempio sono i tabaccai e i distributori di carburante. Buona parte del costo dei tabacchi e dei carburanti è fatto dalle accise che vanno direttamente allo Stato. Eppure, permettendo l’acquisto tramite Pos, loro pagano la commissione su tutta la cifra, anche su quella che si prende lo Stato. Per qualcuno si tratta di sottigliezze, però quando si fa un provvedimento, sarebbe opportuno prima sedersi intorno a un tavolo con chi conosce più approfonditamente la materia».

Meglio gli incentivi delle sanzioni

Incentivare invece di sanzionare, dunque. I canali su cui muoversi sono fondamentalmente due: il credito d’imposta e le commissioni sui micropagamenti. A oggi il 30% del monte commissioni pagato da un’impresa o un professionista può essere utilizzato come credito d’imposta. Però c’è un limite: è destinato a chi l’anno prima abbia fatturato non più di 400 mila euro. «Ed è uno strumento importante già così», precisa Ferré. «Ma è destinato a una fetta troppo esigua. Se vogliamo incentivare seriamente l’utilizzo dei pagamenti elettronici, bisognerebbe alzare quella soglia di fatturato a 700 mila o a un milione di euro. Noi abbiamo proposto anche un innalzamento strutturale al 50% invece che al 30% del monte commissioni. Nel Decreto Sostegni bis c’era già stato un incremento sul credito d’imposta dal 30% al 100% per i soggetti che avevano il Pos collegato direttamente alla fatturazione elettronica. Abbiamo chiesto che questo possa essere prorogato fino alla fine dell’anno e che il credito d’imposta venga applicato anche sull’acquisto degli strumenti per l’accettazione dei pagamenti elettronici. E poi ci sono i micropagamenti. Abbiamo chiesto che venga decisa una sorta di franchigia. Con alcuni istituti di credito particolarmente sensibili alla problematica abbiamo delle convenzioni a livello nazionale grazie alle quali per i pagamenti sotto i 10 euro si viene esentati dalla commissione. Non sarà facile ottenere condizioni del genere per tutti e con tutti. Tornando ai distributori di carburante, un nostro collega, Luca Squeri che siede in Parlamento in qualità di deputato, è stato presidente della Federazione italiana gestori impianti stradali carburanti (Figisc). In quella veste, con un emendamento votato all’unanimità, aveva ottenuto che i distributori venissero esentati dalle commissioni. Fatto il decreto, quasi tutte le banche hanno minacciato di togliere il Pos ai distributori, rendendo impossibile usare le carte di credito per fare benzina. Quindi noi possiamo anche cercare di ottenere facilitazioni sui micropagamenti, ma se poi chi ha in mano il pallino decide di aggirare la legge, diventa impossibile».

Il 30 di giugno sono entrate in vigore le sanzioni e sembra difficile, se non impossibile, che ci sia una proroga. Chiunque non si sarà dotato del Pos o si rifiuterà di utilizzarlo, sarà passibile di una multa di 30 euro più una parte variabile pari al 4% dell’importo della transazione. Resta molto fumosa, però, la questione relativa a come dovrebbe essere comminata la sanzione. Sembrerebbe che tocchi al singolo acquirente denunciare l’accaduto. «Il cliente dovrebbe uscire dal negozio, sperare di trovare lì intorno Carabinieri, Polizia o Guardia di Finanza, o chiamarli e cercare di convincerli a venire nel negozio a fare un accertamento. È complicato ed è anche per questo che dovremmo cercare di non renderci ridicoli», conclude l’esponente di Confcommercio. «La strada degli incentivi mi sembra davvero più promettente rispetto a quella delle sanzioni. È vero che è tardi per ottenere ora qualcosa, ma nulla ci vieta di metterci intorno a un tavolo con Abi, associazioni di categoria e governo per trovare una soluzione migliore per tutti».