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Attualità

La manovra delle vanità

I giorni che dovevano salvare l’Italia e invece hanno solo rinviato le riforme che ci avevano promesso e rimandato a chissà quando gli interventi per lo sviluppo

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Nessuna manovra varata nella storia della Repubblica è stata più travagliata di quella che avrebbe dovuto portare l’Italia fuori dal raggio d’azione della speculazione internazionale. Con un percorso così elaborato (per usare un eufemismo) il minimo che ci si sarebbe aspettati è che fosse decisiva, invece, caso più unico che raro, perfino i componenti della maggioranza di governo, appena approvata, hanno ammesso che non sarebbe bastata a infondere fiducia ai mercati. I quali se non con brevi intervalli, hanno continuato a “sfiduciare” l’Italia chiedendo interessi fino al 5% per acquistare i nostri titoli del debito pubblico. In 63 giorni, tra il 13 luglio e il 14 settembre la manovra è stata rivoltata come un calzino almeno quattro volte (cinque, secondo altre fonti) e il risultato è stato che la correzione dei conti da oltre 50 miliardi di euro avviene per due terzi attraverso nuove entrate e solo per un terzo attraverso tagli di spesa. Anche se l’Italia è abituata a vedersi aumentare le imposte quando c’è da mettere una pezza sui conti pubblici, questa volta doveva essere diverso: doveva essere la manovra della svolta, la manovra dell’ingresso dell’Italia nell’età adulta della spesa pubblica, là dove si pensa più al futuro che al presente, a dieci anni invece che a due. Invece è stata la manovra che ha mostrato al mondo e, soprattutto agli italiani, l’incapacità dell’esecutivo di dare segnali di coesione e fermezza, al punto che l’impressione generale è stata di un dilettantismo condito dall’esigenza di difendere interessi di parte. Senza nemmeno un accenno a qualcosa che assomigli a un intervento a favore dello sviluppo. Nessuna sburocratizzazione dello Stato, nessun taglio ai costi della “casta”, nessuna liberalizzazione, nessuna riforma.

Tutto inizia il 13 luglio con il Parlamento che approva in tempo record, la correzione dei conti con 314 sì e 280 no. Il governo non ha nemmeno bisogno di porre la fiducia e in meno di 24 ore il testo passa dalla commissione Bilancio all’aula di Montecitorio. L’esecutivo mostra fermezza nell’adottare misure anticrisi, che comporteranno sacrifici agli italiani per arrivare al pareggio di bilancio entro il 2014, anche a costo di decisioni impopolari come l’introduzione del ticket di dieci euro per prestazioni specialistiche e di 25 per i “codici bianchi” del pronto soccorso. Novità anche per le pensioni: viene anticipato al 2013, e non più al 2014, l’aggancio dell’età pensionabile alle aspettative di vita e allo stesso tempo chi sarebbe andato in pensione con 40 anni di contributi dal 1° gennaio 2012 vede slittare l’uscita dal lavoro di un mese ogni anno, fino al 2014. Ma questa misura sarà la prima a “saltare” per l’opposizione della Lega. Per questo si comincia a parlare di contributo di solidarietà, oscillante tra 5% e 10% sulle cosiddette “pensioni d’oro”, quelle che superano i 90 mila euro l’anno. Su sanità e pensioni, però, le Regioni si ribellano e la maggioranza si dimostra meno solida dell’esito del voto in aula. Dopo la prima approvazione della manovra, i mercati danno il loro voto: insufficienza piena, tanto che il differenziale tra Btp italiani e Bund tedeschi (cioè quanto lo Stato italiano deve pagare in più agli investitori perché comprino i Btp rispetto a quanto deve pagare lo Stato tedesco) sfonda quota 300 punti percentuali. L’8 agosto il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, rende noto di aver ricevuto una lettera della Bce nella quale il presidente della Banca centrale europea, Jean-Claude Trichet, secondo indiscrezioni mai smentite, manifesta l’insoddisfazione della massima autorità monetaria comunitaria per le misure appena prese. Brutto affare: Tremonti ce la mette tutta per tenere a bada chi soffia sul fuoco (qualcuno anche nel suo schieramento) perché preoccupato per i riflessi elettorali della richiesta della Bce di anticipare di un anno, al 2013, il pareggio di bilancio. Così si torna a lavorare in pieno agosto. Ma in 15 giorni l’andamento della manovra sarà come i passi di un tango: uno avanti, due a lato.

L’11 agosto Tremonti entra nelle commissione Affari costituzionali e bilancio di Camera e Senato e mette sul tavolo il suo pacchetto di misure anticrisi corretto dopo l’ammonimento della Bce e viene decisa l’introduzione del pareggio di bilancio nella Costituzione, all’articolo 81. La manovra vera e propria (da 45,5 miliardi) prevede il contributo di solidarietà sui redditi superiori a 90mila euro e l’aumento della quota Irpef per gli autonomi con redditi superiori a 55 mila euro. Un modo per recuperare risorse è anche l’accorpamento delle festività alle domeniche, compresi i santi patroni (archiviato). Questi interventi, inizialmente solo ipotesi, resistono nella manovra di ferragosto, approvata con decreto del governo il giorno 13. La scure del governo si abbatte anche su enti locali e loro dipendenti: vengono soppresse le province con meno di 300 mila abitanti, che in Italia sono 34, e vengono accorpati i comuni minori (circa 1.500). Lo Stato risparmierà, così, 8,5 miliardi l’anno. Il premier entusiasta parla di 55 mila poltrone in meno, ma contemporaneamente deve dire addio al dogma del centrodestra, quello che impone di «non mettere le mani nelle tasche degli italiani». Perché le mani vengono messe. Infatti si decidono aumenti delle tasse su carburanti, tabacco e giochi. Si introducono nuove imposte sulle rendite finanziarie, eccetto quelle derivanti dai titoli di Stato (l’aliquota passa dal 12,5% al 20%), oltre al già citato contributo di solidarietà che farà infuriare i calciatori, fino allo sciopero della prima giornata di campionato. Il capitolo pensioni è quello che scotta anche perché è molto caro alla Lega. Il governo rimanda al 2016 l’avvio della progressione graduale verso l’innalzamento dell’età pensionabile a 65 anni per le donne, che andrà a regime nel 2028. Passano due giorni e il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, se la prende con i tagli agli enti locali e alle spese per la sicurezza. Prima che il testo approdi in Parlamento, si rimette in discussione. Tra le ipotesi allo studio per ridurre i tagli agli enti locali, accontentare le richieste di Lega e sindacati su pensioni e dipendenti statali, e allo stesso tempo tenere invariati i saldi della manovra, c’è l’aumento dell’Iva dal 20 al 21% che vale altri cinque miliardi. Si apre il dibattito. Berlusconi all’inizio è contrario, poi si trova tra i due fuochi: la Lega chiede una tassa anti-evasori mentre il Pdl vuole cancellare il contributo di solidarietà. Il tutto si traduce in una ennesima correzione, presentata il 29 agosto. L’aumento dell’Iva viene congelato, scompare il contributo di solidarietà e anche le province vengono salvate. Così come viene accontentata la Lega sui tagli agli enti locali: due miliardi in meno rispetto ai 9,2 decisi a Ferragosto mentre viene eliminata la possibilità di riscattare per la pensione laurea e servizio militare. Interessi salvi, ma i numeri non convincono e il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, interviene il 5 settembre e spiana la strada a un’altra revisione della Finanziaria da presentare in Parlamento “blindata” dalla richiesta di fiducia.

Dai cestini delle stanze del ministero dell’Economia si vanno a ripescare scartoffie e appunti gettati solo qualche giorno prima. L’intervento di taglia e cuci lo si fa in commissione Bilancio, dove gli emendamenti modellano il testo che sarebbe arrivato il 7 settembre al Senato. Si torna a parlare anche di condono, ma si scopre che l’ultimo varato in Italia, quello del 2002, non era stato onorato da chi vi aveva aderito: si decide che quelle somme debbano essere recuperate entro il 31 dicembre 2011, applicando una sanzione del 50% in caso di omesso pagamento. Sempre in commissione viene cancellata la norma per la pubblicazione on line dei redditi degli italiani, che pure era stata introdotta come deterrente all’evasione. Contro i furbetti viene conservata la previsione del carcere per chi evade imposte per oltre tre milioni di euro. Un’altra novità è la possibilità di licenziamento, in deroga ai contratti nazionali, previo accordo tra datore di lavoro e sindacati. Dopo le modifiche introdotte dai senatori, il governo, riprende in mano la manovra e presenta un nuovo piano il 7 settembre. Questa volta è quello definitivo. In extremis viene confermato l’aumento dell’Iva dal 20 al 21%, mentre le altre aliquote al 4% e all’11% restano invariate. Torna anche il contributo di solidarietà che, però, riguarda solo i redditi sopra i 300 mila euro e che sarà applicato nella misura del 5% per la parte eccedente tale soglia. Terzo punto chiave della manovra “finale” riguarda l’età pensionabile delle donne, con graduale innalzamento fino ai 65 anni, che partirà dal 2014 anziché dal 2016. La correzione dei conti vale oltre 54 miliardi di euro e passa indenne l’esame del Senato e, il 14 settembre, quello della Camera. Discorso chiuso? No. Dopo l’approvazione sui mercati non è successo praticamente nulla. Il differenziale tra gli interessi tra i titoli italiani e quelli tedeschi non si è ridotto che per qualche giorno; la Bce si è spaccata in seguito alle dimissioni di Juergen Stark, rappresentante tedesco contrario agli interventi della Banca centrale sui mercati per evitare un aumento eccessivo dei rendimenti dei Btp e, soprattutto, la credibilità italiana è finita sotto zero dato che mentre il governo era impegnato in equilibrismi politici per mantenere in piedi il governo, i magistrati hanno fatto uscire valanghe di intercettazioni riguardanti gli scandali sessuali del premier. Ecco, questa, in sintesi, la cronistoria della manovra più pazza del mondo che avrebbe dovuto tirare fuori l’Italia dalle secche della crisi finanziaria scoppiata in seguito al default “morbido” della Grecia e che invece ha avuto il solo effetto di rinviare a chissà quando quelle riforme strutturali di cui l’Italia ha disperatamente bisogno.

Scheda – Le tappe della finanziaria più pazza del mondo