Connettiti con noi

People

Robert Rasmussen: giocare è una cosa seria

Sfruttare i celebri mattoncini danesi per rendere le riunioni più veloci ed efficaci. È l’idea alla base del metodo Lego Serious Play, di cui Business People ha incontrato il principale sviluppatore

architecture-alternativo

«Uno strumento per manager coraggiosi e questioni complesse». Così Robert Rasmussen definisce il metodo Lego Serious Play, cui ha lavorato fin dal suo sviluppo, anno dopo anno, rendendolo efficace e affidabile. Perché coraggiosi? Perché la premessa su cui si basa è che in ogni azienda ciascuno è prezioso e può contribuire al successo dell’impresa e, quindi, più i dipendenti sono coinvolti meglio è per gli affari. Senza contare che gli stessi collaboratori saranno più motivati. Solo che, per lasciare spazio agli altri, i top manager devono avere il coraggio di mettersi in gioco e abbandonare una logica strettamente gerarchica. Ma in cosa consiste questo nuovo metodo? «È davvero difficile spiegarlo a parole, si tratta principalmente di uno strumento da sperimentare, da vivere», osserva Rasmussen. «E il paradosso è che per risolvere problemi e far emergere nuove idee utilizzare i Lego è molto più efficace che parlare, ma al contrario, di primo acchito, la gente ha l’errata impressione che questo tipo di approccio richieda più tempo».

Possiamo almeno provare a darne una definizione? Certo, è una tecnica che aiuta i team a risolvere problemi. Tipicamente, quando nelle aziende si organizzano meeting per superare delle difficoltà o elaborare nuove idee, ciò che accade è che il 20% dei partecipanti utilizzano la maggior parte del tempo a disposizione per parlare di cose che tutti già sanno. Così il problema è che l’80% dei presenti non ha davvero l’opportunità di dire la sua, anche se molti di loro avrebbero le proposte migliori. L’obiettivo di Lego Serious Play è coinvolgere tutti, perché più idee emergono durante la riunione, migliori sono le soluzioni individuate e più felici sono i dipendenti. Insomma, si tratta di una tecnica per ottenere il massimo dai meeting.

Come funziona? Qualsiasi sia la domanda in questione – da come migliorare l’azienda a un nuovo prodotto fino a una value proposition –, questo metodo prevede che per i primi cinque-dieci minuti della riunione ciascuno costruisca, letteralmente, con i mattoncini Lego, la sua risposta. Dopodiché, a turno, ognuno dovrà mostrare la propria creazione agli altri e spiegarla. Questo metodo permette di evitare il cosiddetto “pensiero di gruppo”, perché se in un incontro con 20 persone il primo inizia spiegando il suo punto di vista, inevitabilmente condizionerà gli altri, i cui interventi finiranno per essere uno “spin-off” dei precedenti. In questo modo non emergeranno altre idee. Inoltre, alla fine tutti comprenderanno veramente quanto detto e ricorderanno meglio le varie proposte, perché avranno avuto la possibilità di vederle concretamente.

Non le capita mai di scontrarsi con un certo scetticismo? All’inizio dei workshop ci sono sempre alcune persone scettiche. Le ragioni in genere sono due: o hanno paura di non essere brave nel costruire con i Lego oppure si rendono conto che potrebbero perdere potere, perché spesso i più dubbiosi sono coloro che erano soliti dominare le riunioni. In genere, però, non solo ci vuole al massimo un’ora perché si convincano dell’efficacia del metodo, ma il più delle volte chi era più scettico alla fine diventa il sostenitore più entusiasta di Lego Serious Play.

Bisogna sempre iniziare

con un lavoro individuale

per evitare il “pensiero di gruppo”

Come è nata l’dea? È stata un’intuizione del proprietario della Lego. Era stanco dei meeting in cui si parlava di costruire un business, costruire una mission, costruire il futuro dell’azienda fissando un foglio bianco, perciò ha pensato che avere la possibilità di costruire realmente qualcosa con le proprie mani avrebbe stimolato di più l’immaginazione. E così è stato.

Immagino che da questa prima intuizione all’elaborazione di un vero e proprio metodo ci sia voluto del tempo e parecchio lavoro… È vero. È stato necessario strutturare un processo di apprendimento e il momento cruciale è stato quello in cui abbiamo capito che era necessario iniziare sempre con un lavoro individuale: mettere a disposizione i mattoncini e chiedere di costruire tutti insieme un’unica cosa non risolveva la criticità del “pensiero di gruppo”. Coloro che sono soliti dominare le riunioni tradizionali lo facevano anche nel processo di costruzione.

Perché condividere con altre aziende, magari anche concorrenti, Lego Serious Play?È una scelta in linea con i valori dell’azienda, perché la proprietà è sempre stata convinta che i Lego siano molto più di un semplice gioco.

Può fare qualche esempio di aziende che hanno utilizzato questo metodo? Google, Deloitte, Hitachi, Microsoft, Unicredit… Credo sia da segnalare che, al di là delle difficoltà legate alla lingua, questo nostro metodo abbia riscontrato in Italia, Spagna e in generale nei Paesi latini molto interesse, a volte anche più che in altri Stati dell’Europa Occidentale.

Secondo lei questo metodo può funzionare anche con altri giochi o i mattoncini Lego sono imprescindibili? Probabilmente si potrebbero sfruttare altri materiali, come l’argilla per esempio, ma richiederebbe tempi più lunghi e una particolare manualità. Il bello dei Lego è che tutti i pezzi si possono collegare tra loro e che tutti sono in grado di utilizzarli per costruire velocemente qualcosa di riconoscibile. Un’alternativa sarebbe disegnare, ma non tutti hanno senso artistico e questo potrebbe creare imbarazzi e scontento.

IN LIBRERIA

«Non è possibile imparare il mio metodo leggendo un libro», spiega Rasmussen a proposito del testo scritto con Per Kristiansen e appena uscito in Italia per FrancoAngeli (Il metodo Lego Serious Play per il business, ndr), «ma abbiamo pensato di scriverne uno per raccontare qualcosa in più a proposito della sua storia, delle basi scientifiche su cui si regge e offrire qualche case history che ne esemplifichi le potenzialità». Insomma, queste pagine possono aiutare a comprendere meglio di cosa si tratta e, perché no, convincere il proprio capo a sfruttarlo in azienda.

Credits Images:

Robert Rasmussen