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La sfida continua di Ing Italia

Primi a lanciare l’home bankIng, ora la multinazionale olandese lavora per debuttare con un mega progetto in chiave social. Perché la tecnologia va assecondata se si vogliono sostenere i “nuovi” consumi e la spinta innovativa delle imprese e del Paese. A dirlo è Marco Bragadin, numero uno della branch italiana

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Olandese di nascita, globale d’adozione, la banca che solo 16 anni fa stupì gli italiani presentandosi con l’immagine ironica di una zucca, è in evoluzione permanente. I numeri lo indicano da tempo: 1,2 milioni di clienti, 8.800 conti correnti aperti al mese, 900 dipendenti impiegati nelle attività di Retail (Ing Direct) e Wholesale (divisione che si occupa di finanza specializzata e mercati finanziari). Anche le strategie di medio e lungo periodo che il Ceo italiano, Marco Bragadin, tratteggia a Business People lo confermano. Perché raccontano di come Ing abbia scelto di non fermarsi al vantaggio competitivo concessogli dall’essere stata la prima a lanciare l’home bankIng, e di come essa intenda rilanciare la sfida sulla qualità dei servizi, fino a spostarla a livelli più alti. Già, perché nel giro di un anno vorrebbe giocarsela alla pari con competitor del calibro di Facebook e Google. Come? Leggere per credere.

È un periodo speciale per lei, un anno fa arrivava al vertice di Ing Italia. Ha festeggiato?È vero, il 3 ottobre, non ricordo dove fossi, ma idealmente ho senz’altro festeggiato (ride). Alla prova dei fatti pensava che sarebbe stato più facile o più difficile? È stato senz’altro un anno più stimolante del previsto, trascorso all’interno di un contesto dinamico, abitato da gente giovane – età media 35 anni – e dove la tecnologia scandisce i progetti, per cui anche i servizi vengono spesso pensati in funzione delle ultime innovazioni. Ammetto che, per mettermi al passo, ho dovuto studiare… Del gruppo mi piace la voglia di confronto che vi si respira, il fatto che ci sia questa continua spinta a mettersi in gioco, senza essere affezionati agli schemi. Il che si sposa con la mia personale visione di leadership: sono un capo che cambia volentieri punto di vista, se un collaboratore gli dimostra il contrario. La cosa divertente è che questo spiazza le persone: mi guardano stupiti, quasi increduli (ride).

Tutta questione di abitudine… E che settore è quello bancario in questo ultimo scorcio del 2017? Ormai le banche sono all’anno zero, dopo la tempesta della crisi del debito. È d’accordo con chi sostiene che, seppur il settore adesso sia più forte e la sfida stia nel recuperare redditività, bisogna inventarsi un nuovo modello di business, all’interno del quale non tutte potranno sopravvivere?Controfirmo sostanzialmente quest’analisi, aggiungendo dell’altro. Corrisponde senz’altro a vero che il settore bancario sta molto meglio di un paio d’anni fa, i trend sono tutti positivi. In più, gli istituti italiani hanno retto senza gli interventi statali, se si escludono quelli su Mps e banche venete, che comunque sono stati di gran lunga inferiori a quanto posto in essere da qualsiasi altro Paese europeo.

Anche Ing ha beneficiato di un supporto statale. Certo, nel 2008, e in seguito a un ridefinizione del business, è già stato restituito allo Stato olandese, con un ottimo rendimento per quest’ultimo, pari a circa 5 miliardi di euro. Ma quella che si intravede è l’uscita dal tunnel di tutto il settore, grazie a una forte ristrutturazione del mercato. Ormai risulta imprescindibile lavorare sulla razionalizzazione dei costi, considerando anche che i modelli tradizionali basati su un’estesa presenza fisica sul territorio, risultano obsoleti a fronte delle opzioni tecnologiche. Per questo le economie di scala diventano sempre più rilevanti, così come appare inevitabile una selezione naturale degli operatori.

In piena crisi, in molti hanno puntato il dito contro le banche. Ora ci sono le condizioni affinché possiate assumervi l’onere e l’onore di contribuire ad articolare l’economia del Paese?Diciamo che le misure di politica monetaria della Bce, oltre alla nostra capacità di stare sul mercato, di sicuro ci danno oggi tutti gli strumenti per poter fare la nostra parte. Ma perché il rapporto funzioni bisogna essere in due… Quindi, se nel Paese permarrà un contesto tranquillo, con meno notizie allarmanti, e in cui la clientela si sentirà abbastanza rassicurata nel poter acquistare la casa o l’auto nuova, insomma fare dei progetti che abbiano una ricaduta in termini di mutui e prestiti, noi siamo pronti a sostenere – come sta già succedendo – la crescita dei consumi. Così come di sicuro c’è una nostra convinta disponibilità nei confronti delle imprese. Per quanto riguarda poi il Paese, si cominciano a intravedere gli effetti positivi di quanto è stato fatto con l’Industria 4.0 e di tutti gli stimoli attivati per incoraggiare gli imprenditori a investire in tecnologia, impianti e, alla fine, produttività. La crescita del pil conferma il miglioramento delle componenti che riguardano la domanda interna, dato che evidenzia – in aggiunta a quella di export e turismo – una crescita finalmente strutturale, e di questo va dato merito alle azioni positive poste in essere dal governo.

Bisognerà vedere il clima che si creerà da qui alle prossime elezioni. Incrociamo le dita, perché la cosa peggiore è l’incertezza, il senso di precarietà che si genera quando non si sa cosa può succedere. E le elezioni sono sempre un passaggio delicato. Dipenderà anche dai toni: se saranno aspri, non sarà un bene per il Paese.

Possiamo dire che la storia di Ing in Italia inizia soprattutto nel retail banking come storia di un marchio? Ricordo che le prime campagne pubblicitarie hanno creato molta curiosità: in un Paese in cui le banche solitamente puntavano su profili istituzionali, nel 2001 arrivate voi con la vostra zucca. Oggi, che immagine volete dare di voi? Confermiamo la nostra storia, facendo evolvere la leggerezza iniziale nel nuovo claim “Ready to bank”, che mantiene intatti i valori della zucca-salvadanaio, simbolo del nostro conto di risparmio. Oggi vogliamo porre l’attenzione soprattutto sul fatto che siamo una banca completa, con tutta una serie di servizi forniti sostanzialmente, ma non esclusivamente, attraverso una piattaforma tecnologica che ci consente di continuare a essere una banca giovane, semplice e diretta.

Poi, in Italia decliniamo tutto ciò a modo nostro, perché Ing è molto brava a distinguere cosa deve essere globale piuttosto che locale: a clienti di nazionalità diversa parliamo in maniera differente. Porre al centro dell’attenzione il cliente è un mantra. Leggevo le recenti dichiarazioni del vostro Ceo Ralph Hamers, in cui – paragonandovi a Facebook o a Starbucks – ha detto che «il cliente deve sempre essere messo nelle condizioni di scegliere cosa e come fare, perché ormai i servizi bancari sono una commodity, la qualità dell’offerta non basta più: serve la qualità del servizio». Ma qual è la vostra utenza di elezione? Chi è la vostra “casalinga di Voghera”? Non esiste (ride), non entro i soliti termini. E questo perché è sacrosanto dire che i nostri servizi sono ormai delle commodity per il cliente: un mutuo o una carta di credito rimangono tali sia che glieli dia Ing piuttosto che un’altra banca. Cosa cambia? Il come: se non deve districarsi tra mille scartoffie o passaggi per averli. Oggi i nostri servizi retail sono convenienti, ma non i più convenienti in assoluto, però sono certamente tra i più richiesti, perché chi lo desidera può avere un prestito con pochi passaggi attraverso lo smartphone e perché chi vuole investire i propri soldi può comunque stringere un rapporto fiduciario con uno dei nostri consulenti online o presenti nei nostri 32 punti vendita fisici. Per il resto noi ci rivolgiamo a chiunque sia in grado di maneggiare internet, anche se abbiamo individuato sostanzialmente tre bacini: i nuovi nuclei famigliari, gli over 55 con disponibilità finanziarie e i 40-50enni digitali, cioè tutti coloro che prima di fare un acquisto si informano online, e che – abbiamo verificato – hanno una forte capacità di influenzare anche altre categorie.

Oltre che internet banking, viste le vostre attività online, vi definireste anche social banking?Non ancora. Perché anche se è fondamentale continuare a lavorare bene sul marchio e per il cliente, siamo convinti che bisogna fare ancora di più. Come? Trasformandoci noi stessi in una piattaforma social, alla quale il pubblico possa accedere per tutta una serie di attività di suo interesse, compreso il nostro home bankIng. A questo punto i nostri competitor non sarebbero più le altre banche online, ma ce la giocheremmo alla pari con Whatsapp e Facebook o Google. Ciò sarebbe reso possibile dal fatto che il nostro è un modello di business proprietario, e significherebbe essere disposti ad accettare livelli di apertura che oggi non abbiamo, per condividere più informazioni visto che competeremmo all’interno di un contesto in cui i clienti sono ben disposti a farlo. Inoltre, nell’opzione della piattaforma aperta, in grado di Ingaggiare e attrarre gli utenti, concettualmente rientrerebbe anche la possibilità di distribuire prodotti non nostri, alla Amazon per intenderci.

È a questo che servirà l’investimento di 800 milioni di euro in tecnologia che è stato annunciato? Servirà a realizzare questa piattaforma e a dotarci di un sistema operativo unico, e di un’interfaccia uguale per tutti i Paesi in cui operiamo. Prevediamo di farcela nel giro di un anno.

Come considera il fenomeno delle app di mobile payment: concorrenti o alleate? Una via di mezzo… Perché se sono alleate della distribuzione e dei pagamenti digitali, dall’altra sono concorrenti perché vogliono in parte sostituirci. Rappresentano quindi uno strumento alternativo che consente esperienze d’acquisto molto semplici, ma non più di una carta di credito contactless. Non saprei quindi stabilire che tipo di diffusione potranno avere tra cinque anni, perché non sembrano fornire plus fondamentali, a meno di non voler considerare tale la comodità di poter tenere sotto controllo le proprie spese attraverso il wallet dello smartphone. Ma è un’opzione che sarebbe possibile attivare anche dai nostri clienti con le funzioni già in essere.

Tuttavia, neanche le app risolvono il problema dell’approvvigionamento di contanti da parte dell’utenza, a causa della progressiva chiusura di bancomat. Nelle città sta diventando sempre più difficile. È vero, Ing ci ha già pensato in Spagna, dove i clienti possono utilizzare l’app “Twyp Cash”, acronimo di “the way you pay”, mediante la quale, quando vanno al supermercato, oltre a poter pagare la spesa possono ritirare del contante direttamente alla cassa. E lo si può fare con diverse tipologie di esercenti, fornendo loro l’indubbio vantaggio di ridurre il costo della gestione del contante che si accumula in negozio.

Cosa significa che “Ing è la banca più sostenibile al mondo”? Significa che Sustainalytics, che misura la sostenibilità delle aziende a livello globale, ci ha riconosciuto come la miglior banca in base a ciò che facciamo per noi stessi e a come lo facciamo, visto che quanto facciamo per i nostri clienti tiene in grande considerazione la sostenibilità delle nostre azioni. Questo si traduce in un’attenzione su come consumiamo, che tipo di sedi scegliamo, fino a quali iniziative finanziamo. Abbiamo emesso tra le varie cose il primo bond verde, che di recente ha raggiunto un buon rendimento. La nostra divisione Wholesale è specializzata nelle energie rinnovabili: dieci anni fa, quando ancora in Italia del settore neanche si parlava, ha finanziato il primo parco eolico.

D’altra parte se non lo facevate voi che avete i mulini a vento nel vostro Dna… Eppure, si tratta di un’attività complessa e dispendiosa. Porre in essere quelle che noi definiamo “transizioni efficienti”, ad esempio conversioni da carbone a solare, vuol dire perseguire obiettivi ambiziosi, soprattutto alla luce del fatto che le aziende che intendiamo finanziare devono rispondere a precisi standard. Non è un’attività conveniente dal punto di vista strettamente remunerativo, ma indispensabile sul lungo periodo, un lasso di tempo entro il quale potremmo incorrere in difficoltà se non avessimo già pensato a un’evoluzione in chiave sostenibile della nostra attività. E questo non vale sono per noi che siamo una banca o per un’azienda energetica, ma per tutti i tipi di business.

Ing è una società con un business tradizionale, il credito, ma perseguito con modalità digitali; nell’organizzazione del lavoro somiglia più a un’azienda della Silicon Valley, o ha un approccio più tradizionale? Siamo in piena fase evolutiva. Nel senso che lavoriamo già in “Tribes”, a prescindere dalla funzione, dal grado o anzianità di servizio. In questo modo possiamo avere un output ogni 15 giorni. Entro circa un anno riusciremo, spero, a traghettare tutta l’azienda verso questo modello di lavoro Agile, già pienamente operativo in Olanda e in Polonia. Gli aspetti positivi sono indubbi, perché così facendo si riesce a responsabilizzare un gruppo di lavoro a 360 gradi su un tema o un progetto.

Ing a parte, Boston Consulting, Vodafone, TeleTu, Monte dei Paschi di Siena sono le realtà in cui ha lavorato. Secondo lei, sotto il profilo della leadership è il manager che fa l’azienda o è l’azienda a fare il manager? Credo che il manager porti senz’altro il proprio stile all’interno dell’azienda. Quindi, hanno grande rilevanza la componente di leadership del manager nel dettare la linea, ma anche la capacità dell’azienda di assorbirla per farla propria. È soprattutto una questione di equilibrio.

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Dall’ottobre 2016 Ceo di Ing Italia, Bragadin ha lasciato Banca Monte dei Paschi di Siena, mentre in precedenza aveva lavorato per 11 anni in Vodafone. Ha esordito in Boston ConsultIng