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Il presente e il futuro dei media

La parola a James Murdoch – presidente e amministratore delegato di News Corporation Europe e Asia, presidente di Sky Italia e presidente non esecutivo della britannica BSkyB – che racconta il suo punto di vista sul settore nell’ambito di un’intervista pubblica realizzata dal giornalista Roberto Fontolan al Meeting di Rimini

NewsCorp è la più grande ed estesa multinazionale dell’informazione e dell’intrattenimento. Non le fa un po’ paura governare questo impero? Un mondo forse simile a quello disegnato da Orson Wells in Quarto potere? Quale responsabilità sente e come descriverebbe il potere dell’informazione? Tutti coloro che operano nel settore dell’informazione hanno una grande responsabilità. Oggi a seguito del forte sviluppo della tecnologia digitale su Internet, come anche in Tv e alla radio, offriamo al singolo cliente la possibilità di scegliere, gli diamo potere. I giorni descritti da Orson Wells in Quarto potere e in altre raffigurazioni ormai sono cosa del passato perché noi siamo responsabili solo nei confronti del nostro cliente. Ed è la possibilità di scelta che gli assicuriamo che ha permesso di innovare e di rafforzare, in senso positivo, l’influenza dei media in ogni parte del mondo.

Come si sente quando la chiamano imperatore?Credo che nessun singolo possa occupare una tale posizione di potere. I media che si comportano come se fossero detentori di un grande potere stanno perdendo terreno. In realtà sono le imprese che hanno un forte senso di responsabilità nei confronti del pubblico che ottengono maggiori successi e consensi.

Dovunque l’informazione, che è un potere, si confronta con altri poteri, spesso politici. Voi operate in Cina che non è certo un sistema aperto. Quali sono i compromessi che dovete accettare per poter lavorare in Paesi come questo?Nelle società democratiche noi applaudiamo l’indipendenza dell’informazione e della stampa dal potere politico. Quando si parla di Paesi come la Cina, invece, possiamo parlare di Quarto potere. Esistono infatti alcuni media indipendenti, ma domina il sistema statale pubblico. Qui abbiamo una partecipazione di minoranza in un’emittente che si chiama Phoenix Chinese Channel, l’unica Tv cinese all’epoca degli eventi a trasmettere gli attacchi dell’11 settembre contro il World Trade Center. E questa stessa rete era stata la sola a dare notizia delle elezioni che si stavano svolgendo in Taiwan. Tuttavia, lavorare in Cina non è lo stesso che altrove. Qui ci occupiamo principalmente di intrattenimento. Come atteggiamento generale a noi piace investire, sviluppare un’attività che possa generare occupazione e offrire una reale scelta allo spettatore. È quanto abbiamo fatto in Italia con SkyTg24, negli Stati Uniti con Fox News o in India con StarNews, canali di all news indipendenti che trasmettono 24 ore al giorno.

Per quanto riguarda il rapporto con la cultura, nel senso lato della mentalità, dell’opinione pubblica e in generale del sistema di valori di ogni Paese, come si pone l’informazione?Molte aziende si ritengono internazionali perché operano da New York o da Los Angeles. Noi invece siamo un insieme di aziende che appartengono alla cultura di riferimento del loro specifico territorio perché il mondo delle idee funziona solo se queste idee hanno un senso per il pubblico, per la gente comune. È fondamentale ricercare un’appartenenza alla realtà e al tessuto locale, quindi noi non ci consideriamo tanto un’azienda internazionale ma piuttosto la somma di tante realtà nazionali che operano per lo più in maniera indipendente ricercando la soddisfazione dei propri abbonati. La libertà di scelta tante volte non è sacrificata in modo ideologico dai regimi, ma è condizionata e limitata, sia pur in situazioni di grande libertà, dal sistema delle leggi, dalle imposizioni fiscali e dalle limitazioni normative.

Come vede lei questa situazione dal punto di vista della libertà reale di scelta delle persone?Le leggi, le imposte, le regole sono strumenti per raggiungere un fine. In genere il loro uso eccessivo finisce per ledere la libertà di scelta e di espressione. Noi crediamo che l’indipendenza dei media sia fondamentale per una società libera. È fondamentale avere una voce indipendente che deve rispondere al proprio pubblico, a volte magari non è perfettamente lineare ma è fondamentale per mantenere il pluralismo. A questo scopo è fondamentale una disciplina da parte dei governi e delle autorità. Tuttavia, a volte la cosa migliore e più difficile per un Governo è non fare nulla, astenersi dall’agire a meno che non venga rilevato un vero danno nei confronti dei consumatori.

Molti giovani non guardano la Tv e non leggono i giornali. Una lunga inchiesta del New York Times dell’anno scorso prevedeva entro cinque anni la chiusura dello stesso New York Times. Ci sono i blog, i social network, l’esplosione della comunicazione a tu per tu, il cosiddetto autogiornalismo. Viene da pensare che nonostante l’enorme offerta di informazione di tipo tradizionale ci sia bisogno di una comunicazione più autentica.Credo che in assoluto uno degli aspetti più impressionanti dell’attuale scenario dell’informazione sia la flessibilità che caratterizza la fruizione soprattutto da parte dei giovani che guardano la Tv on line, leggono i media attraverso i laptop e usano l’iPhone per conoscere i risultati delle partite. A volte leggono un quotidiano o una rivista a distribuzione gratuita. Questa è una sfida per tutti noi che facciamo informazione nell’era della tecnologia digitale. Dobbiamo cercare di rispondere alle aspettative dei giovani dando loro ciò di cui hanno bisogno. È vero che leggono meno i quotidiani, si rivolgono ai blog, però consumano on line anche molte informazioni generate da giornalisti di professione. I media tradizionali sono destinati a tramontare perché saranno sempre più i cittadini e le persone comuni a decidere come consumare le informazioni, se e quanto pagarle. Il processo di innovazione è sorprendente: alcuni giornali hanno adottato il modello on line, il Wall Street Journal fa pagare un prezzo equo per l’accesso digitale e via via emergeranno nuovi sistemi. Il giornalismo digitale deve essere pronto a non vergognarsi a chiedere un prezzo equo per compensare l’elevato investimento che viene fatto per la creazione di notizie. Altrimenti questo penalizzerà la differenziazione e la qualità. Per noi è importante avere incentivi per poter continuare a investire nel giornalismo. The Times è l’unico quotidiano britannico ad avere un corrispondente a tempo pieno a Baghdad e adesso anche uno a Tripoli. Se non creiamo le condizioni per investire nel giornalismo rischiamo di perdere i contenuti.

Quando fate una proposta di lavoro a un giovane a quali valori gli proponete di aderire?Ciò che conta è la disponibilità ad affrontare dei rischi. Chi lavora per noi si sente dire: non temere di tentare qualcosa e sbagliare, sarebbe molto peggio non fare nulla. Cerchiamo di creare un ambiente dove si possa innovare, raggiungere degli obiettivi e non si accetti passivamente lo status quo. Questo significa correre dei rischi, come quelli che hanno corso coloro che hanno deciso di produrre un colossal come Titanic o sviluppare un nuovo sistema di gestione dei clienti o una nuova modalità di vendita della pubblicità. Bisogna essere pronti ad assumersi dei rischi e accettare il cambiamento, anzi incentivarlo. Questo può attrarre i creativi in ogni ambito della nostra organizzazione.

Come vede la crisi attuale?Non sono in grado di esprimere delle opinioni in materia di macroeconomia, ma permettetemi di dire che il trionfante ritorno dello statalismo è qualcosa contro il quale dobbiamo esercitare massima tutela. Molti governi si sono trovati in grande difficoltà a reagire alla crisi, ma dobbiamo renderci conto che la situazione non è la medesima ovunque. Nella stessa area euro, se esaminiamo il livello del debito dei singoli Paesi, ci sono situazioni molto diverse. Eppure alcune aziende hanno continuato a svilupparsi e a crescere. In particolare, nel settore dei media, le società che hanno conseguito risultati positivi sono quelle più vicine al cliente.

In Italia la situazione di tanti giornali e di tante imprese editoriali è difficile. Si sente parlare di licenziamenti e prepensionamenti. Voi invece continuate ad assumere. Come vincete la crisi?Dipende dal tipo di attività che si svolge. Recentemente siamo stati costretti a chiudere un piccolo quotidiano pomeridiano a distribuzione gratuita nella città di Londra. Ma al tempo stesso, nello stesso mercato, è aumentato il numero dei nostri abbonati per cui non è tanto questione di abilità da parte nostra, si tratta piuttosto di riprodurre in altri contesti i buoni risultati ottenuti altrove. Per esempio negli ultimi due anni abbiamo aumentato il numero di abbonati alle nostre testate sviluppando il giornalismo digitale, migliorando così la solidità del rapporto con i nostri clienti e questo ci permette anche di chiedere un prezzo equo per i nostri servizi. Quelle aziende dell’informazione che invece si arrendono e chiedono aiuti statali e sovvenzioni non hanno senso della realtà e non riescono a cogliere l’enorme opportunità che abbiamo davanti.

Come vede il panorama dell’informazione mondiale tra 20 anni? Come disegnerebbe lo scenario futuro?È impossibile sapere cosa accadrà, ma possiamo dire che continuerà a crescere la connettività. Nel mese di luglio sono stato reclutato in una gara ciclistica, la Maratona dles Dolomites. Sono stato lentissimo a completare il percorso ma la cosa straordinaria è che sulla mia bici è stato applicato un microchip, così mia moglie che si trovava in Gran Bretagna poteva sapere in ogni momento a che punto mi trovavo del percorso, quando mi fermavo per bere e qual era la mia velocità. Una settimana dopo mia moglie è andata on line e ha mostrato agli amici una serie di fotografie della fatica patetica di cui ho dato prova. Questo è un esempio di come la connettività può aprirci nuovi orizzonti. Certo è stato un modo di tenermi in contatto con la mia famiglia, ma quel sito aveva uno scopo: generare fondi per la difesa dell’ambiente. Sappiamo che nei prossimi anni la disponibilità di banda continuerà ad aumentare quindi la connettività continuerà a crescere. Tra 20 anni avremo persone che svolgeranno il nostro lavoro inventando nuove possibilità di comunicazione sempre più rapide per tenersi in contatto l’uno con l’altro. Il futuro digitale esiste già oggi, dobbiamo solo inventare nuovi modi per sfruttare al meglio questa creatività.

Uno dei grandi temi di questo tempo è l’ambiente e la sua salvaguardia. In che modo una multinazionale che si occupa di informazione e intrattenimento si preoccupa di sostenibilità ambientale?Qualche anno fa mi sono sentito in preda alla frustrazione perché si parlava tanto sui mezzi di comunicazione di cambiamenti climatici, ma le aziende che si occupavano di informazione non avevano ancora preso alcuna iniziativa. Dato che pensavamo che questo fosse un argomento importante per i nostri clienti, BSkyB, la nostra società britannica, è diventata la prima azienda nel mondo nei media senza emissioni di carbonio, a impatto zero. Successivamente l’iniziativa è stata estesa a tutta la NewsCorp. Abbiamo deciso di controllare meglio il consumo di energia riducendolo, grazie a un nuovo software, del 60%. Come leader dobbiamo assumerci le nostre responsabilità e diffondere il messaggio dell’importanza del tema ambientale, operando nel quotidiano in modo tale da essere più efficienti. Questo deve essere di esempio anche per altre aziende.

* (testo non rivisto dall’autore)

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James Murdoch, 36 anni, è presidente e amministratore delegato di News Corporation Europe e Asia e membro del consiglio di amministrazione, oltre che del comitato esecutivo di News Corporation. Da dicembre 2007 è presidente non esecutivo di BSkyB, società britannica che ha guidato come ceo dal 2003 al 2007, e dal giugno 2008 ricopre la carica di presidente di Sky Italia