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Comandare è fottere (anzi no)

Nessuna nuova competenza. «Solo responsabilità, etica professionale e interesse al bene comune». Cosa significa oggi la leadership e come riconoscere i veri capi. Per non farsi ingannare. Intervista a Pier Luigi Celli, a.d. e direttore generale dell’Università Luiss

Il nuovo libro di Pier Luigi Celli, I capi – L’Arte del comando spiegata al popolo, scritto a quattro mani con Franco Gonella, e uscito poche settimane fa per Aliberti Editore, potrebbe sconcertare chi non conosce gli autori. Certo non è quello che ci si aspetta: non il solito libro su management e leadership, non il solito trito ottimismo sul valore e le qualità del leader. I capi è un catalogo (o forse meglio dire un bestiario) ironico e grottesco dei differenti stili di comando: c’è il pastore di greggi, capitan Findus, il Pirata, il Capostazione e il Capo di Buona Speranza che viene assunto per salvare l’azienda in condizioni disperate. E ci sono pure il Cappellano e il Rompi-capo, oppure quelli umili con i potenti e arroganti con i deboli… Un libro pessimista? Può essere. Ma dietro a questo volume sta una riflessione profonda e una proposta: basta con l’azienda come ideologia e la leadership come feticcio. Dietro a un vero capo c’è qualcosa di più semplice. Vediamo cosa con l’aiuto dell’autore.

Professor Celli, fare un’intervista sulla leadership a lei che ha scritto “Comandare è fottere” non è facile, ma ci proviamo, partendo proprio dall’inizio: che significato ha al giorno d’oggi la parola leadership?

Leadership oggi vuol dire sempre più responsabilità, c’è bisogno di leader che siano esempi di buona condotta nel contesto di degrado sociale che stiamo vivendo nel nostro Paese. I leader devono essere portatori di valori. La classe dirigente italiana non interpreta esattamente questa concezione di leadership, piuttosto prevalgono ancora gli interessi personali e i favoritismi.

Si legge dappertutto che per costruire le future organizzazioni occorreranno nuove competenze, nuove caratteristiche manageriali e di leadership, ma quali sono secondo lei?

Personalmente mi sono sempre curato di provvedere alla giusta valorizzazione dei talenti e adesso lavoro perché il sistema faccia un passo avanti a livello generale. Non occorrono nuove competenze, bisogna piuttosto rispolverare le vecchie e sane qualità, considerate finora virtù deboli: come la bontà, l’altruismo, l’attenzione ai più giovani, o ai più deboli, il coraggio ad avere coraggio e a non dire sempre sissignore. E poi, la riscoperta del merito, sembra banale ma più passa il tempo e più questo pilastro della leadership pare sia solo una parola astratta.

La leadership, a suo parere, è un’abilità con cui si nasce, che si acquisisce una volta per sempre (come l’andare in bicicletta, per cui si dice che non si disimpara più) o un cammino sempre in divenire?

È certo che non tutti possono essere leader e la selezione è molto “naturale” per alcuni versi; per altri invece è feroce, di stampo “darwiniano”. Quindi sì, capo si può anche nascere, ma il leader deve tenersi in costante allenamento, prendere ciò che di buono emerge da ogni esperienza e pensare alle interrelazioni che il suo ruolo riveste con quello di chi lo circonda.

Se leader non si nasce ma si diventa, esiste un percorso formativo ad hoc? Cosa fare per diventare leader?

La leadership non può essere insegnata sui banchi di scuola, se non altro perché non si ha nemmeno un’idea comune di leadership. Inoltre, spesso si tende ad accostare la leadership ai risultati conseguiti, due elementi spesso ma non sempre concomitanti. Durante la formazione umana un futuro leader è colui che si cimenta con molteplici sfide, per acquisire diverse capacità, soprattutto relazionali.

Lei ha scritto “I veri capi dovrebbero essere persone brave, e magari (cosa assai più rara, in verità) brave persone…”. In che senso? Quali sono le qualità di un vero leader?

L’etica professionale che manca totalmente tra i manager e i leader in questo periodo, e dunque l’attenzione al bene comune, all’interesse collettivo. È abbastanza noto a tutti che se non si seleziona una classe dirigente migliore, formata da persone che hanno interessi globali, complessivi, civili, se noi continuiamo a proporre un modello per cui il confronto non è più tale ma uno scontro per cui ognuno pensa che l’altro debba soccombere, chiaro che è difficile ragionare in termini di merito. In tal caso prevale l’affiliazione; per cui se sei contro di me o la pensi diversamente prima ti faccio fuori e meglio è.

Spesso si sente dire che “il leader è carismatico”: è d’accordo con questa espressione? Ma che cos’è il carisma?

Carismatico è il primo aggettivo che si associa istintivamente alla parola leader, e non si può dire che sia sbagliato. Tuttavia anche il carisma è come un’aura indefinita che non si presta a schemi e definizioni.

Come fare per riconoscere il vero leader (e non farsi abbindolare)?

Come si dice degli amici? Si riconoscono nel momento del bisogno: se un leader, come dice la parola, comanda, deve essere capace di farlo in buone ma soprattutto in cattive acque. Ergo quando la “nave” naviga in acque agitate, tempestose, il comandante deve tenere salda la rotta e i suoi uomini.

Che importanza ha, per il leader, la capacità di autoanalisi e autovalutazione?

È fondamentale. Il leader opera all’interno di una comunità, e in qualità di capo è responsabile per il bene dei suoi sottoposti. È importante che un leader capisca quale sia il confine per il quale le sue azioni non preservano più, ma mettono in pericolo il bene comune per l’organizzazione nella quale opera.

Cosa deve fare il leader per non farsi sopraffare dalla propria posizione?

Il leader come le star di Hollywood dovrebbe rimanere sempre coi piedi per terra. Quando si parla di leadership si intende di conseguenza potere sociale ed economico. Questo rischia di allontanare il leader dalla realtà, e tende a farlo sentire onnipotente. Il leader, in azienda come negli edifici pubblici, deve ricordarsi ogni tanto di scendere ai piani bassi e guardarsi intorno, per non rischiare di rimanere fuori dal mondo.

Parliamo ora di lei: quanto si sente leader?

Abbastanza ma non come vorrei.

Per finire, pensava a un destinatario particolare mentre scriveva il suo libro I capi, l’arte del comando spiegata al popolo? A chi ne consiglia la lettura? Perché questa formula semiseria?

Ho scritto questo libro a quattro mani con il mio amico Franco Gonella. Il libro vuole essere una demistificazione dei capi, un ritratto ironico, leggero, dei personaggi i così detti “capi”: uomini piccoli di cervello e di cuore, incapaci di guardare al di là del proprio naso. È insieme anche un elogio alla gente onesta che cerca ogni giorno di fare bene il proprio lavoro, senza clamori. E purtroppo, spesso, senza adeguati riconoscimenti.

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Pier Luigi Celli (Verucchio, 8 luglio 1942) è imprenditore, dirigente d’azienda, saggista e narratore italiano. Oggi è direttore generale dell’università Luiss Guido Carli di Roma. Sposato con Marina, ha due figli. Laureatosi in Sociologia all’Università di Trento, è stato responsabile risorse umane in grandi gruppi, quali Eni, Rai, Omnitel, Olivetti ed Enel