
Come sconfiggere la paura per il futuro e affrontare al meglio un’emergenza? Con il maggior numero di informazioni possibile. Molti cittadini e imprese, nel pieno del lockdown causato dalla pandemia di Covid-19, lo hanno provato sulla propria pelle: chiusi nella propria abitazione (i primi) o con negozi e fabbriche chiuse (le seconde), in molti casi il non sapere quando si sarebbe potuti tornare alla “normalità” ha spaventato più del coronavirus stesso. Mentre molte aziende venivano travolte da una crisi sanitaria ed economica di portata epocale, altre erano capaci di prevedere l’andamento della pandemia - meglio ancora della stessa politica - e provare a programmare il futuro. Come? Affidandosi all’intelligenza artificiale applicata all’analisi dei dati. «In questo periodo il nostro lavoro ci ha reso, purtroppo, sempre più protagonisti, perché si è verificata una richiesta di analytics senza precedenti, non solo in ambito sanitario», ammette a Business People Mirella Cerutti, Managing Director di Sas Italy, società americana leader nel settore e in prima linea nel supportare aziende e organizzazioni a far fronte all’emergenza coronavirus.
In che modo intelligenza artificiale e analytics hanno potuto far fronte all’emergenza coronavirus?
Innanzitutto una premessa: essendo l’Italia il primo Paese occidentale a essere colpito duramente dal Covid-19, abbiamo richiesto da subito flessibilità nel rilasciare ai nostri clienti tutte quelle strumentazioni di cui avrebbero avuto bisogno. Dalla casa madre abbiamo ricevuto ampia disponibilità, nonostante a inizio marzo negli Stati Uniti non fosse ancora chiaro quale sarebbe stato l’impatto della pandemia. Dove abbiamo ottenuto maggior riscontro? Soprattutto nei centri di ricerca. Un esempio è l’attività svolta dall’Ospedale Gemelli, che ha utilizzato la nostra strumentazione per prevedere gli impatti dell’afflusso dei casi a livello ospedaliero, piuttosto che per ottimizzare l'occupazione dei posti letto (leggi di più). Analisi fatte per avere risposte nel breve, ma anche nel lungo periodo: con loro stiamo lavorando attorno al progetto Generator, che cerca di dare una risposta alla malattia prevedendo sia le complicanze mediche sia le stime dei tempi di ricovero. Altro tema su cui possono essere di grande aiuto gli analytics è sull’isolamento dei contagi e sull’istituzione di zone rosse al fine di non bloccare il Paese com'è invece accaduto per la prima vera esperienza di pandemia che abbiamo vissuto. Come Sas, inoltre, abbiamo messo a disposizione degli scienziati di tutto il mondo i text analytics: l’intelligenza artificiale può effettuare rapidamente analisi su decine e decine di migliaia di documenti e ricerche sul tema Covid-19 in tutto il mondo per fornire risposte di valore ai ricercatori.
Discostandosi dall’ambito sanitario, come hanno affrontato l’emergenza le altre aziende?
Un altro aspetto su cui abbiamo lavorato con i nostri clienti è stato sul planning delle domande, perché alcuni avevano necessità di comprendere esattamente la propria supply chain e come sarebbero stati colpiti i fornitori. Con alcuni abbiamo approntato dei modelli in modo da prevedere dove sarebbero andate in crisi e capire quali interventi adottare. Altra cosa che abbiamo voluto fornire fin da subito è stata l’accesso alla formazione online gratuita e devo dire che, sulla base di un’analisi condotta a livello Emea, l’Italia si colloca nei primi tre posti sul fronte della partecipazione. Sì, abbiamo dovuto affrontare un periodo di lockdown maggiore, ma è sicuramente una piacevole conferma che di fronte alle necessità sappiamo reagire in un certo modo. Anche questo è un indice del fatto che nel nostro Paese ci sia voglia di formarsi su questi temi.
Immagino che qualche azienda, forte di sistemi predittivi, abbia analizzato con anticipo l’evolversi di una pandemia che, per molti, all’inizio non era prevedibile.
Nella prima fase con diverse multinazionali abbiano analizzato l’evolversi dell’emergenza Covid all’interno della propria organizzazione, Paese per Paese, per comprendere l’andamento della pandemia e proporre sistemi di lockdown, sia a livello industriale che di retail. Ricordo una videocall fatta a metà marzo con una multinazionale nostra cliente, che ci aveva mostrato alcuni modelli: sulla base delle informazioni di cui disponeva, aveva evidenza che tra la fine di maggio e la prima metà di giugno si sarebbe raggiunto un livello di contagi quasi zero. Ovvero quanto sta più o meno accadendo oggi, ma nessuno nella prima fase della pandemia si sarebbe aspettato un periodo così lungo.
Nelle settimane di lockdown molte imprese hanno dovuto chiudere i battenti, sperando in una rapida ripresa economica, altre hanno scoperto lo smart working, che in alcuni settori ha permesso di portare avanti il lavoro. Voi come avete affrontato in azienda le difficoltà della pandemia?
Abbiamo svolto un lavoro enorme e devo dire che le nostre persone non hanno mai smesso di supportare i clienti. Eravamo abituati a lavorare in remote working, anche per questo non abbiamo mai avuto momenti di calo delle attività, ma ad aiutarci in questo momento sono stati due fattori: il primo è che, fortunatamente, non abbiamo avuto casi di Covid in azienda, il secondo è che sia a livello locale che dell'headquarter negli Stati Uniti abbiamo fin da subito dichiarato che l’azienda era solida e che non avrebbe apportato tagli. Lo stesso messaggio dato anche in occasione dell’ultima grande crisi, quella del 2008. Un altro aspetto importante è stata la comunicazione: ho voluto creare, anche se attraverso strumenti digitali, una comunicazione diretta con le persone. Abbiamo organizzato tante riunioni per spiegare non tanto quello che stava succedendo - perché all’inizio era oggettivamente difficile comprenderlo - ma quello che noi percepivano e come avremmo voluto affrontare l’emergenza. Abbiamo dato da subito priorità alla sicurezza delle persone: già dal 21 febbraio abbiamo offerto la possibilità di lavorare da casa, poi dall’8 marzo abbiamo deciso di chiudere gli uffici e mantenere tutti in smart working, ma in contatto diretto. Questo è stato una dei motivi del grande riscontro avuto dalle nostre persone che, devo ammettere, è andato al di là di ogni aspettativa. Tutti si sono prodigati, cercando anche nuovi modi di lavorare. Un esempio è il nostro reparto marketing, che si è reinventato una comunicazione all’interno di un’azienda che cambia e in una situazione difficile. Abbiamo trovato nuovi modi di muoverci e nel contempo siamo diventati un modello anche per la casa madre e le altre filiali Emea. Abbiamo condotto anche delle survey per capire il clima e le aspettative delle nostre persone. Devo dire che abbiamo avuto dei riscontri veramente, veramente positivi.
Adesso avete riaperto gli uffici?
Dalla casa madre ci hanno lasciato piena flessibilità, sia nel decidere quando chiudere che quando tornare in azienda. Ho deciso di riaprire due settimane fa per dare anche un segnale di ritorno alla normalità. Ovviamente il suggerimento resta quello di lavorare da casa, ma se c’è necessità si può venire in ufficio, anche perché tra i nostri collaboratori ci sono persone - come i ragazzi più giovani che condividono l’appartamento con altri coetanei - che preferivano tornare in ufficio.
In questo periodo avete riscontrato un aumento di interesse verso il mondo degli analytics?
Devo dirle che l’interesse c’è, ovviamente le modalità (di incontro, ndr
) sono più difficili in questo momento. Soprattutto cresce l’attenzione da parte delle medie aziende, non più solo da quelle grandi, penso al mondo bancario e assicurativo, dove c’è già una presenza di analitici di un certo livello. Se prima c’era più esitazione, ora aziende di medie dimensioni hanno approcciato il mondo dei dati.
Secondo lei, quali sono i principali cambiamenti che rimarranno a emergenza finita?
Confido nella trasformazione digitale del nostro Paese, che fino a qualche mese fa sembrava un processo lunghissimo. La pandemia ha forzato una presa di coscienza e una digitalizzazione del Paese. Non solo come aziende, ma anche come pubblica amministrazione. Spero che questo sia di grosso insegnamento e che possa aiutare a creare un vero smart working, una modalità di lavoro più intelligente. Ovviamente non sarà tutto bianco o tutto nero, non lavoreremo tutti in remote working o tutti in ufficio, ma spero si possa creare una certa flessibilità, un equilibrio, anche per permettere alle persone, banalmente, di spostarsi meno. Non dimentichiamo, infatti, un altro aspetto del lockdown: la riduzione notevole dell’inquinamento atmosferico. Spero che questo cambiamento rimanga in tutti i settori, perché abbiamo avuto la prova che è possibile affrontare ovunque queste modalità di lavoro. Va da sè che, per affrontare questi cambiamenti, dovremo conoscere le aziende: ognuna dovrà capire com’è fatta e che tipo di servizio può dare, sia all’interno che all’esterno. Per questo sarà sempre più necessaria l’analisi dei dati per avere dei riscontri.
È di pochi giorni l’annuncio dell’annullamento, causa pandemia, del Sas Forum di Milano per il 2020, ma è già pronto l’appuntamento virtuale con il Sas Global Forum del 16 giugno. Ci sono in programma altri appuntamenti?
In questo momento la nostra attenzione è per il Global Forum, ma il nostro marketing si è molto reinventato. In questo periodo abbiamo lanciato una serie di eventi virtuali, magari più ristretti, ma molto più tematici, indirizzati ad esempio verso il mondo bancario e retail. E devo dire che anche su questo abbiamo avuto un buonissimo riscontro. È ovvio che questi eventi vadano ripensati, bisogna attirare l’attenzione in maniera diversa ed essere molto efficaci, dando le informazioni in maniera più precisa e puntuale. Anche noi stiamo imparando a “tailorizzare” sui nostri clienti il messaggio che vogliamo dare.