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Stranger Stories: la fantascienza non smette di stupire

La recente acclamata serie di Netflix è solo l’ultimo di una lunga serie di successi di un genere, come la fantascienza, che affonda le radici già alla fine dell’’800. Da allora mescola desiderio di evasione e voglia di novità, giocando con le nostre paure più recondite per offrire visioni “dell’altro mondo”

La fantascienza vive un’eterna giovinezza. Da quando è nata, si muove rapida tra conoscenze scientifiche, imma­ginazione, fantasia e crea mondi che talvolta paiono sogni, molto più spesso incubi. Ci regala campioni in carne e ossa, supereroi con poteri immensi e robot intelligenti (a volte bra­vi, a volte sadici). Mescola il desiderio di evasione, nutre le più recondite paure e appaga la voglia di novità servendo un coc­ktail che per molti è irresistibile, sulla pagina scritta come sul grande schermo.

La fantascienza è una strana creatura con due papà e una mamma: letterariamente parlando, nasce ai primi del 900, ma i genitori sono di qualche decennio prima e si chia­mano Jules Verne, Herbert George Wells e Mary Shelley. Le loro storie tardo-ottocentesche hanno conquistato (e conqui­stano ancora) intere generazioni di lettori: la fantascienza ha nel Dna il plot di capolavori come Dalla Terra alla Luna, Viaggio al centro della Terra, Duemila leghe sotto i mari (tutti di Verne), ma anche La guerra dei mondi, L’uomo invisibile, La macchina del tempo (Wells) e, ovviamente, Frankenstein (di quella ge­niale autrice che fu la Shelley). Le loro storie saranno utilizza­te, con mille declinazioni e variazioni, in decine di altri romanzi a venire, per non parlare della loro influenza sulla produzio­ne delle pellicole fantascientifiche che hanno fatto la storia del cinema. Da quanto la fantascienza è entrata a testa alta in li­breria – data di nascita ufficiale: 5 aprile 1926 con la pubblica­zione, negli Usa, della prima rivista di genere, Amazing stories – ha imparato a muoversi su quello strano crinale tra scienza e fantasia: cattura la nostra curiosità, racconta qualcosa di in­solito, diverso o impensabile dal quotidiano, ci porta “in altri mondi”.

Non stupisce che il cinema, fin dagli albori, ne abbia colto il potenziale attrattivo sul grande pubblico: la storia del 900 è infarcita di pellicole tratte da capolavori della fantascien­za firmati da Isaac Asimonv, Michael Crichton, Philip K. Dick, per non parlare di Stephen King o H. P. Lovecraft. Quante vol­te le loro storie di carta si sono intrecciate con i migliori talenti della macchina da presa? In rete, vari siti (anche italiani) si sono divertiti a costruire una bibliografia letterario-cinematografia del genere: l’elenco è sconfinato, le combinazioni sono miglia­ia. Citiamo allora in ordine sparso solo alcuni dei registi: Elio Petri, Stanley Kubrick, Steven Spielberg, Andreij Tarkovskij, Al­fred Hitchcock, John Carpenter, François Truffaut, Ridley Scott. Lista parziale, ma significativa, vero? È innegabile che la fanta­scienza sia genere su cui i migliori talenti creativi (delle parole, dei ciak) si sono voluti cimentare. Spesso, trasformando l’im­maginario collettivo globale grazie a prodotti che trascendo­no il singolo mezzo espressivo: che cosa sono stati (anzi: che cosa ancora sono) due inarrivabili saghe come Star Wars e Star Trek, così diverse eppure così uguali?

Nessuno potrebbe deru­bricarle a meri prodotti cinematografici: sono oggetti di culto, per qualcuno addirittura “una religione”. La fantascienza, per certi versi, è come la fede calcistica: non ammette deroghe ed è totalizzante. I cultori del genere non ne sono mai sazi: libri, movie, serie, gadget, tutto serve ad alimentare il mito. A vede­re il successo in sala del genere, ma anche quello riscontrato nelle serie fanta-distopiche su Netflix (vedi Stranger Things), parrebbe che la fantascienza digitale si sia presa una bella ri­vincita sul genere letterario da cui è stata generata. Ebbene, le cose non stanno esattamente così. L’evoluzione del cinema e degli effetti speciali nei serial-tv, il 3D e l’animazione sempre più curata lasciano poco spazio all’immaginazione e permetto­no un’immersione totale, prima impensabile, dello spettatore nella vicenda narrata. Tuttavia, è la letteratura (e spesso anche la cronaca quotidiana) a ispirare con la forza della sua narrazio­ne alcune delle migliori pellicole del nuovo millennio. La pro­va: il successo dilagante di un sottogenere della fantascienza, il distopico. Le guerre in giro per il mondo, la paura del terrorismo, le chiusure politiche, la crisi finanziaria, l’ossessione per la perdita della propria privacy e il dilagare della vita digitale sulla vita “vera” sono stati il detonatore di un genere ambienta­to in un futuro prossimo, del quale si sottolinea l’avanzata tec­nologica di pari passo a un opprimente quanto insensato totalitarismo. La fantascienza distopica ci piace perché – nean­che troppo velatamente – parla dei mali e dei rischi del presen­te. Un esempio? La fortunatissima serie Hunger Games. Il mo­dello letterario, tuttavia, è sempre lo stesso: l’inarrivabile 1984 di George Orwell. Sono poi tante, tantissime le fortunate con­vergenze letterario-cinematografiche degli ultimi anni: quel geniaccio di Steven Soderbergh, per esempio, recupera Sola­ris, straordinario romanzo scritto nel 1961 dal polacco Stani­slaw Lem e indaga, complice George Clooney, le “cose inspie­gabili” di quel pianeta così lontano.

Dalla cultura manga del Giappone nasce la fama, sia letteraria che cinematografica, di Battle Royale tratto dal romanzo di Koushun Takami e distopi­camente girato da Kinji Fukasaku. E se Hollywood attinge da sempre a piene mani dalla sterminata opera di Philip K. Dick (due, su tutti, i cult Blade Runner e The Minority Report), oggi anche le scrittrici donne hanno assunto un ruolo sempre più importante mescolando, all’interno del genere fantascientifi­co-distopico, il romance. L’esempio più celebre di questi anni, gettonatissima tra i millennial: Veronica Roth, americana, clas­se 1988, e autrice della fortunata trilogia Divergent, blockbu­ster anche al cinema.

La fantascienza è un genere pop per defi­nizione (su cui l’industria culturale investe e pretende “grandi numeri”), ma ancora oggi questo non preclude a registi parti­colarmente raffinati, come Alfonso Cuaron, di passare al setac­cio la letteratura fantascientifica meno nota prima di mettersi alla macchina da presa per confezionare un capolavoro d’auto­re. Pensiamo a Gravity, ad esempio. È in Incontro con Rama di Arthur C. Clarke, un racconto lungo pubblicato nel 1972, che si ravvisa l’idea insolita dello spazio orbitale come futuro “luo­go di lavoro” degli uomini. La pellicola – ben lo sa chi ha potu­to gustarsela sul grande schermo – è ipnotica: Cuaron ha usato infatti immagini ad altissima risoluzione della Nasa per realiz­zare i cosiddetti esterni di questo film di fantascienza che pare girato in orbita e non in uno studio cinematografico della Bas­sa California. La fantascienza è capace di rigenerarsi di conti­nuo e di sicuro il futuro porterà, in libreria e in sala, nuove “vi­sioni”: saremo pronti?

Credits Images:

Un’immagine del successo fantascientifico del momento, la serie tv targata Netflix Stranger Things