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Lifestyle

Moda Uomo: così si è rinnovato il look maschile

Lo stile classico si è profondamente rinnovato in questo decennio sotto gli attacchi dello sportswear, ma a cambiare è stato soprattutto il ruolo del maschio, divenuto avido consumatore di passerelle e autonomo nella scelta del look, decretando l’addio a tagli che ne nascondevano la fisicità

C’è da giurare che l’abbigliamento maschile non cambi mai. Basta aprire l’armadio di un qualsiasi uomo medio per ritrovare, quasi sempre, la stessa somma: un paio di giacche, qualche pantalone, un abito due pezzi, o tre se si è già sposati, camicie bianche e azzurre, qualche cravatta da giorno e un paio da sera. Fine. Eppure è anche in questa addizione di pochi e (apparentemente) semplici capi che si può raccontare l’evoluzione del menswear negli ultimi dieci anni. Un periodo che forse è stato tra i più densi di cambiamenti, che ha visto l’uomo diventare un vero consumatore di moda, con un’alta capacità di spesa e le conoscenze adeguate per costruirsi un guardaroba senza dover chiedere la consulenza di una donna, agile nello scavalcare diversi stili, da quello più serio da indossare al mattino in ufficio a quello più casual per il tempo libero. A conoscere una vera e propria rivoluzione nei primi anni Duemila è stato l’intero stile maschile, in grado di cambiare radicalmente grazie a un marchio e, prima di tutto, a uno stilista destinato a dettare le regole della moda uomo anche nelle ultimissime stagioni. Hedi Slimane, classe 1968, francese con origini tunisine e italiane, arriva nel 2000 alla direzione creativa di Dior Homme dopo essere stato pupillo di monsieur Yves Saint Laurent. Niente, per l’abbigliamento maschile così come lo si conosceva, sarà più come prima. Fino ad allora, a governare le regole dell’abito sartoriale erano stati concetti come il comfort, con i pantaloni che nemmeno sfioravano le gambe, dalle tasche capaci di contenere tutto il necessaire e le giacche ampie costruite per esaltare anche i toraci più esili. Con Slimane la musica cambia radicalmente: nel vocabolario dell’uomo contemporaneo fa il suo ingresso il termine “skinny”, ossuto. Nessuno avrebbe mai creduto, alla sua prima sfilata, che esistesse una schiera di consumatori, al di fuori delle icone rock come Pete Doherty da cui prende ispirazione, capaci di indossare quei pantaloni così attillati, quei blazer asfissianti e quelle cravatte così sottili. Eppure quelle nuove regole di stile influenzeranno la moda maschile per i successivi dieci anni, trasformando anche l’abito da lavoro in una sorta di seconda pelle e non più in un’armatura in cui calarsi dentro. Nel 2006 Slimane porta a compimento quella rivoluzione lasciando Dior Homme sul più bello, dando spazio a una schiera di designer desiderosi di fare propri quei canoni. Come il suo successore Kris Van Assche, che dà una svolta minimale alla maison, conservando a lungo quella silhouette esile, o Raf Simons, che in passerella scambia la camicia da indossare sotto la giacca con maglioncini dolce vita. O ancora Dries Van Noten, che sdrammatizza l’abito formale con biker jacket di pelle bicolore.

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CIAO CAPPOTTO!Proprio il capospalla è il pezzo dell’abbigliamento maschile che è stato più rivisitato, contaminato, destrutturato. Se l’abito business cambia stile, sopra di esso il vecchio cappotto di lana non ha più senso. Ed è tra il 2007 e il 2008 che lo sportswear inizia la sua lenta, ma inesorabile, contaminazione del mondo sartoriale. Sono gli anni delle Trialmaster, i giacconi Belstaff che diventano un capo must have, ideali sotto la pioggia per non stropicciare il classico suit, o dell’intramontabile piumino di Moncler, che conquista le passerelle come capo quasi sartoriale. Dolce&Gabbana colora d’oro la giacca da aviatore, multitasking grazie alla zip che la allunga e l’accorcia a seconda dell’occasione, l’argento è invece il metallo scelto da Emporio Armani per i suoi maxi giacconi bordati di pelliccia, che rileggono il montgomery in chiave future-sport. Anche Burberry accantona il suo trench, icona del businessman della City, per lasciare spazio ai parka in montone o ai gilet in duvet.Ma pur in anni di sperimentazione, specialmente nei materiali sempre più tecnologici, leggeri e soprattutto sostenibili, l’abbigliamento maschile non riesce a rinunciare completamente all’eleganza sartoriale. Un gusto che ritorna alla ribalta con Mad Men, la serie Tv che racconta le imprese di un gruppo di pubblicitari nella New York negli anni ’60. Le cravatte regimental e il Borsalino di Don Draper, il doppiopetto di Roger Sterling, gli abiti fumo di Londra o gessati firmati Brooks Brothers irrompono tra le tendenze di quelle stagioni, riportando in auge i classici del formalwear. Il cappello di feltro è l’accessorio degli ultimi anni del primo decennio 2000, da indossare sulla giacca a un bottone da giorno di Giorgio Armani o sui caban di Bottega Veneta, mentre il doppiopetto è la scelta di Miuccia Prada per i suoi suit minimali, da portare senza cravatta, o da Yves Saint Laurent, che come Dolce&Gabbana rispolvera un grande classico come lo smoking.

LEGGEREZZAGli anni 10 si aprono con una voglia di leggerezza, un desiderio di osare. Sono le stagioni in cui le griffe iniziano a confrontarsi con un uomo differente, consumatore di moda intelligente e non più acquirente passivo guidato dalle madri o dalle mogli. Il menswear conosce in questo periodo un boom, spinto dai mercati emergenti come Cina e Russia dove una nuova classe dirigente, giovanissima, ha fame di sartorialità, soprattutto made in Italy. Sull’onda dei fashion blog anche al maschile, l’uomo si scopre più vanitoso e interessato alle tendenze, persino sul lavoro. Il pantalone si accorcia per lasciare intravedere la caviglia nuda e il mocassino, quello con il morsetto di Gucci, le giacche si possono indossare sopra il cashmere da portare a pelle, come vuole Salvatore Ferragamo. Il casual irrompe nel formale, colorando il suit di stampe o di tonalità light, come il celeste polveroso di Hugo Boss o l’ecru di Louis Vuitton, abbattendo le barriere da abito da lavoro e da tempo libero con l’avanzata di lini, cotoni e sete.Di fronte all’avanzata dei “nuovi ricchi”, l’Europa si trova a fronteggiare gli anni della crisi che influenza anche l’uomo e le sue scelte nel vestire. Dopo anni di brio, c’è il desiderio di tornare alla concretezza del passato, alle icone del guardaroba maschile. Nel 2011 Mario Monti, appena nominato premier, riaccende i riflettori sul loden, sdoganando anche sulle passerelle l’austerity. Tornano in auge i grandi classici come l’abito tre pezzi di Brioni, il marchio di James Bond, o il gessato e il doppiopetto, che Dolce&Gabbana eleggono tra i simboli della loro sartoria siciliana. Nell’armadio il piumino e il parka lasciano spazio, anche per i più giovani, ai montoni rovesciati, ai trench e ai cappotti, dai revers bordati di pelliccia o dallo stile militare. Una moda concreta anche nei materiali, con il ritorno della lana, del feltro e della pelliccia o delle classiche stampe menswear, dal check fino al Principe di Galles e al pied de poule.

ISPIRAZIONIContaminazione è stata comunque negli ultimi dieci anni una delle parole d’ordine a caratterizzare l’abbigliamento maschile e il formalwear continua a incrociare la propria strada con il casual. Gli anni più recenti rilanciano un’ideale di rilassatezza più giocosa del passato, che prende ispirazione dallo sportswear e che non ha paura di sconfinare nel guardaroba da businessman. Prada sdogana la camicia dai toni fluo o dalle stampe Las Vegas sotto il blazer, mentre Kenzo trasforma la felpa da capo da palestra a passepartout, buono sia per l’ufficio sia per il weekend. Valentino nobilita le sneaker, che iniziano a farsi vedere anche abbinate all’abito sartoriale complice la mania del Casual Friday. Sarà che siamo negli anni del dolcevita di Steve Jobs, del maglioncino di Sergio Marchionne e della felpa di Mark Zuckerberg, anche il business wear sembra cedere il passo a uno stile meno composto e più giovane.Sono ormai i Millennial, con i loro post su Facebook e le loro foto su Instagram, a decretare il successo di una moda, di uno stile, di una tendenza: destinata a durare una stagione soltanto e a scomparire, quasi come un video di Snapchat, o a superare indenne il trascorrere dei decenni riadattandosi ai gusti e alle esigenze delle nuove generazioni. Come forse solo l’abito è riuscito a fare fino a oggi, rivisitato ancora in chiave italianissima e sartoriale secondo lo stile di Dolce&Gabbana o nell’eccentricità bohemienne di Gucci. O l’intramontabile jeans, riapparso proprio alle ultime sfilate e destinato a diventare di nuovo un must per il guardaroba maschile non solo nel tempo libero, da indossare sotto le camicie western o le felpe della tuta in stile anni ’80. E il futuro cosa riserva? Difficile da prevedere, ma c’è da giurare che, anche per i prossimi dieci anni, quei capi che si trovano in tutti gli armadi detteranno ancora le regole del vestire di un uomo.