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Gusto

Il passato è tutto da gustare

Da Cavour a Leopardi, fino agli Alighieri della Valpolicella, i discendenti del sommo poeta, l’Italia del vino vanta un numero enorme di storie che hanno fatto la storia. E anche la leggenda, se è vero che addirittura il rosso della bandiera americana è ispirato al colore di un nettare toscano… viaggiando nel tempo tra un calice e l’altro

L’uomo produce vino da quasi sette mila anni, mentre in Italia lo si beve da più di duemila. E per tutto questo tempo ha accompagnato gesta eroiche, animando personaggi storici divenuti leggendari ed entrando molto più spesso di quanto si pensi nelle vicende del nostro Paese. Seguiteci in questo viaggio nel tempo tra nettari e vitigni che, oltre ad avere un grande passato, meritano anche un grande futuro.

I VINI DELL’UNITÀ

Le tante vicende storiche, note e meno note, che portarono al Regno d’Italia spesso sono andate a braccetto con il nettare di Bacco. Molti conoscono la storia di Fontanafredda, tenuta reale donata a la “Bela Rosin” da Vittorio Emanuele II. Ma pochi sanno che si deve a Camillo Benso Conte di Cavour se il Barolo smise di essere un “chiaretto”, spesso vinificato dolce, per divenire uno dei più sontuosi rossi al mondo. E ciò avvenne grazie anche all’aiuto della Marchesa Juliette Colbert (proprietaria del Castello di Barolo) e del suo enologo Oudart, che portò in Piemonte il modo di fare vino tipico di Bordeaux. Si racconta che Cavour usasse ripetere: «Plures amicos mensa quam mens concipit» (cattura più amici la mensa che la mente), ed era così persuaso della capacità diplomatiche del vino che non lasciava partire nessuno dei suoi ambasciatori verso l’estero senza una scorta di Barolo in carrozza. Ma il Barolo non era l’unica zona da cui Cavour sceglieva i suoi vini “agevolatori”: infatti usava spesso anche i prodotti di una zona (oggi) meno celebre, come quella di Ghemme e Gattinara (No), già famosa per i suoi vini nel Rinascimento. La Valsesia era coltivata a vite già al tempo dei Romani ed è sempre stata teatro di dispute e battaglie per tutto il Medioevo, perché un ideale punto di passaggio tra Piemonte e Lombardia. I vini che qui si ottengono da nebbiolo croatina e barbera sono intensi, molto persistenti, con note eteree, floreali di frutta rossa, tabacco, spezie e cuoio. Tra i più famosi produttori rammentiamo l’azienda Torraccia del Piantavigna, la storica Travaglini, produttrice di Gattinara e l’ormai mito underground Osso San Grato di Antoniolo. Un vino che ha, per dirla con Emanuele Giannone, «la virtù di arrivare a un massimo di concentrazione espressiva dal minimo di materia e densità possibile». Altri piemontesi produttori di vino dal pedigree blasonato sono le famiglie di Quintino Sella (Tenute Sella a Bramaterra eLessona) e i discendenti di Luigi Einaudi, secondo presidente della Repubblica e vignaiolo a Dogliani, con qualche filare prestigioso anche a Barolo. L’epopea risorgimentale ci porta pure in Liguria, con il rosè della Contessa di Castiglione, ovvero Virginia Oldoini, passata alla storia per avere sedotto Napoleone III inducendolo a sostenere la causa dell’indipendenza italiana. L’idea di usare il rosato di queste terre (oggi prodotto dalle Cantine Lunae Bosoni dei Colli di Luni, tra Liguria e Toscana) pare sia stata proprio un’astuzia del Conte di Cavour che le avrebbe detto: «Usate tutti i mezzi che vi pare, ma riuscite». Sarà stato merito del rosato…? Dalla Liguria al Veneto, dove scopriamo che Carpenè Malvolti ha dedicato per il 150esimo dell’Unità d’Italia un suo vino, la Cuvèe 1868, al fondatore dell’azienda Antonio Carpenè, garibaldino della spedizione dei Mille. La fondazione di questa azienda, avvenuta subito dopo essere il suo rientro dall’impresa, era destinata a riscattare un territorio e gettare le basi per lo straordinario successo del Prosecco di oggi. Da non dimenticare nemmeno il successore di Cavour, Bettino Ricasoli. Il “barone di ferro” fu produttore importante nell’odierno Chianti Classico con il suo Castello di Brolio, che continua a imbottigliare vini di classe internazionale a Gaiole in Chianti, visitato da migliaia di turisti ogni anno.

TRA POETI E PAPI

Un altro percorso affascinante del nostro vino parte da Dante Alighieri (e chi altri?) e arriva in Abruzzo, passando per il Veneto. Il sommo poeta visse infatti a Verona alcuni anni del suo esilio e qui vicino, in Valpolicella, suo figlio Pietro acquistò nel 1353 la possessione Casal dei Ronchi, tutt’ora proprietà dei conti Serego Alighieri, discendenti diretti del grande fiorentino. La villa è un luogo magico e sospeso nel tempo, dove alle pareti si trovano alberi genealogici che attraversano gli ultimi 800 anni di storia italiana e in cortile una vite ultracentenaria (impiantata nel 1875) di molinara, una dei tre vitigni che compongono il famoso Amarone della Valpolicella. Quello che produce qui la Serego Alighieri, ovvero il “Vaio Armaron”, è un Amarone atipico ma affascinante, che striscia sinuoso sul fondo e si lascia godere poco a poco con le sue note di ciliegia sotto spirito, spezie dolci di cannella e cardamomo, floreale passito, confettura di prugna e lieve accenno di tabacco e anice. Tra i tanti personaggi citati da Dante nella sua Commedia spicca nei ricordi di molti la figura di Celestino V, ovvero Pietro Angelerio (1209-1296), il papa che rinunciò al pontificato dopo essere stato eletto nella sorpresa generale. Pietro era infatti un eremita della Majella, monte simbolo dell’Abruzzo, dove aveva fatto costruire decine di eremi tutt’ora detti “celestiniani”. La zona ha un microclima particolare, fatto di frescura e aria di montagna, ma anche brezze e influenze marine, ed è inoltre sempre baciato dal sole. Condizioni ideali anche per la vite, che infatti ha sempre visto una produzione di qualità dai tempi dei romani passando per longobardi, normanni e giù fino ai giorni nostri. Dagli anni ‘60 a oggi forte è stato l’impegno della Cantina Cooperativa Tollo, che ha visto premiato di recente (2008) il suo lavoro con la Doc Tullum a tutela della produzione locale. Qui si creano Montepulciano d’Abruzzo tra i rossi e Pecorino e Trebbiano tra i bianchi, con vini insigniti di meritati riconoscimenti anche internazionali. Uno per tutti la medaglia d’argento Decanter al Cagiolo Riserva Montepulciano d’Abruzzo 2008 e al Rubì Montepulciano d’Abruzzo 2008.

Un altro grande poeta italiano scrisse spesso di vino e si interessò all’agricoltura marchigiana, come testimoniano i libri custoditi nei suoi scaffali. Parliamo naturalmente di Giacomo Leopardi. I conti Leopardi di oggi, discendenti del poeta, si sono accordati con la grande cooperativa Terre di Moncaro per produrre tre vini ispirati alla sua figura, ovvero il bianco Valdicia, da ribona e chardonnay, i rossi Capolevante (sangiovese e montepulciano) e, ovviamente, lo Zibaldone, da montepulciano e cabernet.

EREDI DEL REGNO DELLE DUE SICILIE

Ha rischiato di scomparire, ma nel Casertano, un tempo, il pallagrello si doveva coltivare per legge: Ferdinando IV lo inserì tra le varietà da salvaguardare ai tempi dei Borboni. Poi, con Garibaldi e la filossera, dell’uva si persero quasi le tracce. Fino a pochi anni fa, quando due avvocati (Mancini e Barletta) decidono di provare a tirarne fuori un grande vino. A Caiazzo nascono così Vestini Campagnano, Terre del Principe e altre realtà produttive, come Alepa, che inizia la sua storia negli anni ‘80, da Aglianico e Cabernet per poi riconvertirsi alla vocazione storica del luogo. Oggi Alepa produce il Riccio Bianco, con note di sambuco e biancospino, che in bocca si rivela sapido, con finale di salvia e carciofo, e Maria Carolina, vino dedicato alla regina delle Due Sicilie moglie di Ferdinando e sorella di Maria Antonietta di Francia: un tutt’uno tra fiore, frutta e territorio che colpisce e si fa ricordare, più per la suadente persistenza che per l’intensità al naso.

TOSCANA E PADRI FONDATORI SONO “STATI UNITI”

Sembra che le nazioni abbiano un grande bisogno di essere battezzate nel vino, e in questo senso la storia meno nota e più affascinante la si deve forse a Filippo Mazzei, rampollo della famiglia Mazzei, produttrice di vino a Fonterutoli (Castellina in Chianti, Si) dal 1435. Fu proprio Filippo, nel 1770, il primo a portare le barbatelle di sangiovese negli Usa nella tenuta di Monticello (Virginia), proprietà di Thomas Jefferson, terzo presidente degli Stati Uniti. Ma non solo, Filippo partecipò alla stesura della Dichiarazione d’Indipendenza delle colonie americane in quanto amico intimo dei primi cinque presidenti: George Washington, John Adams, James Madison, James Monroe e appunto Jefferson. Pare anche che abbia suggerito ai padri fondatori degli Usa i colori e la foggia della bandiera statunitense ispirandosi a quella di Ugo di Toscana: tre strisce argento (bianco) su fondo rosso per un totale di sette bande in cui si alternano rosso e bianco (che divengono 13 nella prima bandiera Usa). Il rosso degli Stati Uniti sarebbe quindi lo stesso rosso del vino e dell’araldica toscana. Una leggenda? Di certo c’è che oggi i Mazzei continuano a produrre un vino sontuoso ed elegante. Come l’ultimo nato, il Mix 36, composto da 36 ceppi di sangiovese diversi uniti insieme a raffigurare l’affresco del terroir di Castellina in Chianti: roccioso, speziato, minerale e innegabilmente toscano anche nella sua forza.