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Gusto

Georgia, la culla antica del vino

Non tutti lo sanno, ma il nettare di bacco ha visto la luce in questa nazione, la cui varietà enoica fa impallidire persino quella italiana. Perché non assaggiare alcune delle bottiglie prodotte in quest’area? Ecco le più interessanti

La Georgia è la culla antica del vino. La nazione dedica al settore 40 mila ettari, conta 18 denominazioni e, non ultimo, i famosi “qvevri”, i vini in terracotta più affascinanti del mondo. Senza contare che vanta un patrimonio ampelografico (525 varietà di uva registrate) ed enoico che annichilisce perfino la grande varietà italica. Per saperne di più siamo andati a lezione durante l’ultimo Merano Wine Festival, che da anni dedica a questi vini un posto d’onore.

Primo assunto fondamentale per capire queste zone: i georgiani non hanno inventato e diffuso solo il vino, hanno inventato l’ospitalità e tutto quanto ruota attorno alla convivialità legata al vino stesso. Ovunque andassero portavano vite e vino, mai la guerra. Quella semmai gli è stata fatta (vedi la Russia) per conquistare i loro giacimenti enoici… La Georgia è un Paese di montagne, colline e suoli che regalano tanti terroir diversi: a Nord la separano dalla Russia montagne altissime, con venti freddi che scendono verso le valli, mentre da Est a Ovest il caldo arriva dal Mar Nero. La suddivisione ampelografica vede un 75% di uve bianche e un 25% di uve rosse, ripartite – come già detto – in 18 denominazioni di origine protetta (le Aoc locali). La maggior parte delle coltivazioni è concentrata nella valle del fiume Anasali, dove trovano calore, acqua (ma non troppo) e riparo dal vento delle montagne. In realtà prima di dividersi dalla Russia, quando riforniva il suo grande vicino ed era una meta ambita per le vacanze, gli ettari destinati alla vite erano addirittura 150 mila. È stata proprio la separazione a dare il via al vero percorso per ottenere vini di qualità, visto che in precedenza gli investimenti erano minimi e tutti votati a far rendere il più possibile le viti in termini di ettolitri prodotti.

Ma cosa rende il vino georgiano così unico? Pensiamo a Gravner e a tutta l’epopea della terracotta in Italia: la tecnica del qvevri e la vinificazione ancestrale. L’uva bianca viene pressata in tini di legno allungati, poi il succo viene posto nel recipiente a forma di uovo interrato: qui si producono fermentazioni con meno del 30% di vinaccioli e le bucce con coperchio vanno a sigillare il tutto. La dimensione del qvevri dipende dall’uva utilizzata, oltre che dal vino che si desidera ottenere. Dopo un periodo che va dai tre ai sei mesi di fermentazione, il vino viene poi spostato in un altro qvevri, dove avviene la chiarificazione naturale e due anni di affinamento. Il tempo di quest’ultimo varia molto, e a volte può avvenire anche in botte vecchia. Dopo essere interrati, i qvevri restano lì per sempre. Non hanno data di scadenza, al massimo si riparano. Ci sono pochi maestri di terracotta che li realizzano in tutta la Georgia… e in giro per il mondo.

Ogni anno in primavera i qvevri vengono aperti e si procede con la degustazione di quanto contengono. In parte il vino viene imbottigliato, ma per lo più finisce per essere consumato a litri in solenni banchetti. Le uve bianche più usate sono Kakhouri Mtsvane, Rkatsiteli, Chkhaveri. Della prima, che si caratterizza per alta acidità abbiamo assaggiato quella della Shumi Winery, la Kakhuri Mtsvane 2014, vino fatto all’occidentale con note di cedro, limone, agrumi molto ficcanti, acidità accesa e ricca, tiglio, biancospino tanti fiori bianchi, lime e menta. Per aperitivi senza pensieri. Dalla Chkhaveri, invece, il Ktw Chkhaveri 2012, dal colore rosato piacevolissimo: canfora, cipria e confetto, leggere note di fragola, bei profumi originali, al palato ha acidità e non banale profondità tra ribes rosso e lamponi. Dalla famosa uva Rkatsiteli, caratterizzata da buccia grossa, tanti fenoli, acidità moderata, il Tbilvino Qvevris Rkatsiteli 2015, vino da servire a temperatura ambiente, un raro bianco con tannino che sa di miele, noci, senape e spezia, mele, albicocche, torrefazione, noci pecan arrostite. Ma forse le maggiori sorprese vengono proprio dai rossi, come i vini da Shavkapito: uva di recente riscoperta, con la parte legnosa molto sviluppata nel periodo invernale. Sente molto il terroir, si adatta a diversi stili, ma il frutto è sempre presente. Per capire cosa intendiamo si può assaggiare lo Chateau Mukhrani Shavkapito 2014 (Kartli) dal colore rubino rosso ma non profondissimo, scattante nel bicchiere. Bocca agile, fresca di frutta di bosco, tra Pinot nero e Merlot, con dolcezza appena accennata però piacevole, leggermente tannico ma anche da bersi fresco. L’uva rossa regina, però, è comunque il Saperavi, la traduzione di Teinturier francese: uva con cui si può tingere, ricca, pesante, anche il succo è inchiostrato, dal colore profondissimo, può essere prodotto in diversi stili. Molto antica, dalla buccia spessa, con grappoli conici di taglia media a germogliamento tardivo. Note caratteristiche: liquirizia (di quella buona), torrefazione, frutta nera, affumicato. Per conoscerla basta provare lo Tsindali Estate Saperavi 2014 – prodotto da un’azienda famosa, a Khaketi – di un rosso cupo, ricchissimo ma agile nel bicchiere: bocca ricca, piacevole, saporitissima, bel tannino docile ma ben presente, profondità rossa tra canfora, mandorla e fragola, esotico e al contempo godibile. Imperdibile anche l’Alaverdi Monastery Saperavi 2013 in qvevri: profondo, senza sbavature, rustico, ma pulito e preciso.

Non sempre sono bottiglie facili da trovare, ma aiutandosi con l’e-commerce e qualche distributore lungimirante qualcosa si trova! Per esempio i vini di “Our Wine”, cantina fondata da Soliko Tsaishvili, i cui Saperavi e Rkatsiteli valgono il viaggio e la spesa, oppure di Pheasant’s Tears, l’azienda di Gela Patalishvili con il pittore John Wurdeman, che nei loro 20 ettari di proprietà nelle regioni Kartli e Kakheti producono un grandissimo rosso dal gusto ancestrale e modernissimo allo stesso tempo.

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