Il lavoro che cambia
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Tutti – chi più chi meno, chi a ragione e chi a torto – siamo lanciati all’inseguimento di quel gioiello prezioso che non ha consistenza, ma di enorme valore, che è l’innovazione. Tuttavia, per creare nuovi prodotti e servizi, non è sufficiente farsi venire idee inedite, serve operare in modo diverso. Imperativi come il digitale, la sostenibilità, la D&I, impongono la necessità di nuove competenze per interagire con una realtà che muta velocemente davanti ai nostri occhi. E questo vale in primis e soprattutto per il mondo del lavoro: non sono solo gli impieghi a essere diventati precari, lo sono diventate anche le conoscenze. Panta Rei , tutto scorre, sentenziava il filosofo greco Eraclito. In questo periodo post-pandemico, lo fa ancora più velocemente.
Ecco perché le aziende si trovano a cambiare il loro approccio con i propri dipendenti, che vanno coltivati in base ai diversi ruoli che negli anni vanno via via ricoprendo, e formati e modellati su misura per fare fronte di volta in volta alle mutate esigenze organizzative e di business. È un vero e proprio sodalizio, un’alleanza che si viene a stringere tra l’impresa e chi ci lavora, dove anche le inclinazioni e le attitudini naturali di quest’ultimo entrano di diritto a far parte del “capitale umano” dell’azienda.
A tali interrogativi e riflessioni abbiamo deciso di dedicare l’inserto di questo numero di Business Peopl e, che abbiamo titolato Formazione permanente , appunto per sottolineare che mai come in un simile frangente chi si ferma sia perduto. La prova per la gestione delle risorse umane è ardua, perché si tratta di valorizzare i propri talenti e di attrarne di nuovi, e di creare le condizioni affinché le loro competenze rimangano al passo col volgere dei mercati. C’è chi dice che tutto questo produrrà un aumento di potere dei lavoratori, ma è anche vero che comporterà una considerevole responsabilizzazione degli stessi rispetto all’efficienza e all’efficacia dei risultati raggiunti. Per questo le imprese hanno cominciato a investire cifre di tutto rilievo per incrementare tale interscambio, che alla fine potrebbe contribuire a riscrivere il concetto stesso di lavoro dipendente. Quel che è vero è che, mai come adesso, le stesse si sono spinte a intervenire direttamente per contribuire a un quadro formativo che le università non riescono del tutto ad assolvere. Come è altrettanto vero che i primi a cambiare e a mettersi in gioco dovranno essere coloro che questa sfida si troveranno a coglierla, ovvero i manager.
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