
Benvenuti nell'era del social recruiting. Non c'è più solo un'attenzione ai profili dei candidati sui social network, ma la presenze online ha cambiato la natura stessa del lavoro di selezione del personale. Così, oggi un candidato su tre rischia di sentirsi domandare dei propri profili social e del loro utilizzo. Non solo come strumenti per controllare referenza, ma per comprendere - o cercare di intuire - le caratteristiche di una persona. Mentre un libro, Social Recruiter. Strategie e strumenti digitali per i professionisti HR (Franco Angeli), prova a dare agli esperti di Risorse Umane gli strumenti giusti per non perdersi nei meandri di internet, ci si può chiedere quali siano i pro e i contro di una visione delle Hr che lascia da parte i curriculum per ascoltare le persone che parlano sul web.
ASPETTI POSITIVI. Partiamo dall'aspetto più semplice: la verifica della realtà. Mentire è diventato impossibile o quasi nell'era dell'iperconnessione e dell'azzeramento della privacy. E il social recruiter lo sa. Verificare referenze, impegni, esperienze e abilità è ormai uno scherzo. E non c'è più solo LinkedIn, ma anche Facebook e Twitter parlano sempre di più di professionalità. E soprattutto garantiscono più immediatezza rispetto ai post "ponderati" su Pulse (anche se LinkedIn vuole somigliare sempre più alla creatura di Mark Zuckerberg). Il candidato "finto", o che si costruisce un'immagine ideale per l'azienda, perde ogni sovrastruttura se indagato online. Spesso le informazioni trovare online non saranno direttamente utili, ma serviranno alle Hr per farsi un'idea di chi dovranno incontrare. O per correggere un'immagine positiva o negativa creatasi dopo il primo colloquio faccia-a-faccia.
ASPETTI NEGATIVI. Ovviamente, non è sempre facile scovare le persone sui social network, soprattutto su Facebook e Twitter. Le impostazioni di privacy sono determinanti: lasciarle libere alla consultazione o difenderle per la privacy? Perché piuttosto che essere trasparenti, a volte può essere meglio lasciar trasparire solo quello che dovrebbe realmente interessare ai recruiter. E cioè le competenze professionali. Perché su quelle bisognerebbe essere assunti e giudicati sul posto di lavoro. Senza dover calcolare ogni mossa "sociale" anche sui social. Le persone contribuiscono davvero all'azienda solo se possono esprimersi in tutta la loro personalità.