ricerca universitaria

Nella ricerca universitaria gli italiani sono al top, ma fuggono dall'Italia. Non c'entra (solo) la casta dei professori universitari, ma il complesso delle storture create da un sistema che negli anni ha formato 50 mila ricercatori con investimenti importanti che sono finiti per arricchire solo i Paesi stranieri. Negli ultimi anni si è assistito a un'emorragia di 10 mila ricercatori e professori negli anni della crisi, il 20% del totale: a contribuire è stato anche il taglio dei finanziamenti (-14%) fino a raggiungere il record negativo dello 0,56% del pil (la media Ue è 0,66%). Tra pubblico e privato, insomma, il Belpaese punta sull'innovazione appena 20 miliardi (appena 92 milioni nei 300 Progetti di interesse nazionale), contro i 48 della Francia.

Ricerca universitaria, italiani al top ma fuori dall'Italia

Eppure, la qualità è altissima come dimostra la gara per aggiudicarsi i 13 miliardi garantiti dall’European Research Council (Erc) per il periodo 2014-2020. All'Italia costano 900 milioni all'anno, e ne tornano appena 600. Glii "starting grant” - che offrono ai giovani ricercatori con un’esperienza di 2-7 anni dalla fine del dottorato 1,5 milioni di euro da spendere in 5 anni - sono andati a oltre 400 promettenti studiosi. Gli italiani sono 43, il 10% del totale, ma meno di uno su due lavora ancora nel nostro Paese (19).

I fondi di categoria superiore, gli “advanced grant”  messi a bando per «i leader di ricerche consolidate», vanno invece a 16 ricercatori, di cui 12 ancora in attività nella Penisola. Per nazionalità dei vincitori insomma siamo quasi sempre sul podio in Europa. L’associazione Scienza in Rete ha calcolato che dal 2007 i cervelli italiani si sono aggiudicati complessivamente 420 bandi, con il picco di 63 nel 2015. Ma questa è solo un discorso sulle menti, perché per quanto riguarda le braccia le cose cambiano. E l'Italia è l’unico Paese a mantenere nel tempo un bilancio negativo, con un numero costante di ricercatori che lavorano all’estero e solo pochi che arrivano.

Meglio di Germania e Francia

«Le opportunità di lavoro per i ricercatori nel settore pubblico oggi in Italia sono limitate», conclude l'Erc, «il gap con il resto dell’Europa è aumentato. Dall'inizio della crisi la spesa del governo per la ricerca è calata e anche oggi resta significativamente più bassa rispetto ai livelli pre-crisi». Ma «nonostante le restrizioni, la produzione scientifica italiana è forte e in continuo miglioramento. In termini di pubblicazioni per numero di ricercatori e per fondi spesi, la performance è generalmente migliore rispetto a Germania e Francia».