Connettiti con noi

Lavoro

I due falsi miti da sfatare sul lavoro in Italia

All’origine di tutto un’errata valutazione dell’Ocse che pesa da più di vent’anni. La situazione reale è ben diversa da come viene rappresentata

Sorpresa. Il mercato del lavoro italiano non è il più rigido tra quelli dei Paesi più sviluppati e non è neppure vero che i dipendenti italiani siano tra i più tutelati contro il licenziamento. E, forse, non è opportuno citare la Germania come modello da prendere ad esempio, visto che il suo indice delle tutele ai lavoratori a tempo indeterminato stabilito dall’Ocse è 2,87 e, quindi, più alto del nostro 2,51.

Non solo, tanto per restare in Europa, il nostro mercato del lavoro è più flessibile anche di quello di Olanda (2,82) e Svezia (2,61). E ancora, mentre l’Italia tra il 2012 e il 2013 è riuscita ad aumentare la flessibilità del proprio mercato del lavoro – nel 2012 l’indice Ocse era a 2,76 – Germania, Olanda e Svezia sono rimaste immobili.

Ad aggiungere sconcerto a sconcerto arriva la notizia che anche la scarsa flessibilità dei nostri contratti di ingresso nel mondo del lavoro è un luogo comune, un altro falso mito da sfatare. Dati Ocse alla mano si vede che i vincoli posti in carico ai datori di lavoro tedeschi, francesi e norvegesi quando ricorrono ai contratti a tempo determinato sono ben superiori a quelli imposti agli imprenditori italiani. L’indice attribuito all’Italia dagli analisti dell’Ocse è 2, leggermente al di sopra della media (1,75), ma ben al di sotto del 3,63 della Francia e del 3 di Norvegia e Spagna. Questo, vale la pena di precisarlo, ancora prima della liberalizzazione dei contratti introdotta dal ministro del lavoro Giuliano Poletti che ha eliminato le casualità e introdotto la possibilità di tre proroghe in cinque anni.

Proprio mentre infuria il dibattito sull’articolo 18, il quotidiano la Repubblica prende tutti in contropiede con l’analisi di questi dati che accende i riflettori su una vicenda fino a oggi nota soltanto agli addetti ai lavori: molte delle anomalie attribuite al mercato del lavoro nostrano sono frutto di un errore nel quale sono incorsi i ricercatori dell’Ocse ancora negli anni ’90, quando considerarono il Tfr come una forma di indennizzo riconosciuta in caso di licenziamento. Un errore di valutazione che la stessa Ocse ha provveduto a correggere circa dieci anni dopo, prendendo atto della segnalazione della Banca d’Italia.

Ma, nonostante questo, le conseguenze continuano a pesare sull’immagine interna e internazionale del nostro mercato del lavoro. Il rischio, come ha dichiarato al quotidiano Emilio Reyneri, sociologo del lavoro all’Università di Milano Bicocca, è che si perda di vista che la vera questione cruciale è un’altra. Già nel 2009 l’Ocse aveva rivelato che in Italia le cause del lavoro duravano in media 24 mesi, esattamente il doppio di quello che accade in Francia e in Svezia e addirittura sei volte tanto rispetto ai quattro mesi della Germania. Questa volta il dato è corretto e ben verificato e, probabilmente, ha un ruolo ben più determinante nel convincere gli investitori stranieri a tenersi ontani dall’Italia.

Credits Images:

© Getty Images