Connettiti con noi

Lavoro

Dalla parte dei cattivi

Macché supermanager (e super busta paga), non esistono! Mito e retorica del capo irreprensibile hanno fatto il loro tempo. Oggi si torna a valori più umani e quotidiani. Gli stessi che troviamo negli “acerrimi nemici” dei cartoon e dei fumetti

Quando in ufficio il gioco si fa duro, meglio stare dalla parte dei cattivi. Vincono facile. Vero, alla fine il bene trionfa sempre, ma chi ha tempo di aspettare? Certi risul­tati vanno portati a casa subito, che si tratti di fare uno scatto di carriera o di strappare un cliente alla concor­renza, il primo che arriva prende tutto. E in questo i cat­tivi sono davvero più bravi. L’esperienza insegna: quan­te volte abbiamo perso un buon affare perché l’altro gio­cava sporco? E non sono sempre i più furbi che ci ruba­no il posto? Viva la cattiveria dunque. Quella che serve a darci una spintarella al momento giusto, senza però in­frangere la legge. Il nuovo cattivo non commette reati, semplicemente sposta i confini dell’etica un poco più in la, è coraggioso e sa osare più del classico bravo impie­gato ossequioso ma senza grinta. Insomma, addio buo­nismo: in un mercato sempre più agguerrito e con le se­die che traballano, meglio stare dal lato oscuro del­la forza. Almeno nel breve periodo. «Come nel classico dilemma del prigioniero», spiega a Business People Francesco Rotondi, dello studio LabLaw, che per noi ha accettato di fare l’avvocato del diavolo, «chi gioca spor­co vince sempre, almeno al­l’inizio». E la partenza mol­to spesso è quella che con­ta. Abbasso l’impiegato To­polino, tutto d’un pezzo ma incapace di uscire dal perso­naggio, viva Gambadilegno, spregiudicato ma flessibile, al punto da trasformarsi in salvatore per dare soccorso al topastro. Addio Gino Solitomino, impiegato medio che conduce una vita monotona, benvenuto Cattivik l’intra­prendente, che lo malmena appena può. Che noia Bip Bip, meglio Willy Coyote e tutti quegli imprenditori ita­liani che non mollano mai, sanno accettare la sconfitta e rialzarsi ogni volta. LEZIONI DI MANAGEMENT DA WILLY COYOTE«Se l’obiettivo è fare carriera», conferma lo psicologo del lavoro e delle organizzazioni Stefano Verza, «vale sem­pre la vecchia regola: manager mangia manager. Acca­de ovunque, in sala riunioni o in mensa. Ma si può esse­re cattivi anche con una e-mail. Ci sono tanti metodi per fare lo sgambetto all’avversario e purtroppo è dimostra­to che la cosa spesso paga». Come farebbe carriera Dia­bolik? «Di esempi ne esistono tanti. C’è chi rivela infor­mazioni riservate o diffonde ad arte pettegolezzi maliziosi per danneggiare il collega, oppure temporeggia quando si tratta di passargli documenti e informazioni fondamenta­li per una riunione o un incontro col capo». E si arriva fino alle strategie malvagie più sofisticate e complesse. «Una di queste è la creazione di un nuovo ruolo in azienda, intermedio tra due livelli gerarchici esistenti, con un nome altisonante ma privo di potere. Poi si cerca di sponsorizzare il rivale come miglior candidato, mentre noi puntiamo al gradino più in alto». Diabolico, appunto. Roba che solo Lex Luthor potrebbe concepire. CATTIVI MAESTRI DAI FUMETTIMa davvero è una strategia vincente? «Forse nell’imme­diato il cattivo ha la meglio», commenta Massimiliano Cardani, neo presidente italiano dell’International Coa­ch Federation, «ma è il buono che decide il futuro. Come dire: in un mare di squali, il vero leader non è quello più feroce ma il marinaio che sta fuori dall’acqua e dalla sua posizione privilegiata sa leggere e dominare la situazione meglio di tutti gli altri». Fatto sta che nella lotta di tutti i giorni va bene anche vincere una sola battaglia, che im­porta della guerra? Prendiamo un colloquio: spesso i buo­ni annoiano mentre gli spregiudicati colpiscono nel se­gno. Emergono e si fanno notare. «In ufficio è più effica­ce la simpatia del burbero rispetto alla noia del buono a tutti i costi. Per questo io difendo il dirigente Gambadi­legno nella causa contro il manager Topolino. In verità eroe e antagonista», continua Rotondi nella sua ironica arringa, «sono due diversi aspetti della stessa personalità. Fallisce il manager che sta tutto da una parte, vince chi impara a giocare entrambi i ruoli, del buono e del catti­vo, con lucidità e intelligenza». Il cattivo piace, insom­ma. Sarà perché ha quella buona dose di complessità alla Joker o alla Diabolik, che ne fanno un professionista più umano, lontano anni luce dalla retorica del supermanger imbattibile ma imbalsamato. «Gli imprenditori italiani sono gente comune», ci riporta coi piedi per terra Pao­lo Iacci, presidente di Bcc Credito Consumo e vicepre­sidente nazionale dell’associazione italiana direttori del personale (Aidp), «con tanto coraggio e vero spirito im­prenditoriale. Del supereroe non hanno nulla. Chi non è del mestiere si aspetta che sappiano fare come Eta Beta e tirare fuori dal nulla chissà quali prodotti, idee innova­tive o risposte giuste. Se ce la fanno non è certo grazie ai poteri speciali». Come dire: abbasso i supereroi perché non ci crede più nessuno, viva gli umanissimi – e danna­tamente bravi – imprenditori agguerriti. Gulp!

QUELLA VOLTA CHE MI SONO COMPORTATO MALE…Stefano Giorgetti, ad di Kelly Services

«Fin da piccoli facciamo il tifo per l’eroe, quello che fa sempre la scelta giusta e alla fine ha la meglio sui cattivi. Ma nel mondo lavorativo ci sono situazioni che non sempre possiamo risolvere da eroi buoni. Una volta mi resi conto che il comportamento di un dipendente continuava a essere scorretto, nonostante i miei richiami e le frequenti discussioni. Frustrato dalla situazione, ho fatto il contrario di come si sarebbe comportato l’eroe imbattibile, o meglio il manager infallibile: ne ho parlato ai suoi colleghi. Una scelta dettata inizialmente da una debolezza del tutto umana che poi, per fortuna, si è rivelata la carta vincente. Loro infatti hanno risolto il problema. La persona in questione si è aperta, palesando una difficile situazione personale. Confidandosi e parlando dei propri problemi esterni all’azienda, il dipendente è riuscito a sviluppare un atteggiamento più autocritico, a rivalutare il proprio comportamento e a rilanciare la propria figura professionale».