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La Silicon Valley attira (troppi) investitori sauditi. E i rischi salgono

L’Arabia Saudita ha modi e interessi che non piacciano agli americani. Anche la presenza cinese desta preoccupazioni

Era e resta americana, ma solo di nome (e di localizzazione). Di fatto, la Silicon Valley si sta trasformando in una sorta di avamposto arabo. A rivelarlo è uno studio della testata online Vox, secondo cui la culla della tecnologia per eccellenza sta richiamando un numero crescente di capitali stranieri, in particolare da parte dell’Arabia Saudita. Basti pensare che i sauditi hanno versato ben 45 miliardi di dollari in un fondo della SoftBank, una delle banche d’affari più grandi al mondo che, a sua volta, ha fatto diversi investimenti in Usa, per esempio in Slack, compagnia tech legata ai giochi online, e in GM Cruise, che lavora nel campo delle auto del futuro senza guidatore. Ma non è finita qui. Gli arabi hanno puntato anche nelle start-up della mobilità urbana Lyft, Uber e Magic Leap. Complessivamente, secondo Quid, una piattaforma di analisi finanziarie, hanno dirottato ben 6,2 miliardi di dollari in America. Ma gli Stati Uniti non sembrano essere troppo contenti di questo interesse crescente da parte di Riad, che ha modi e interessi spesso decisamente “aggressivi”.

Anche la presenza sempre più invasiva della Cina nella Silicon Valley inizia a preoccupare gli americani, tanto che le stesse start-up stanno mettendo in atto strategie per evitare l’accerchiamento. Per esempio, Grindr, app per gli appuntamenti online riservata ai gay, ha chiesto l’uscita della proprietà cinese per timore che il governo di Pechino possa usare i dati personali per ricattare gli utenti.

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