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Business

Microworkers, le mille facce della rete

Ottimizzare i costi e valorizzare le professionalità grazie alla rete, estrema flessibilità del lavoro e web: un mix esplosivo che negli usa ha generato questo fenomeno, mentre in Italia a puntare sul sistema è il mercato della creatività

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La portata rivoluzionaria della rete non si pone più limiti e non risparmia neanche il mercato del lavoro, con effetti sul medio e lungo periodo ancora tutti da decifrare.Molte startup della new economy hanno intuito all’inizio del 2000 come il web potesse rappresentare per le aziende uno strumento utile per affidare all’esterno alcune delle proprie attività di business sfruttando le potenzialità di condivisione che la rete offre.Con il crowdsourcing, l’esternalizzazione del lavoro al di fuori dell’impresa tramite la rete, le aziende sono oggi in grado di chiedere e pagare contributi professionali a utenti sparsi in tutto il mondo.Il crowdsourcing permette innanzitutto di risparmiare i costi, primo vantaggio non trascurabile, ma offre ad un manager anche la possibilità di avere a disposizione sullo schermo del proprio computer idee, soluzioni e proposte provenienti da tutte le parti del globo, una ricchezza di servizi che nessun altro strumento è in grado oggi di offrire.In Italia il crowdsourcing si è materializzato negli ultimi anni in realtà come Zooppa, BtootB e Shicom, operative in comparti quali la pubblicità, la grafica, il design, con un target di utenti dunque di profilo medio-alto. Negli Stati Uniti invece il mercato del crowdsourcing è stato fin da subito più variegato e ha dato vita, tra l’altro, al fenomeno del microworking. Il “microlavoro” (chiamato anche “nuvola umana”) dalle nostre parti inizia solo ora timidamente ad affacciarsi.Sfruttando il crowdsourcing, portali specializzati permettono alle aziende di affidare ai cosiddetti microworkers lavori di breve durata a costi fortemente concorrenziali. Ad aprire le danze e intuire per primo le potenzialità di questo sistema, è stato agli inizi del 2000 LiveOps, il provider di lavoratori per call center che opera a Santa Clara, in California. Chi opera tramite LiveOps non presta la propria opera a giornata, ma ad ora, su richiesta, ed è pagato solo per il tempo che passa al telefono con i clienti.Nel 2005 Amazon ha creato Mechanical Turk. Il portale www.mturk.com mette in contatto quegli utenti che hanno bisogno di commissionare alcuni lavori semplici, come la correzione di pagine web, la trascrizione di registrazioni audio, opere di catalogazione e classificazione, con altri utenti che hanno il tempo e la voglia di eseguirli e per questo ricevono un compenso.Tongal è, come la definisce il suo inventore, James DeJulio, «una piattaforma di video creati da più persone». La società californiana (poco meno di mille utenti in Italia, dopo statunitensi, canadesi, britannici, indiani e messicani) organizza dei contest on line dove mette in palio le diverse fasi di lavorazione di un video. «Il processo di creazione di un’opera è suddiviso in tante piccole parti, in modo da offrire a ciascuno la possibilità di contribuire alla sua realizzazione» spiega DeJulio, presidente della società californiana. «Chi propone un’idea, chi una tag line, chi gira un film o uno spot, chi crea le animazioni, chi si occupa del graphic designs, chi è specializzato in promozione e distribuzione: tutti possono partecipare alla creazione e al successo di un video».Il mercato del crowdsourcing vive oggi negli Stati Uniti una fase di forte espansione. Elance, realtà statunitense che chiama a raccolta professionisti di diversa estrazione, dai grafici agli interpreti, dai consulenti ai copywriter, guidata da Fabio Rosati (il ceo è uno dei pochi imprenditori e manager di origini italiane al timone di una delle aziende più promettenti della Silicon Valley) ha visto transitare lo scorso anno grazie alla sua opera di intermediazione 100 milioni di dollari di lavoro. Freelancer.com è un altro dei protagonisti indiscussi del settore con la sua community di quasi 2,5 milioni di utenti registrati (di cui più di 10 mila italiani). Se il crowdsourcing spesso riguarda lavori di basso profilo, permette anche e sempre più di valorizzare professionalità di maggior spessore. UTest è una community di progettisti di software e betatesters, una realtà specializzata nei test QA (Quality Assurance), con 33 mila professionisti operativi in 172 diversi Paesi. Nel 2009 Microsoft si affidò a uTest perché aveva bisogno di 100 programmatori e sviluppatori per individuare i virus che minacciavano la sicurezza del suo software in vista del lancio sul mercato internazionale. InnoCentive.com mette in contatto ricercatori, professori ed esperti, i cosiddetti “cervelloni”, con le grandi multinazionali a caccia di risposte preziose per i propri affari. La ricompensa in questo caso può raggiungere addirittura il milione di dollari.Un’esperienza che nel nostro mercato si muove nella direzione del microworking è JobSlot. Operativa dallo scorso febbraio grazie al sostegno dell’incubator H-Farm, JobSlot è un’applicazione di Facebook che non vuole essere altro se non l’incontro tra coloro che cercano e offrono servizi (Job) in un determinato lasso di tempo (Slot), come un imbianchino, un operaio in grado di occuparsi della manutenzione della casa, una babysitter, un dogsitter o uno studente universitario che vuol dare ripetizioni. «Non siamo un’agenzia di lavoro», precisa l’amministratore delegato Davide Andreoni, «JobSlot è semmai un sistema che grazie alla rete facilita l’incontro tra domanda e offerta. L’idea nasce da una specifica esigenza: individuare un modo efficace per far incontrare coloro che cercano un servizio con coloro che possono offrire competenze mirate e, quindi, tempo a disposizione». Nel giro di pochi mesi dovrebbe partire la versione in inglese dell’applicazione, con l’obiettivo di penetrare nei mercati anglofoni. «Siamo partiti subito con dati incoraggianti», commenta Andreoni, «gli utenti sono già 5 mila e il nostro obiettivo, nel giro di un anno e considerando solo il mercato italiano, è raggiungere i 35-40 mila utenti e tra i 5 e i 6 mila “contratti” stipulati».

In Italia il crowdsourcing ha fatto breccia sopratutto nel mercato della creatività, sia essa pubblicità, grafica o design. I portali specializzati nati in Italia, ciascuno con una storia e un posizionamento distintivo, hanno in comune la proiezione verso una dimensione internazionale e un rapporto con le rispettive community molto forte. Chi vince i contest banditi da questi portali ottiene un riconoscimento economico per il progetto realizzato, sul quale perde però i diritti intellettuali.Nata nel marzo del 2007 come piattaforma di video pubblicitari, con il lancio di un contest per il brand (inventato) di biancheria intima Osè, Zooppa è oggi una realtà internazionale con una community di oltre 100 mila utenti, chiamati a realizzare non solo campagne pubblicitarie, ma anche altri contenuti creativi, come packaging, loghi, grafica e banner. L’utenza di Zooppa, al 35% italiana, sta assumendo una dimensione sempre più globale, dall’Europa agli Stati Uniti, sino al Brasile. Ad oggi sono tre le localizzazioni del sito (italiana, inglese e brasiliana). «I plus che Zooppa offre alle aziende sono parecchi», spiega Silvia Mion, sales & marketing manager Zooppa Europa. «Il portale propone innanzitutto contenuti di qualità, garantiti da una community internazionale di professionisti, grafici, videomaker, studenti e appassionati di creatività. Con Zooppa le imprese possono poi sfruttare al meglio le potenzialità della comunicazione virale, utilizzando i contenuti prodotti dagli utenti all’interno di piani di social media marketing. Molte aziende ci contattano inoltre perché vogliono testare il percepito del proprio marchio all’interno della nostra community, scelta per il suo profilo e la sua affidabilità». Per un costo che può variare dai 20 mila ai 40 mila euro, comprensivo del premio al vincitore, un’azienda può contare sul supporto di Zooppa a partire dalla definizione del brief sino alla gestione del contest. «Le aziende apprezzano il sistema che proponiamo loro», dice Silvia Mon, «e tornano spesso a lavorare da noi. Prima era Zoppa a contattare i clienti, ora sono le imprese a cercarci».Il portale www.BootB.com, acronimo di “Brands out of the Box”, ha conquistato la fiducia di oltre 30 mila creativi di 159 differenti paesi. Dipendenti di agenzie, free lance, agenzie di piccole e medie dimensioni, studenti, amanti della creatività: questo è il panel dell’utenza di BootB, composta da italiani in primis, ma anche da statunitensi, sudamericani e spagnoli. Il progetto italiano, nato su iniziativa del ceo Pier Ludovico Bancale e di diversi partner finanziari, tra cui Francesco Trapani, Matteo Marzotto e Mauro Guzzini, ha oggi il suo headquarter a San Francisco e sedi a Denver e Milano. «BootB è il marketplace della creatività globale», commenta Bancale. «Qualunque azienda, agenzia o persona fisica può inserire il proprio brief on line, traducendolo fino a 14 lingue, per l’ideazione di una campagna pubblicitaria, la creazione di un logo aziendale, un packaging o il titolo di un film. Con BootB un’azienda riceve in media 207 proposte per un brief».Graphic design, product design e sviluppo della creatività in ambito digital sono i tre principali servizi che Shicon Europe offre al mercato. «Shicon», spiega Enrico Aprico, co-founder e chairman, affiancato nel management dal ceo Michele Simonato, «è una piattaforma di crowdsourcing creativo di riferimento per i designer di tutto il mondo. La nostra sede principale è in Italia, ma presidiamo con nostri uffici anche Gran Bretagna, Stati Uniti, India e presto saremo in Brasile. Crediamo nel talento dei giovani e per valorizzarlo vogliamo offrire loro opportunità trasparenti affinché possano misurarsi con il mercato secondo una logica meritocratica». Attraverso Shicon le aziende hanno a disposizione, per trovare soluzioni grafiche e di design, una community internazionale di più di 5 mila utenti, dove gli italiani sono ancora predominanti (il 35% dell’utenza), ma dove hanno grande visibilità il mondo ispanico (America Latina e Spagna) e quello asiatico (coreani, giapponese e russi). «Shicon», spiega Aprico, «consente da un lato ai giovani creativi di lavorare per brand importanti e dall’altro a questi marchi di accedere ad una creatività internazionale di cui difficilmente potrebbero beneficiare, in tempi oltretutto rapidi».

Microworkers, fenomeno a stelle strisce? Per ora…

Sono lavoratori assoldati attraverso internet per progetti di breve o brevissimo termine e ricevono compensi che variano da un paio di biglietti verdi a centinaia di dollari all’ora. Propongono idee pubblicitarie, scrivono blog per promuovere un prodotto, testano software, rispondono ai reclami, votano per i video su YouTube, riempiono moduli online, preparano i provini per gli spot, ecc. Le aziende statunitensi grazie alla loro manodopera riescono a completare i loro piani operativi, risparmiando sui costi e senza gonfiare gli organici, abbattendo barriere geografiche in favore della delocalizzazione.