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Cosa dicono (e dove sparlano) i vostri clienti

Le calunnie on line (spesso postate ad arte dalla concorrenza) si diffondono come un virus, alla velocità della luce. Come metterle a tacere? Regola prima: intervenire istantaneamente. La seconda? Guai a improvvisare… I pareri di Luigi Norsa, Gabriele Bertipaglia, Valeria Severini e Giuliana Paoletti

Per difendere la propria reputazione on line, oggi è meglio Facebook del sito aziendale. Perché è li che vanno i clienti. La pagina Facebook di Starbucks, per esempio, ha 20 milioni di visitatori unici contro i 2 milioni del sito ufficiale. Ancora più evidente il caso Coca-Cola: 22 milioni di visite sulla pagina Coke del social network e solo 270 mila su coca-cola.com. Il rapporto è di 80 a uno. E la stessa cosa succede a 40 delle 100 più grandi aziende al mondo nella classifica di Fortune, secondo una ricerca realizzata da Adgregate Markets insieme a Webtrends. Idem da noi: che si tratti di pannolini o birra, abbigliamento intimo o assicurazioni, le discussioni degli italiani avvengono su forum e social network. Insomma, le aziende non hanno più il controllo totale della comunicazione on line. Un esempio? Prima di Internet, tutti gli uomini di marketing conoscevano la regola del passaparola: un cliente insoddisfatto parlerà male del nostro prodotto a dieci persone. Magari fosse ancora così. Oggi è tutto amplificato: un cliente insoddisfatto, se scrive la sua lamentela su Internet, può far sentire la sua voce ai quattro angoli della terra. Si calcola che in rete, per qualsiasi prodotto, ci siano tanti pareri scritti dai clienti quanti slogan pubblicitari: un messaggio su due non è affatto gestito dalla comunicazione aziendale. «È nei forum che si sviluppano i maggiori scambi di informazioni: sono il luogo più rilevante per la formazione delle opinioni dei consumatori e da qui deve partire ogni altra strategia di comunicazione», dice Valeria Severini, ceo di Freedata Labs, che ha realizzato lo studio analizzando la brand reputation di 250 aziende di marca che operano nei mercati fashion, cosmesi, detergenti, food & beverage, infanzia, telefonia, automotive e assicurazioni. Il vero problema, però, non è la lamentela (giustificata) di un cliente, ma la calunnia scritta ad arte e messa in circolazione, spesso ad opera dei concorrenti. Che fare in questi casi? Come si mettono a tacere le voci false e tendenziose che hanno il solo scopo di gettare discredito su una particolare azienda? Vediamo un caso realmente accaduto. M** è una Pmi lombarda che a un certo punto viene fatta oggetto di una campagna di calunnie mirate. Fra fornitori, banche e clienti gira insistente la voce di un imminente fallimento, nonostante fatturato e ordini siano in crescita. Arrivano le prime disdette da parte degli acquirenti e la forza vendita non sa come reagire. È a questo punto che entrano in gioco gli esperti anti-calunnia. «Cosa abbiamo fatto? Esiste un metodo di analisi per identificare l’origine delle false notizie», ci racconta Gabriele Bertipaglia, partner e responsabile della divisione reputation e crisis management dell’agenzia di relazioni pubbliche e istituzionali Sec, «e grazie a quello siamo risaliti alla fonte della diffamazione. Era un concorrente. Siamo arrivati a lui ricostruendo a ritroso la genesi delle calunnie, una tecnica particolare ma efficacissima. I diffamatori erano due soci di una impresa concorrente». Il primo passo da fare, per qualsiasi azienda, è monitorare il web alla ricerca di possibili fughe di notizie false. Ci sono strumenti che lo fanno automaticamente, ma l’intervento dell’uomo resta cruciale. «Abbiamo inserito oltre 1200 siti nel nostro sistema di monitoraggio dell’on line», spiega a Business People Giuliana Paoletti, fondatrice e ad di Image Building, «e ogni giorno il nostro Johnny, così si chiama lo spider di ricerca, ci tiene informati su tutto quello che viene scritto a proposito dei nostri clienti. Una volta ottenute queste informazioni una squadra di professionisti le analizza e giudica. Un lavoro importantissimo», sottolinea Paoletti, «soprattutto sui Blog, per scoprire cosa viene pubblicato di vero o di falso». Individuata la bufala, ci si attiva, immediatamente. Perché la calunnia on line si diffonde come un virus, alla velocità della luce. Intervenire subito diventa quindi essenziale: ogni ora che passa, ogni minuto in più, sarà sempre più difficile arginare le offese. «Se esce su Facebook o Twitter qualcosa di oltraggioso per la vostra azienda, le normali procedure potrebbero non servire: sprecare anche un solo giorno di troppo per sentire i legali o concordare una strategica con il marketing potrebbe essere fatale», racconta Luigi Norsa, uno dei massimi esperti italiani di crisis management. «Bisogna agire, e subito. Come? Guai a improvvisare: ogni società dovrebbe avere una procedura e un protocollo operativo già pronti, da usare in casi come questi». A meno che la soluzione sia quella di ignorare gli attacchi e non rispondere. È la scelta migliore quando si tratta di accuse infondate e francamente insostenibili. «Se General Electric avesse messo in moto la macchina legale per contrastare le voci di legami fra il suo logo e le sette sataniche», spiega Norsa, «avrebbe solo amplificato la cosa e ottenuto l’effetto opposto. Invece hanno taciuto e la malignità si è sgonfiata da sola». Infine, una accortezza valida sempre: se si decide di rispondere, meglio farlo dove si ha il pieno controllo della comunicazione, sito e blog corporate, account aziendale di Facebook o Google+. Mai controbattere sulla pagina di chi ci sta attaccando: servirebbe solo a dare più visibilità all’offesa. Insomma, attenzione a non fare il gioco del nemico.

Reputazione online – con Google si controlla

DI COSA CI SI LAMENTA? AUTOMOBILI E RISTORANTI

Quando un cliente è deluso dal prodotto appena comprato, la prima cosa che fa è andare su Google e digitare la sua protesta, in cerca di un posto dove lasciar traccia del reclamo e magari condividere con altri lo stesso problema. L’agenzia americana Web Liquid ha analizzato il fenomeno e fatto la classifica: al primo posto delle lamentele ci sono automobili e ristoranti. Toyota è in testa, seguita da Nokia, Ford e McDonald’s. Poi Honda, Pizza Hut, Mercedes Benz e Burger King. Insomma, fra le top 10, tre sono ristoranti e quattro sono case automobilistiche. Ma non tutto è perduto. Anzi. Toyota e gli altri hanno scoperto come trarre vantaggio anche da questo record negativo. Come? Con l’advertising. Nelle pagine di Google con i risultati legati alla ricerca di una lamentela su un prodotto, infatti, si trovano spesso le pubblicità dei prodotti concorrenti. Ma non solo. Anche l’azienda nell’occhio del ciclone, colpita dalla calunnia o oggetto degli attacchi dei consumatori, può comprare spazi pubblicitari a pagamento per ribattere e dire la sua.

QUANDO NON RISPONDERE ALLE CALUNNIE

Le calunnie contro la Coca-Cola, amplificate dalla stessa azienda, sono un esempio di cosa non fare quando si è sotto l’attacco delle malelingue. Digitate “Middle East rumours” su Google: i primi tre risultati rimandano al sito corporate della Coca-Cola. Per anni il gigante delle bibite ha combattuto contro voci secondo cui il suo logo letto al contrario, nella versione araba, significasse “No Maometto, no Mecca”. Palesemente falso. Come il fatto che la compagnia americana sia di proprietà degli Ebrei e sostenga la causa israeliana. Eppure più la Coca-Cola risponde alle illazioni e più queste si propagano. Sarebbe stato meglio tacere, fin dall’inizio. Molti potrebbero imparare da questo errore.