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Scoppia il caso Offshore Leaks, scandalo fiscale mondiale

Il Consorzio internazionale di giornalisti investigativi (Icij) ha raccolto una mole di documenti 160 volte superiore al caso WikiLeaks: oltre 120 mila società di comodo create in paradisi fiscali per evadere il fisco e gestire affari (leciti o illeciti) in 170 Paesi nel mondo. Sarebbero 200 gli italiani coinvolti

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Se lo si paragonasse al caso WikiLeaks, quello di Julian Assange sarebbe una piccola fuga di notizie: Quella appena annunciata dal Consorzio internazionale di giornalisti investigativi (Icij) è 160 volte più grande per mole di documenti raccolti: si chiama Offshore Leaks e riguarda circa 2,5 milioni di documenti (che abbracciano un arco di 30 anni) e nella quale figurerebbero 122 mila società di comodo create in paradisi fiscali (British Virgin Islands, mar delle Antille, Coook Islands), 130 mila persone e più di 170 Paesi in cui sono stati effettuati affari. Si tratterebbe di un sistema di migliaia di transazioni finanziarie, da legali a illegali, a volte utilizzate per far girare tangenti.

IL RUOLO DELLA BANCHE. Secondo le ricostruzioni di Icij alcune tra le principali banche del mondo, come la tedesca Deutsche Bank e le svizzere Ubs e Credit Suisse attraverso la sua controllata Clariden avrebbero lavorato per fornire ai propri clienti società di comodo e conti correnti in paradisi fiscali; si parla di cifre comprese tra i 21 e i 32 miliardi di dollari custoditi dove le leggi sul fisco e il segreto bancario favoriscono l’anonimato di molti contribuenti. Il sistema, riassume l’Ansa, è stato realizzato attraverso i più disparati meccanismi nei diversi Paesi coinvolti, dall’utilizzo di prestanome allo ‘schema Ponzi’, una sorta di struttura piramidale che, grazie alla promessa di facili guadagni e l’ingresso di continui investitori, permette alle menti del sistema di lucrare grosse somme. Altri meccanismi a scopo di evadere o, nel migliore dei casi, eludere il fisco è incentrato però sulle stesse banche, che in alcuni casi assicuravano ai propri clienti società ‘scudate’ rispetto alle richieste dell’Erario grazie appunto alla residenza delle società in Paesi dove è garantito il segreto bancario, come appunto le britanniche isole Vergini. Clariden, braccio operativo di Credit Suisse, consentiva ad esempio alti livelli di segretezza per alcuni clienti, così tanto che, come si legge nel sito dell’Icij, la stessa polizia e i diversi regolatori nazionali si trovavano sempre di fronte a un muro e non riuscivano a risalire ai reali possessori dei beni. Alcuni istituti coinvolti si rifiutano di commentare lo scandalo trincerandosi appunto dietro la segretezza dei conti. I PRIMI NOMI DEGLI ITALIANI COINVOLTI

TRUSTNET. Ubs assicura di avere applicato alti standard internazionali previsti per la lotta al riciclaggio e al crimine e che il ricorso e i contatti con TrustNet, una delle strutture coinvolte, è solo uno degli 800 servizi messi a disposizione della clientela per predisporre i piani sanitari e di assicurazione. TrustNet si descrive come un ‘One-stop-shop‘, fa sapere Icij: il suo staff include avvocati ed esperti fiscali in grado di gestire i pacchetti dei loro clienti, così come creare società nei paradisi fiscali o strutture sofisticate che lavorano attraverso Trust, società, fondazioni e prodotti assicurativi. Quando creavano queste società per i clienti, le società di servizio Offshore offrivano però anche falsi direttori e azionisti, si rileva dall’inchiesta, questo serviva appunto per nascondere i reali proprietari e azionisti delle società. In tutto sono una ventina le banche svizzere finite nell’inchiesta, secondo il quotidiano svizzero Le Matin, media partner di Icij, solo Ubs “ha creato almeno 2.900 società di comodo”, mentre Credit Suisse “almeno 700”.

Credits Images:

L'apertura di icij.org , che riporta del caso Offshore Leaks