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Occhio a Basilea 3

Le nuove regole per il sistema finanziario internazionale, a pieno regime entro il 2019, prevedono più rigore. Ma le Pmi italiane rischiano di soffrirne già a partire dall’anno prossimo. Una soluzione? Parlano Maria Pia Camusi e Raffaello Vignali

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A suonare un campanello di allarme è stato persino Giuseppe Mussari, n.1 del Monte dei Paschi di Siena e attuale presidente dell’Abi, l’Associazione bancaria italiana: «In futuro, molte piccole e medie aziende del nostro paese potrebbero incontrare difficoltà nell’accesso al credito», ha detto in sostanza Mussari nelle scorse settimane, parlando dei grandi cambiamenti che si profilano all’orizzonte nel sistema bancario delle più importanti nazioni industrializzate. Si tratta, per chi ancora non lo sapesse, dei cambiamenti portati in dote dall’entrata in vigore di Basilea 3, nuovo accordo internazionale sui requisiti patrimoniali degli istituti di credito, con effetti a partire dal biennio 2012-2013, in maniera graduale e progressiva fino al 2019, quando sarà operativo. Molti esponenti della comunità finanziaria lo considerano la “giusta medicina” (benché un po’ amara da mandar giù), per ridare vigore a un sistema creditizio che presenta ancora troppe zone d’ombra. Ma, per molte imprese del made in Italy, soprattutto quelle di piccole e medie dimensioni, Basilea 3 potrebbe trasformarsi invece in una pesante zavorra che impedisce loro di indebitarsi per investire e crescere o, più semplicemente, per sopravvivere alle avversità del mercato. È un rischio concreto che non soltanto gli istituti di credito italiani, per bocca del loro più autorevole rappresentante, si sono premurati di evidenziare. Da qualche mese, nel mondo imprenditoriale, l’appello per rendere più elastici e meno stringenti i nuovi parametri di Basilea 3 è stato infatti unanime. Vincenzo Boccia, presidente della Piccola Industria di Confindustria, ad esempio, non ha usato mezzi termini: «Guai, se si dovesse verificare una restrizione del credito alle imprese», ha detto Boccia, temendo di veder sparire, in un anno, i segnali di ripresa economica che oggi stanno facendo timidamente capolino in Italia. Sulla stessa lunghezza d’onda si è mossa anche la presidente degli industriali Emma Marcegaglia che, già dal dicembre scorso, ha più volte evidenziato il rischio di un credit crunch per le Pmi. Le sue parole hanno trovato una vasta eco anche in R.ETE. Imprese Italia, l’organizzazione nata nel 2010 per iniziativa di alcune importanti sigle rappresentative delle piccole e medie aziende della Penisola che hanno più volte chiesto una modifica dei parametri di Basilea, per calibrarli in base alle peculiarità delle struttura produttiva del nostro paese. Tutte queste preoccupazioni sono legate alle misure che le banche stanno adottando per adeguarsi ai precetti del nuovo accordo sui requisiti patrimoniali. Infatti, per evitare che si verifichi un altro collasso del sistema finanziario, come accadde nel 2007-2009, Basilea 3 impone alle banche di mantenere una quota elevata di capitale disponibile, in proporzione al portafoglio-prestiti iscritto a bilancio. Dunque, se un istituto di credito risulta sottopatrimonializzato, dovrà aumentare la quantità di capitale disponibile o (e non è poco) dovrà migliorare il profilo di rischio delle linee di credito erogate. Detto in soldoni, molte banche potrebbero diventare sempre più restie nel dar credito ai clienti meno ricchi e più vulnerabili. A ogni impresa che riceve un prestito, infatti, viene assegnato dagli istituti finanziatori un rating, cioè una valutazione sul merito di credito, che misura la capacità di rimborsare i debiti entro una scadenza prestabilita. E così, poiché l’accordo di Basilea 3 impone agli intermediari finanziari di limitare la propria esposizione al rischio, nei prossimi anni le banche potrebbero essere spinte a concedere pochi prestiti alle imprese con un rating basso. In primis proprio le piccole e medie aziende. Per questo, anche nel mondo politico, c’è chi non nasconde una certa dose di preoccupazione. È il caso di Raffaello Vignali, deputato del Pdl e vice presidente della Commissione Attività Produttive della Camera che non usa mezze parole: «Non serve essere dei geni della finanza per comprendere quali saranno le conseguenze di Basilea 3». Secondo il deputato del Pdl, la restrizione del credito per le piccole aziende è addirittura già iniziata, poiché molti intermediari si stanno adeguando in anticipo ai nuovi requisiti patrimoniali che entreranno in vigore nel prossimo biennio. Non a caso, secondo le stime più accreditate (comprese quelle della Banca d’Italia), il nuovo accordo di Basilea potrebbe avere nei prossimi anni un impatto negativo sul Pil del nostro paese compreso tra lo 0,1 e lo 0,5%, proprio in seguito a una pesante stretta creditizia. E così, leggendo queste previsioni tutt’altro che rosee, la stessa Abi, assieme a Confindustria, R.ETE Imprese Italia e l’Alleanza delle cooperative hanno presentato un insieme di proposte congiunte a Michel Barnier, commissario europeo per il mercato interno e i servizi, con lo scopo di mitigare gli effetti di Basilea 3 sul nostro Paese. Le proposte elaborate dal fronte comune banche-aziende sono complesse ma, in sostanza, si possono riassumere così: quando un istituto di credito decide di finanziare una piccola impresa, dovrebbe essere sottoposto a dei vincoli patrimoniali meno stringenti rispetto a quelli previsti da Basilea 3. L’idea è di mantenere temporaneamente i parametri attualmente in vigore, contenuti in un precedente accordo internazionale (Basilea 2). «È un fatto molto positivo che le banche, le piccole, medie e grandi aziende e il mondo delle cooperative italiane abbiano deciso di presentarsi a Bruxelles con una voce comune per far presenti le necessità della nostra economia», commenta Maria Pia Camusi, direttore di R.ETE. Imprese Italia. Qualunque sia l’esito dell’iniziativa, secondo Camusi, una cosa è comunque certa: le nostre imprese devono prepararsi per tempo all’appuntamento con Basilea 3 e dotarsi di efficaci anticorpi per affrontare le prossime sfide sui mercati nazionali e internazionali. A questo proposito, grazie a un dialogo con il sistema creditizio, R.ETE. Imprese Italia ha definito delle piattaforme di intesa con le maggiori banche nazionali, anche con lo stanziamento di fondi per le piccole aziende: un accordo siglato con il gruppo IntesaSanpaolo, ad esempio, prevede un plafond di 5 miliardi di euro per affrontare il sostegno al capitale circolante e a breve termine, alla liquidità e alla ricapitalizzazione delle società.La somma stanziata da Unicredit si aggira invece attorno a un miliardo di euro ed è destinata a stimolare le Pmi nella fase di ripresa economica. Accordi analoghi sono stati siglati anche con il Gruppo Monte dei Paschi di Siena e con Federcasse, che rappresenta il sistema delle Banche di Credito Cooperativo (Bcc). Secondo Vignali però occorre anche uno sforzo significativo da parte degli imprenditori, che oggi sono chiamati a una sfida importante: cercare di migliorare, per quanto possibile, il rating assegnato loro dagli istituti di credito. La via maestra per riuscirci, a detta del deputato del Pdl, consiste nell’instaurare un dialogo proficuo con il proprio commercialista e con la propria banca. «Un bravo direttore di filiale può sempre dare consigli utilissi al titolare di un’azienda», dice Vignali, che sottolinea come, per qualsiasi imprenditore, un rapporto positivo con il sistema creditizio oggi abbia molto più valore di un piccolo sconto sui tassi d’ interesse. A questo proposito, secondo Camusi, le banche e le associazioni di categoria dovranno investire molto nelle attività di formazione, «in modo da diffondere tra gli operatori economici una cultura condivisa per ottimizzare le rispettive strutture finanziarie». Spesso, secondo Vignali il ricorso ai prestiti bancari da parte delle Pmi è infatti governato da logiche poco lungimiranti: troppe linee di credito, ad esempio, servono a sostenere le esigenze di liquidità dell’azienda nel breve termine e non per fare investimenti pluriennali che aumentano la dotazione patrimoniale dell’impresa (investimenti in impianti, macchinari, immobili). Senza dimenticare che nelle micro-imprese italiane il patrimonio della società si confonde spesso con quello familiare e personale del proprietario, rendendo assai intricato il sistema delle garanzie contro il rischio di insolvenza, che le stesse aziende possono o devono offrire ai loro interlocutori bancari. Secondo Vignali oggi c’è bisogno soprattutto di un cambio di cultura. Per migliorare il proprio rating, le Pmi devono imparare a gestire il credito in maniera più strutturata rispetto al passato. È un passaggio difficile, che i piccoli imprenditori non possono compiere da soli, ma solo con l’aiuto delle stesse banche.

Cosa cambia con Basilea 3

E L’ABI BUSSA ALLA PORTA DI BRUXELLES

Uno sconto per chi dà credito alle Pmi. È questa, in sintesi, la proposta avanzata a Bruxelles dalle banche italiane, attraverso la loro associazione di categoria Abi, assieme ai rappresentanti del mondo produttivo (Confindustria, R.ETE Imprese Italia e l’Alleanza delle Cooperative). Nello specifico, quando il destinatario finanziamento è un’azienda a dimensioni ridotte, la delegazione italiana ha chiesto di rendere più flessibili i parametri di Basilea 3, riducendo di circa il 24% l’incremento della riserva patrimoniale che le banche devono effettuare obbligatoriamente, come copertura del rischio. Si tratta di un correttivo che, secondo i promotori dell’iniziativa, non stravolgerebbe l’impianto dell’accordo di Basilea, mantenendo comunque fermo l’obiettivo di un Core Tier 1 minimo per tutti gli istituti di almeno il 6% entro i prossimi sette o otto anni. Va ricordato che, secondo gli standard dell’Unione Europea, la definizione di Pmi rientrano tutte le imprese con meno di 250 dipendenti o con un fatturato inferiore a 50 milioni di euro.