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Per molti ma non per tutti

La Russia è un mercato vicino e lontano, enorme, e in continua espansione. Ma chi in Italia crede che sia una terra di conquista si sbaglia di grosso. Ci sono regole e resistenze, e soprattutto grande richiesta di investimenti, oltre che di prodotti finiti e semplice delocalizzazione. Le opportunità da cogliere nella terra degli zar

Dalle alture attorno a Sochi, sulle sponde del Mar Nero, non è difficile scorgere un enorme cantiere ormai in fase avanzata. È quello messo in piedi per costruire il villaggio e le strutture per gli atleti delle prossime Olimpiadi invernali del 2014: la prima grande manifestazione sportiva che si terrà nella Russia moderna, dopo la caduta del regime sovietico. A dire il vero, ancor prima dell’appuntamento di Sochi 2014, il governo di Mosca ha in programma un’altra kermesse: le Universiadi del 2013, che si svolgeranno a Kazan, capitale della repubblica del Tatarstan, un piccolo tassello della gigantesca Federazione russa, a circa 800 chilometri di distanza dalla capitale. Poi, nel 2018, sarà la volta dei Mondiali di calcio, che verranno ospitati in 11 città russe, nella splendida San Pietroburgo così come a Volgograd e Samara, sulle sponde del fiume Volga. Soltanto per questi eventi sportivi, il governo di Mosca spenderà una montagna di soldi (almeno tre miliardi di euro all’anno da qui al 2016-2017) e avrà i riflettori puntati addosso, per dare al mondo intero un segnale ben preciso: sullo scacchiere degli equilibri economici e geopolitici internazionali, per chi non se ne fosse ancora accorto, c’è da tempo una grande potenza con cui bisogna fare i conti. Si tratta appunto della Russia, che oggi è la nazione del G8 (il gruppo degli otto Paesi più industrializzati del pianeta) con il maggior tasso di crescita del Pil, superiore al 3,5% su base annua. Per questo, oltre che una potenza da temere, la Federazione russa rappresenta anche un’occasione da prendere al volo per le aziende di tutto l’Occidente, comprese quelle del made in Italy, che hanno una spiccata vocazione internazionale. Non a caso, durante l’ultimo forum Eurasiatico (la manifestazione che si è tenuta nell’ottobre scorso a Verona, per promuovere i rapporti commerciali tra il nostro Paese e Mosca), le maggiori personalità dell’economia e della politica nazionale hanno fatto a gara nel tessere le lodi della cooperazione Italia-Russia. «Con il mondo russo abbiamo molti progetti in comune, non soltanto nell’energia ma in diversi settori, dal manifatturiero ai servizi», ha detto per esempio il ministro per lo Sviluppo economico, Corrado Passera. «C’è la possibilità di costruire un grande spazio comune tra Italia e Russia, dove le merci, le persone e le idee possano circolare liberamente», ha aggiunto invece il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi. Già oggi, del resto, l’interscambio commerciale tra Roma e Mosca ha raggiunto livelli ragguardevoli (27 miliardi di euro all’anno) e cresce a un ritmo di circa il 20% ogni 12 mesi. Nell’ex-Unione Sovietica, com’è ovvio, il nostro Paese esporta i prodotti più pregiati del made in Italy: vestiti, cibi e bevande di qualità ma anche molte macchine industriali, un segmento di business in cui le aziende della Penisola hanno ormai raggiunto livelli di eccellenza nel mondo. Dalla Russia, invece, vengono importate soprattutto le materie prime, i metalli, i minerali, il gas e il carbone. E non potrebbe essere altrimenti, visto che la Federazione russa tiene da sempre in mano le chiavi del forziere mondiale delle commodity: dispone di quasi un terzo di tutte le riserve di gas del pianeta, del 18% dei giacimenti di petrolio, del 40% delle miniere di nickel e di circa un quinto di tutto carbone estraibile sulla sfera terrestre.

Materie prime in cambio dei “gioielli del made in Italy”: è questo, in sostanza il binomio perfetto che caratterizza l’interscambio italo-russo, che si rafforzerà probabilmente nei prossimi anni, dopo l’ingresso di Mosca nel Wto, l’organizzazione mondiale del commercio. Si tratta di un traguardo importante, raggiunto nel 2010 dopo un lungo ciclo di trattative, iniziate negli anni ‘90 del secolo scorso durante l’era di Boris Eltsin, il primo presidente della Russia post-comunista. L’ingresso nel Wto farà scendere di oltre due punti, dal 10 al 7,8%, i dazi doganali applicati da Mosca sui prodotti importati, con grande gioia di quelle aziende che si stanno ritagliando uno spazio significativo nel gigantesco mercato esistente al di qua e al di là degli Urali. Tuttavia, chi pensa che la Federazione russa sia soltanto un facile terreno di conquista in campo commerciale si sbaglia di grosso. «Oggi, per gli esportatori italiani, penetrare nel nostro Paese non è cosi facile com’era dieci o 20 anni fa», dice infatti Alexey Meshkov, ambasciatore russo a Roma, «perché molti prodotti della vostra industria sono già presenti da tempo sul nostro mercato, dove la competizione è diventata molto più intensa che in passato». Dunque, secondo l’ambasciatore, le imprese della Penisola devono seguire un approccio innovativo, rafforzare la cooperazione tecnologica con i partner russi, studiare migliori soluzioni logistiche e investire anche sul territorio, costruendo insediamenti produttivi all’interno della Federazione. Aggiunge Meshkov: gli investimenti esteri nel nostro Paese, tra il 2009 e il 2011, hanno raggiunto il 3% del Pil, un livello superiore alla media mondiale e più elevato persino di quello di altri grandi Paesi emergenti come la Cina o il Brasile». Bisogna andare in Russia, insomma, anche per fare investimenti e non solo per vendere le merci fabbricate altrove, cioè a Sud delle Alpi. È questo, in sintesi, il consiglio che l’ambasciatore Meshkov rivolge a tutte le aziende italiane e che trova concorde anche Antonio Fallico, presidente di Banca Intesa Russia e dell’Associazione Conoscere Eurasia. Fallico è uno dei nostri connazionali che forse conosce meglio l’ex-Unione Sovietica. Lavora e vive lì da quasi 40 anni e ha visto tutte le più importanti trasformazioni politiche del Paese: il crollo del sistema comunista, l’ascesa al potere di Eltsin, la transizione al libero mercato degli anni ‘90 e il nuovo ordine politico instaurato da Vladimir Putin. Proprio in ragione della sua esperienza, il presidente di Conoscere Eurasia sostiene che, da Mosca sin quasi alla Siberia, ci sia ancora un terreno abbastanza fertile per gli investimenti produttivi delle aziende del nostro Paese. Già oggi, a ben guardare, la presenza italiana nella Federazione è più che rispettabile. A parte i colossi energetici come Eni o Enel, ci sono infatti un centinaio di aziende della Penisola che hanno costruito da tempo degli insediamenti produttivi nella zona eurasiatica, dando lavoro a 12-15 mila persone. A Lipetsk, circa 400 chilometri a Sudovest da Mosca, c’è il gruppo marchigiano Merloni, che possiede degli stabilimenti produttivi per la costruzione di elettrodomestici con il marchio Ignis. A Stupino, a un centinaio di chilometri dalla capitale, c’è invece il gruppo Mapei del presidente di Confindustria Squinzi, con una fabbrica su cui ha investito 40 milioni di euro nel 2008, l’anno della crisi finanziaria globale. Nello stesso distretto industriale è sbarcato da tempo anche il gruppo emiliano Marazzi che anche in Russia, come in Italia, è leader nella produzione e nella vendita di piastrelle e ceramiche. Nonostante questa presenza ormai consolidata del made in Italy, secondo Fallico, le aziende del Belpaese hanno ancora molto spazio da ritagliarsi sul territorio ex-sovietico. L’apparato produttivo russo, infatti, sembra complementare a quello della Penisola, con una forte presenza di grandi imprese e con poche piccole e medie aziende, che costituiscono invece la spina dorsale dell’economia italiana. Inoltre, il sistema industriale e la rete di infrastrutture della Federazione russa stanno subendo un processo di forte rinnovamento e hanno un crescente bisogno di macchinari avanzati, che parecchie aziende del nostro Paese possono fornire. Senza dimenticare, poi, che il regime del socialismo reale, pur con tutti i suoi difetti, ha saputo creare nei decenni passati una forza-lavoro abbastanza qualificata e con un buon grado di istruzione tecnica. Infine, occorre sottolineare che in tutta la Federazione guidata da Vladimir Putin la pressione fiscale è bassa: l’imposta sui redditi societari, per esempio, è pari al 20% ma può scendere notevolmente (fino al 4-5%) in 15 zone speciali, cioè in alcune aree territoriali che godono di particolari incentivi pubblici per gli investimenti e l’innovazione.

L’appeal economico della Russia, insomma, è fuori discussione. «Tuttavia», dice Fallico, «gli imprenditori che arrivano qui dall’Italia non devono farlo con lo scopo di delocalizzare qualche produzione, come ha fatto chi è andato in Romania nei decenni scorsi, dove ha trovato abbondante manodopera a basso costo». Indubbiamente, il salario medio di un lavoratore russo è ancora basso in rapporto agli standard di vita del Belpaese: nel 2011 era di appena 531 euro al mese. Questo divario, però, a detta di Fallico è destinato a ridursi nei prossimi decenni man mano che la ricchezza pro-capite del Paese crescerà. Piuttosto, secondo il presidente di Banca Intesa Russia, uno dei fattori che rendono conveniente gli investimenti al di qua e aldilà degli Urali è la posizione strategica dell’ex-Unione Sovietica, a cavallo tra due mondi e due culture. Grazie all’unione doganale creata nel 2010 dalle autorità di Mosca con i Paesi circostanti, le società che lavorano in Russia possono infatti esportare i propri prodotti in Bielorussia o in Kazakistan senza pagare dazi e hanno comunque un vantaggio logistico e competitivo per raggiungere i Paesi dell’Asia centrale o l’Estremo Oriente, sino alla Cina. Mettere un piede in Russia, insomma, vuol dire crearsi una testa di ponte per conquistare poi altri mercati circostanti. Infine, c’è un altro biglietto da visita che Mosca può presentare oggi all’Occidente: la granitica stabilità del suo sistema istituzionale. Certo, la guida politica del presidente Putin non viene ben vista in Occidente ma, secondo Fallico, al momento non sembra avere alternative credibili. Indubbiamente, oggi la Russia è stata riportata all’ordine, dopo la lunga parentesi degli anni ‘90, in cui la legalità nel Paese aveva subito duri colpi. «Ricordo il periodo successivo al crollo del regime sovietico», conclude Fallico, «in cui c’era molta criminalità spicciola ed era considerato pericoloso circolare da soli per la strada, persino nel centro di Mosca». Ora, però, le cose sono tornate alla normalità, almeno sul fronte della sicurezza pubblica. E alla business community internazionale, si sa, interessa anche e soprattutto questo: stare in un ambiente ordinato e senza conflitti, per poter lavorare e fare affari in tranquillità.

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La Russia conta 143,4 milioni di abitanti su una superficie di 17,07 milioni di km².Nel 2012 il Pil è cresciuto del 3,5-3,6% (la crescita più alta tra i Paesi del G8)