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Italia, SOS crowdfunding: mancano gli investitori

Tante le start-up, pochi i fondi. Nonostante il nostro Paese sia stato il primo a regolamentarlo, questo nuovo strumento finanziario stenta a crescere, i perché e le soluzioni per affrontare il problema

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L’equity crowdfounding, la raccolta fondi per start up innovative, ha vita difficile in Italia: tante le attività imprenditoriali nate, pochi i fondi per finanziarle. Questa è la situazione a un anno dalla regolamentazione di questo nuovo strumento finanziario da parte di Consob. Le fonti di finanziamento, per queste giovani imprese, sono numerose nel Web, infatti, grazie alla cessione di quote del capitale, i risparmiatori possono contribuire attivamente diventando stakeholder e azionisti.

In Italia, però solo tre campagne di finanziamento avrebbero portato frutto, come riporta Repubblica.it, raccogliendo circa un milione di euro. Anche se è un risultato incoraggiante, tuttavia continua a mancare la materia prima dell’equity crowdfunding: le persone.

«È vero: manca ancora il popolo», afferma Leonardo Frigiolini, ad di Unicaseed, uno dei primi portali italiani di equity crowfounding autorizzato da Consob, e gestito da Unicasim, impresa di investimento genovese. La piattaforma è stata una delle prime ad aver ospitato una campagna di raccolta fondi digitale come quella della Diamantech, startup veneta di software per operatori finanziari, che ha raccolto circa 160 mila euro.

Alla raccolta hanno partecipato i clienti di Unicasim, abituati a investire e interessati al prodotto della startup veneta, «i 75 investitori hanno versato circa 1500 euro ciascuno, il 40% erano nostri clienti, il 60% è arrivato perché conosceva lo start upper» spiega Frigiolini al giornale web, e aggiunge «era logico che i primi a rispondere fossero dei professionisti. Ma la liquidità anche in Italia, è tanta».

È difficile richiamare i fondi dalle persone comuni, il crowd di risparmiatori, abituati a impegnare il denaro per “più sicuri” titoli di Stato, e scoraggiati dal fattore di rischio costituito dall’alto tasso di fallimento delle start up.

C’è però chi suggerirebbe di chiamare il crowdfunding, “finanziamento dalla collettività”, «“crowdinvesting” (lett. investimento dalla collettività ): esperti di finanza decidono di allargare il proprio portafoglio, mettendoci piccoli pezzi ad alto rischio» spiega Tommaso D’Onofrio, amministratore delegato della piattaforma Assiteca Crowd (broker indipendente assicurativo e mediatore finanziario) che di recente ha raccolto 520 mila euro di fondi per Paulownia Social Project, startup siciliana di silvicoltura.

Vi sono altri spunti per arginare il problema della scarsità di fondi per l’equity crowdfunding, ad esempio quello di Matteo Piras, fondatore di StarsUp (portale di professional crowdfunding), che suggerisce di sensibilizzare i risparmiatori italiani vincendo il problema culturale del nostro Paese, dove l’attitudine a investire è debole.

O l’idea di Tip Ventures, che offre modelli di crowdfunding sostenibili anche per le piattaforme: il gestore di portali di raccolte fondi digitali permette di lanciare sia campagne di reward based, che offrono un premio agli investitori e utili per implementare, in un secondo momento, quelle equity based. Infine anche grossi operatori approderanno alle piattaforme di crowdfunding,come Telecom che intende lanciarne una a breve.

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© Rocío Lara/Flickr