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Business

Imprese europee inefficienti: 60 miliardi persi ogni anno

Maglia nera al Regno Unito che registra una perdita di euro di 21,4 miliardi; l’Italia, che registra circa 8 miliardi in meno l’anno, potrebbe guadagnarne 31 in più

Sessanta miliardi di euro, una cifra enorme che può essere paragonata alla pesante manovra economica recentemente approvata dall’Italia per ridurre il debito pubblico e rilanciare lo sviluppo economico; una cifra che rappresenta il costo dell’inefficienza delle imprese europee. Ogni anno, infatti, l’inefficienza nella gestione aziendale causa una perdita nei ricavi delle aziende pari a 60 miliardi di euro; la maglia nera spetta al Regno Unito con una perdita di reddito di 21,4 miliardi di euro. Al secondo posto in questa particolare classifica si posiziona la Francia (13,6 miliardi di euro), seguita da Spagna (10,8) e Italia (7,8); meglio fanno le aziende tedesche perdita di reddito pari a 6,2 miliardi di euro. I dati emergono da i risultati dell’indagine Epson Business Efficiency Report che, basandosi su 500 interviste telefoniche a dirigenti senior in settori come banche, servizi finanziari, servizi professionali, vendita al dettaglio e servizi pubblici, ha analizzato l’efficienza delle aziende con più di mille dipendenti, nelle cinque potenze economiche di riferimento in Europa: Italia, Regno Unito, Spagna, Francia e Germania. In un periodo così difficile per l’economia mondiale lo studio condotto da Epson offre spunti di riflessione piuttosto interessanti: a un aumento in termini di efficienza del 5% da parte delle aziende corrisponderebbe un incremento dei ricavi del 4%; la crescita degli utili ammonterebbe a 300 miliardi di euro nel contesto europeo e a 31 miliardi in quello italiano. “Quando l’economia è incerta e il periodo difficile, come quello che stiamo vivendo, le aziende hanno solo due strade per incrementare i profitti: l’innovazione o l’efficienza”, spiega Massimo Pizzocri, ad di Epson Italia. “Alla luce di ciò – continua – spetta all’azienda decidere in quale area collocare il proprio vantaggio competitivo e quindi mettere in atto tutte le misure per perseguirlo.

I risultati principali della ricercaQuasi tutte le organizzazioni che hanno partecipato all’indagine concordano sul fatto che gli sforzi per migliorare le performance aziendali siano più efficaci se guidati dai capi dipartimento e supportati dal consiglio di amministrazione. Inoltre, per avere successo, le politiche di efficienza aziendali devono essere fondate su obiettivi e livelli di investimento realistici, misurati principalmente in termini di riduzione degli sprechi e dei costi e di accelerazione del “time-to-market”. Tuttavia uno degli ostacoli principali nel raggiungimento dell’efficienza è proprio il ritorno sull’investimento e in aggiunta le aziende temono che con la ripresa dell’economia questo tema assuma una rilevanza sempre minore.In questo periodo, le aziende più efficienti rivolgono una grande attenzione alla riduzione dei costi (57%), al monitoraggio degli sprechi (29%) e al miglioramento dei sistemi informatici esistenti (13%) e ritengono che l’utilizzo delle nuove tecnologie abbia un ruolo fondamentale nel miglioramento delle attività aziendali. Dove sono già state introdotte, le politiche di efficienza aziendale hanno contribuito a una riduzione media del 3% delle spese aziendali, ma è possibile diminuire ulteriormente gli sprechi grazie all’adozione delle nuove tecnologie IT e alla ridefinizione dei processi per stimolare l’adozione di pratiche lavorative più efficaci.Guardando al futuro, gli intervistati dimostrano di essere a conoscenza dell’esistenza di diverse aree in cui è possibile intervenire per migliorare l’efficienza del business nei prossimi 12 mesi: tra queste la riduzione dei costi (58% degli intervistati), dei rifiuti (56%), gli investimenti in innovazione dell’IT e la maggiore produttività del personale (50%). Solo poco più di un terzo delle aziende identifica come aree di intervento l’allocazione delle risorse umane e delle tecnologie di sviluppo e solo l’1% degli intervistati in Italia ritiene che la ridefinizione dei processi abbia un ruolo significativo.