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Il grande “porcellum” dei boiardi

È iniziato il conto alla rovescia per sostituire, a metà aprile, ben 350 manager di società statali. Il problema è capire quale sarà il metodo adottato per la selezione e chi verrà messo a fare cosa. A Renzi & Co. L’ardua sentenza…

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Il problema, come sempre, è il metodo. Yoram Gutgeld, ex (?) consigliere economico del presidente del Consiglio Matteo Renzi, aveva sostenuto che al momento di rinnovare i capi delle aziende pubbliche, o partecipate dallo Stato, l’eventuale (allora) governo Renzi avrebbe incaricato società di ricerca del personale di individuare i migliori manager sulla piazza e, tra una rosa ristretta di nomi, avrebbe scelto quello che lui riteneva il migliore. Questo metodo, in parte già utilizzato dal precedente governo di Enrico Letta, si presta a diverse critiche (ad esempio: la società di head hunting avrebbe indicato persone più vicine ai desiderata governativi indipendentemente dalla competenza) ma, per l’Italia, sarebbe stata comunque una rivoluzione. Ora il momento è arrivato: tra poco devono essere presentate le liste di chi ha i requisiti a posto per sostituire 350 manager di società di Stato. Ma, appunto, ancora non si sa quale sarà il metodo che verrà usato per sceglierle. Il “porcellum”, abolito come legge elettorale, potrebbe continuare a essere usato in campo economico: liste bloccate, nomine dall’alto, candidati scelti per fedeltà e non per competenza. L’appuntamento per capire se Renzi ha deciso di usare il “porcellum economico” (variante dell’ormai obsoleto “manuale Cencelli”) è per metà aprile quando dovranno essere presentate le liste dei manager “rottamatori”. Solo allora si vedrà se il presidente del Consiglio intende mantenere fede all’indicazione di Gutgeld e, soprattutto, se intende mantenere la sua promessa di non rinnovare l’incarico a coloro che hanno già due mandati alle spalle. Si tratta, soprattutto per quest’ultimo, di un impegno forse troppo ambizioso, perché vorrebbe dire rinnovare quasi per intero tutti i vertici di tutte le maggiori società pubbliche italiane e rimpiazzarli con persone completamente nuove. Difficile credere che ci riuscirà: al governo, impegnato in sforzi al limite dell’infattibile (taglio delle tasse, riduzione della burocrazia, riforme istituzionali) che hanno già provocato mal di pancia inenarrabili anche all’interno del Pd, non conviene aprire un altro fronte sul terreno delicatissimo del rinnovo delle cariche in società pubbliche.

ALLA RICERCA DEL NOME GIUSTOMa, oltre al metodo, sono importanti gli obiettivi. Ad esempio: la società Arcus, che il governo Monti aveva deciso di abolire e che è stata invece resuscitata nell’estate del 2013 grazie a un miracoloso emendamento al decreto “del fare” del governo Letta, deve continuare a esistere per distribuire milioni pubblici a favore delle opere artistiche da restaurare, o può essere tranquillamente riabolita e il suo amministratore unico Ludovico Ortona (ex ambasciatore) lasciato a godersi la pensione? E Invitalia, nata per attirare capitali dall’estero il cui fallimento è ormai diventato palmare, si può chiudere o Domenico Arcuri, l’amministratore delegato, sarà riconfermato nonostante sia al suo terzo rinnovo? In altre parole: oltre al metodo, il problema è “quale persona per fare che cosa”. Se il 30% delle Poste sarà privatizzato, occorrerà individuare un manager in sostituzione di Massimo Sarmi che sia conosciuto e apprezzato dal mercato finanziario e che abbia già esperienza di società quotate in Borsa. Lo stesso per Enel: sono ben 74 le poltrone del gruppo elettrico, quotato in Borsa, che devono essere rinnovate e la più importante, ovviamente, è quella dell’amministratore delegato Fulvio Conti, anche lui al suo (possibile) terzo rinnovo. Poi c’è il caso di Mauro Moretti, capo delle Ferrovie dello Stato sul cui destino metterà una parola decisiva il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Maurizio Lupi, i cui rapporti con il manager hanno subìto grandissime oscillazioni, per usare un eufemismo. Soprattutto in questo caso, prima di decidere, occorrerebbe individuare la mission delle Fs: si pensa a una privatizzazione parziale? Totale? Deve espandersi all’estero? Oppure si punta, come fu nel caso dell’Eni al tempo di Pierluigi Bersani ministro dell’Industria, a un ridimensionamento per favorire la concorrenza sul mercato interno? Ecco: per le Fs questo tipo di ragionamento non è mai stato fatto e un’indicazione politica la si attende proprio da Lupi. In ogni caso Moretti è stato confermato come amministratore delegato meno di un anno fa dal governo Letta e quindi, in teoria, non sarebbe una di quelle poltrone a rischio rinnovo. Eppure una direttiva del 2013, emanata proprio da quello stesso Esecutivo, escluderebbe dai vertici delle società pubbliche persone indagate. E Moretti lo è per la strage di Viareggio nella quale morirono 32 persone: se questo principio venisse seguito alla lettera e in modo rigoroso dal governo Renzi, al momento di individuare i famosi 350 nuovi manager pubblici, Lupi potrebbe chiedere a Moretti di fare un passo indietro. Oppure di lato, proponendogli, ad esempio, il passaggio ad Alitalia, dove ora regna Gabriele Del Torchio, che è in trattative con la compagnia Etihad interessata ad acquisire una quota della compagnia di bandiera. Ma su Alitalia potrebbe aver messo gli occhi lo stesso Sarmi che, tutto sommato, guida le Poste dal 2002. E sempre Alitalia potrebbe essere la destinazione ideale di grandi amici di Renzi, come Luca Cordero di Montezemolo che ha però il problema di essere socio fondatore di Ntv, la società di trasporto ferroviario privata che fa concorrenza alle Fs. In ogni caso se quella direttiva, che fa parte del più ampio discorso del “metodo” da scegliere per le nomine pubbliche, venisse seguita in modo davvero rigoroso, resterebbero fuori dal perimetro delle candidature tutti i componenti del Parlamento, anche europeo, oltre che tutti coloro in conflitto d’interesse. Sembrano condizioni rigorose, ma in realtà nei corridoi del Parlamento tutti sanno benissimo che ci sono mille modi per scavalcarle e che, in realtà, lasciano aperte la solita prateria alle lobby dei partiti. Anche la raccomandazione di avvalersi delle società specializzate in ricerca del personale è, appunto, solo una raccomandazione e non un obbligo. D’altra parte perché mai il ministero dell’Economia emana una direttiva nella quale raccomanda a se stesso il metodo per nominare i top manager pubblici delle società che lui stesso controlla? Incongruenze di una stagione politica confusa.

TRASLOCHI IN VISTAÈ ancora presto per fare previsioni di spostamenti da una poltrona all’altra, ma nulla autorizza a credere che il governo sia intenzionato ad aggiungere carne al fuoco delle polemiche andando a mettere in discussione poltrone fondamentali nell’economia del Paese come quelle di Enel e Ferrovie. E tanto meno sembra intenzionato a toccare quella dell’Eni, la regina di tutte le poltrone, sulla quale siede Paolo Scaroni, apprezzato dai governi di centrodestra come da quelli di centrosinistra oltre che dal mercato azionario: l’amministratore delegato sembra inamovibile. Così gli appetiti di manager in cerca di poltrone si concentrano su Finmeccanica. In pochi anni la società pubblica specializzata nell’industria pesante, compresa quella della difesa, ha bruciato un paio di nomi per motivi giudiziari, prima Pierfrancesco Guarguaglini (peraltro prosciolto da tutte le accuse che gli erano state rivolte e che gli sono costate il posto) e poi Giuseppe Orsi. Oggi il gruppo è guidato da Alessandro Pansa (figlio del giornalista Giampaolo) ed è presieduto dall’ex capo della Polizia, Gianni De Gennaro, nominato meno di un anno fa dal governo Letta. Pansa ha appena avviato una riorganizzazione dell’intero gruppo lasciando formalmente autonomia gestionale alle controllate, ma sottoponendo i loro vertici al controllo di otto manager che a loro volta rispondono alla holding di piazza Montegrappa. Ovvero: che rispondono a Pansa stesso. Potrebbe essere il preludio per una maxi operazione di riassetto societario come, ad esempio, la fusione tra diverse controllate, e, se è questo l’obiettivo della capogruppo, sembra difficile che Pansa possa essere messo in discussione. A meno che, e questo è un altro grande punto interrogativo al quale il governo non ha ancora risposto, Palazzo Chigi non decida di avviare una nuova stagione di dismissioni. In questo caso le società controllate da Finmeccanica sarebbero le prime a essere messe nel mirino. Per alcune il percorso di vendita è già iniziato, come per Ansaldo Breda, mentre Ansaldo Energia è destinata a essere inglobata dal Fondo Strategico Italiano, emanazione della Cassa Depositi e Prestiti, guidato dall’ex capo della banca d’affari Merrill Lynch Maurizio Tamagnini il quale, nonostante sia stato scelto per quel ruolo dall’ex ministro dell’Economia Vittorio Grilli, potrebbe essere uno di quei nuovi manager sui quali il governo intende puntare per svecchiare la palude di coloro che una volta si chiamavano “boiardi”. Altra società che deve rinnovare il board è Terna, guidata da Flavio Cattaneo. La sua poltrona è insidiata da uno degli sponsor più in vista di Matteo Renzi, cioè Andrea Guerra, amministratore delegato di Luxottica, per il quale c’è chi è convinto si stia preparando un incarico di ancora maggior prestigio: l’Eni, dove Scaroni potrebbe salire alla presidenza. Certo di essere riconfermato nell’incarico è Mauro Masi, ex direttore generale della Rai e ora amministratore delegato della Consap, società che si occupa di gestire diversi fondi pubblici obbligatori (vittime della strada, vittime dell’usura, garanzie per le giovani coppie che comprano casa), mentre assai meno sicura è la riconferma del presidente, l’ex ragioniere generale dello Stato Andrea Monorchio. Capitolo a parte riguarda Luigi Gubitosi, direttore generale della Rai, il cui (primo) mandato scade nella primavera del 2015. È apprezzato dal governo Renzi che, proprio per questo, per lui avrebbe in mente una destinazione di maggior peso all’interno dell’intricato mondo delle Partecipazioni Statali. Potrebbe essere addirittura l’Eni o l’Enel. In caso di dimissioni, Renzi avrebbe l’opportunità di nominare, anche solo per un anno, un manager a lui vicino, almeno dal punto di vista generazionale, come Antonio Campo Dall’Orto, uno dei pochi che non avrebbe problemi a essere indicato anche da una società di head hunting.

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Tra gli impegni del presidente del Consiglio Matteo Renzi c'è il rinnovo dei vertici delle aziende pubbliche: il neo premier sarebbe intenzionato ad affidarsi a una società di head hunting