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Fisco modello Estonia

Entrerà nell’euro. E sarà l’unico paese con la flat tax. Tutti pagano il 21% dei profitti, l’evasione fiscale è ai minimi, le casse dello stato sono in salute e l’economia è in crescita. Il ministro delle finanze Jorgen Ligi: «il nostro modello funziona, ecco come abbiamo fatto»

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Fino ad un anno fa l’Estonia annaspava. Il Pil aveva perso il 14% rispetto all’anno precedente e la disoccupazione era triplicata. Peggio di lei stavano solo la Lettonia, l’Ucraina, la Lituania e l’Armenia. Ma il governo riuscì a far fronte alla crisi senza modificare il suo sistema fiscale che oggi viene guardato da politici ed economisti di tutto il mondo soprattutto perché l’Estonia, dal gennaio dell’anno prossimo, entrerà a fare parte dell’Eurozona adottando ufficialmente l’euro. Cos’ha di particolare l’Estonia? Le tasse. È uno dei pochissimi esempi al mondo di un Paese che ha drasticamente ridotto le tasse senza aver mandato in tilt le casse dello Stato. Nemmeno nei momenti economicamente peggiori il Paese baltico ha modificato la sua struttura fiscale che si basa su una Flat Tax: i più ricchi hanno continuato a pagare il 21% di tutto quello che guadagnavano (redditi da lavoro, rendite da capitale e profitti di impresa), esattamente come la classe media. Solo chi ha un reddito inferiore a 1.726 euro l’anno beneficia dell’esenzione totale. Così oggi l’Estonia è tornata a crescere con un aumento del Pil che sfiora l’1%. Potrebbe funzionare anche nel resto dell’Europa? In altre parole: abbassare le tasse fa crescere l’economia e contemporaneamente fa aumentare le entrate fiscali? «Sono sicuro che i vantaggi di una tassazione come la nostra sono universali, quello che non so è se Paesi come l’Italia sono pronti ad accettarla da un punto di vista ideologico. Un sistema semplice e trasparente indubbiamente è più efficiente nel sostenere il bilancio pubblico», risponde il ministro delle Finanze Jorgen Ligi.

Ministro, in che cosa consiste la ricetta estone?

Intanto è un sistema di immediata comprensione, con poca evasione e bassa pressione fiscale. Tutto è frutto di una riforma del 1994 che prevede un’unica aliquota per le persone e le imprese. Nel 1994 era del 26% per poi scendere nel corso del tempo: oggi è al 21% e dovrebbe essere del 18% nel 2012. Gli utili reinvestiti, inoltre, non vengono tassati. Nei primi anni l’effetto sulle casse dello stato non è stato negativo, anzi! (Le entrate sono aumentate grazie alla crescita sostenuta del paese tra il 1996 e il 2007, ndr).

Il Fondo monetario internazionale ha però criticato questo sistema fiscale definendolo iniquo.

Il Fondo non ha espresso con noi questa opinione, ci ha solo suggerito di alzare la soglia sotto la quale le persone non pagano imposte, e così abbiamo fatto. Noi crediamo fermamente che l’aliquota unica sia un sistema non discriminatorio, giusto ed efficiente e il nostro sistema fiscale ci ha reso più attraenti per gli investitori internazionali. Abbiamo fatto scuola in Europa. Infatti ci hanno imitati la Lituania, la Lettonia, la Russia, l’Ucraina, la Serbia, la Slovacchia, la Georgia e la Romania.

Il governo ha in programma un’ulteriore riforma del sistema fiscale in senso ecologico. A che punto siete rispetto a questo obiettivo?

Al momento non è una priorità, ma sicuramente preferiremmo tassare i consumi e l’inquinamento con tasse indirette piuttosto che i profitti e il lavoro.

La crisi vi ha colpito duramente lo scorso anno, come avete reagito?

Non abbiamo neanche provato a evitare l’esplosione della bolla finanziaria locale o a sedurre i mercati esteri. Abbiamo considerato la salute delle finanze pubbliche come la prima responsabilità del governo: abbiamo tagliato le spese, venduto parte del patrimonio immobiliare e aumentato l’Iva e le imposte indirette. Quanto alla spesa, sono aumentati gli stanziamenti per la sfera sociale, i sistemi di sostegno per le imprese e gli investimenti.

In Europa si scontrano l’approccio tedesco, orientato al rigore, e quello francese, che punta piuttosto alla crescita. Lei da che parte sta?

Non vedo questa divisione tra i due Paesi, in realtà non ci sono alternative al rigore. Stimolare l’economia al prezzo di enormi deficit ha dimostrato di avere effetti negativi sull’economia ostacolando gli aggiustamenti strutturali nel lungo periodo.

A proposito di lungo periodo, ritiene realistici gli obiettivi di crescita fissati dall’Europa a Lisbona?

Dipende. Secondo me gli aspetti cruciali sono la ricerca scientifica e la formazione, la sostenibilità delle finanze pubbliche, i sistemi di welfare e il mercato del lavoro. Il bilancio degli stati è senza dubbio l’aspetto che mi preoccupa di più e, considerando i nostri trascorsi storici, è uno shock vedere manifestazioni contro le misure di austerity sotto i simboli comunisti – soprattutto in Paesi dove è stato speso già due o tre volte il budget annuale.

Voi sembrate un’isola felice, senza problemi di finanza pubblica. Ritiene che sia davvero un affare per il suo Paese adottare l’euro?

Sì. La moneta comune sostiene le relazioni economiche e gli investimenti. Durante la crisi è apparso particolarmente evidente che i mercati non credono nelle piccole valute sconosciute. Nonostante per gli scambi commerciali e finanziari abbiamo già adottato l’euro da tempo, nonostante la corona estone sia ancorata all’euro, e, fino al 1992, al marco, e nonostante siamo sempre rientrati nei criteri di Maastricht per il livello di debito e di deficit pubblico, abbiamo comunque bisogno di entrare formalmente nell’Eurozona, soprattutto per un discorso di affidabilità esterna. L’Europa ha bisogno della moneta comune. Questa idea non deve essere sottovalutata nei momenti difficili.

È favorevole all’ingresso della Turchia in Europa?

Sì, lo sono. Ma la decisione dipenderà dagli sviluppi dei negoziati e della situazione in Turchia.

Chi preferirebbe alla guida della Banca centrale europea, Axel Weber o Mario Draghi?

Considereremo tutte le candidature.

POCHE REGOLE E FACILI (COME FUNZIONA A TALLIN)

Il punto non è solo che le tasse in Estonia sono basse ma anche che sono facili da pagare. Al di sopra di una certa soglia si versa il 21% di tutto quello che si guadagna. Punto e basta. In un recente studio di Kpmg, il sistema fiscale estone ha battuto in chiarezza quello di Paesi con aliquote ancora più basse come Lettonia e Lituania, classificandosi al quinto posto in Europa per convenienza (dopo quelli di Cipro, Irlanda, Svizzera, Malta e Finlandia). L’aspetto più interessante è proprio quello della semplicità delle regole che chiedono al contribuente di impiegare appena 81 ore l’anno per il disbrigo delle partiche fiscali rispetto alle 334 necessarie ad un contribuente italiano (fonte Banca Mondiale).

L’ESTONIA IN DIECI CIFRE

1,42 milioni di abitanti

45,23 km2 superficie

793 euro retribuzione media mensile

13,7 miliardi di euro il Pil nel 2009 (-14% sul 2008, previsione per il 2010: +0.8%)

10.247 euro Pil procapite nel 2009

7,2% rapporto debito/Pil

15,64 tasso di conversione corona estone/euro

19,8% tasso di disoccupazione nel primo trimestre 2010 (era il 5,7% nel 2008)

21% aliquota unica nel 2010

32,2% pressione fiscale 2010

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Jorgen Ligi, 51 anni, è il ministro delle Finanze dell’Estonia dal 2009. Membro del Reform party (conservatore) è stato dal 2005 al 2007 ministro della Difesa. Laureato in geografia ed economia, ha conseguito un Mba dell’Estonian Business School