Il punto di vista di Enrico Deluchi, Ceo di PoliHub
«Qualcosa è effettivamente cambiato negli ultimi due anni. E adesso si calca ancor più la mano. Quindi evviva, qualcosa si muove! Certo, volendo guardare il bicchiere mezzo vuoto, dico: sì, siamo partiti, ma gli altri sono molto più avanti». A parlare del ruolo dell’Italia nella corsa ai finanziamenti europei, delle nostre start up e degli ecosistemi per l’innovazione è EnricoDeluchi, Ceo di PoliHub, l’acceleratore/ incubatore del Politecnico di Milano.
Dunque, bene ma non benissimo.
Dove noi investiamo un miliardo, la Francia ne investe dieci. I rapporti sono quelli, le distanze non si accorciano. Però guardiamo i segnali positivi, le cose si muovono e in passato non era così. Le premesse per creare dei giganti tecnologici, però, in Italia non ci sono. In Europa prima di tutto bisognerebbe capire in cosa vorremmo essere giganti. Serve una visione strategica a lungo termine. E bisogna decidere dove investire. La Cina ha fatto una scommessa pazzesca, sull’intelligenza artificiale e sul quantum computing. Una quantità di risorse inarrivabili per l’Europa. Le competenze poi non verranno da un Paese solo. Il gigante non sarà francese, tedesco, o lituano. Ci lavoreranno risorse provenienti da tutte le parti d’Europa e del mondo. Nasceranno in un Paese o nell’altro solo perché lì ci sarà l’ecosistema adatto.
Ecosistema, è questa la parola d’ordine?
La storia della Silicon Valley ci ha insegnato che è la densità di capitali, conoscenze e relazioni che fa succedere le cose. A Sand Hill Road, a Paolo Alto, in 200 metri sono concentrati dieci dei più importanti venture capital. Le decisioni di investimento si fanno sulle persone. Si parla di cifre importanti, non basta una videoconferenza, la vicinanza fisica conta. In un mondo che compete con questi schemi, dobbiamo decidere se giocare la stessa partita o un’altra. L’ecosistema nasce quando c’è un progetto forte. Quando leggo che con il Pnrr si finanzieranno 12 ecosistemi, penso che non sia una decisione giusta. Negli Stati Uniti ci sono in tutto cinque centri di innovazione: Los Angeles, Silicon Valley, Boston, New York e Austin. L’Inghilterra ha Londra e Manchester, la Francia ha Parigi, la Germania Berlino. Noi invece creiamo 12 centri perché dobbiamo dare un po’ a tutti. Dobbiamo far crescere tutto il Paese, ovviamente, ma se non spingiamo su uno o massimo due centri, sarà difficile partecipare alla Champions League. Stesso discorso per normative e leggi. In Italia l’a.d. di una srl ha delle responsabilità penali. Un investitore abituato a lavorare negli Usa, con meno regole e meno rischi, perché dovrebbe aggiungere anche un rischio di sistema a quelli tecnologici e di mercato? Se vogliamo giocare questa partita, le regole devono essere le stesse degli altri.
Finché si parla di ricerca siamo messi bene, poi…?
Insieme alla Svezia siamo l’unico Paese dove esiste ancora il professor
privilege
, ossia i professori decidono cosa fare con il frutto della ricerca. Quindi, una ricerca con potenzialità meravigliose potrebbe rimanere in un cassetto. Negli altri Paesi, gli atenei affidano queste decisioni ai propri uffici di trasferimento tecnologico (UTT): l’università finanzia la ricerca e l’università decide cosa farne. Ma gli UTT italiani sono deboli, composti di poche persone che non hanno competenze di mercato. Il ministero valuta la qualità di un ateneo misurando il numero di pubblicazioni. Se puntiamo sulla quantità di brevetti e non sulla loro qualità, disperderemo solo risorse. Noi falliamo quando le competenze necessarie passano da quelle teoriche a quelle di business. Se la ricerca deve diventare tecnologia e impresa, va ripensato tutto il modello.
E su cosa dovremmo scommettere?
Come PoliHub stiamo cercando di tirar fuori il meglio della ricerca del Politecnico e di altre università, e di aiutare a trasformarlo in ricchezza economica attraverso un modello di sviluppo sostenibile. Lavoriamo sulle energie rinnovabili, sulla sostenibilità, e vediamo nascere dei bei progetti. Siamo in una posizione privilegiata rispetto ad altre università, anche grazie alla lunga esperienza come incubatore, e quindi ci mettiamo a disposizione degli altri atenei e centri di ricerca che non hanno avuto a disposizione le nostre risorse. Sentiamo questa responsabilità. In Italia abbiamo aziende supercompetenti nel settore energetico, da Enel a Eni, a Snam, che dovranno guidare la transizione. Abbiamo una manifattura fortissima attorno a questo settore. E ovviamente, insieme a Spagna e Grecia, siamo tra coloro che possono sfruttare meglio una risorsa abbondante come il sole. La nostra partita è questa.