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Lavoro

La tigre e il dragone

La più giovane presidente della Camera nella storia della Repubblica tricolore è oggi un’esperta conoscitrice del mondo economico e imprenditoriale. Dal 2011 guida la rete d’impresa Only Italia, che promuove l’ingresso di prodotti e brand nazionali sui mercati stranieri. A partire dalla conquista della seconda potenza mondiale, la Cina

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Quando, nel 1994, a soli 31 anni, Irene Pivetti fu eletta presidente della Camera dei Deputati, Indro Montanelli commentò: «Degli uomini nuovi, è il più uomo e il più nuovo». In effetti, determinazione, doti di leadership, capacità di mettersi in discussione – unite a «una buona dose di testardaggine», come riconosce la diretta interessata – hanno contraddistinto il percorso professionale, ampio e variegato, da lei compiuto fino a oggi. Dal Parlamento, infatti, Pivetti è passata con disinvoltura al piccolo schermo – ricevendo, nel 2004, l’Oscar della televisione come personaggio rivelazione dell’anno – senza smettere di prestare consulenze in strategie di comunicazione, marketing, sviluppo e relazioni istituzionali per società nazionali e gruppi esteri. Dopo la creazione, nel 2008, di Learn To Be Free, onlus che promuove il lavoro come strumento di inclusione sociale, la passione per le tematiche che ruotano attorno a economia, impresa e innovazione l’ha portata a fondare la piattaforma commerciale Only Italia, di cui regge il timone da tre anni. Punto focale dell’iniziativa, sostenere vari brand di casa nostra, noti e meno noti – dall’enogastronomia alla moda, fino all’hi tech – nella loro penetrazione dei mercati stranieri, in primis la Cina. Un Paese, quest’ultimo, che offre grandi opportunità di business, con un miliardo e 350 milioni di abitanti e 9 mila miliardi di dollari di pil (Fonte: China Council for the Promotion of International Trade), impegnato a rafforzare la propria crescita perseguendo la qualità, come dichiarato di recente dal Premier Li Keqiang. E in Oriente, come in tutto il mondo – lo conferma a Business People la stessa Pivetti – il vessillo tricolore è ancora sinonimo di pregio, ricercatezza e attenzione ai dettagli.

Come opera la piattaforma commerciale Only Italia e a chi si rivolge? Registrata nella Penisola nel dicembre 2011, nasce come rete di imprese orientate a entrare in nuovi Paesi – a partire da quello cinese – con prodotti e servizi ideati e realizzati interamente nel nostro territorio; attualmente il network è composto da quasi 2 mila aziende. Svolgiamo un’azione di tutela, promozione e valorizzazione del nostro patrimonio produttivo, supportando iniziative e progetti di vario genere: branding, proprietà intellettuale, ma anche fusioni&acquisizioni e investimenti in conto capitale. Dedichiamo un’attenzione specifica soprattutto alle piccole e medie aziende, che costituiscono la vera spina dorsale del nostro sistema economico e spesso non riescono, da sole, a far fronte ai costi ingenti del processo d’internazionalizzazione. Il made in Italy sbarca a Foshan

In primavera avete siglato un’importante intesa con Balletown, controllata del colosso China Infrastructure Group… L’accordo strategico prevede l’apertura di venti department store in altrettanti shopping village che Balletown realizzerà in Cina entro il 2017, a margine di aree residenziali e commerciali di nuova costruzione, come parte integrante del suo progetto immobiliare. In questo modo Only Italia diventerà un canale distributivo diretto per le pmi che vogliono esportare. Inoltre, con l’acquisizione dell’80% del nostro capitale da parte del conglomerato cinese (Only Italia si è costituita srl a dicembre 2013, ndr), sarà rafforzata la struttura interna del network, anche grazie a un investimento iniziale di dieci milioni di euro.

Che tipo di aiuto concreto fornirete ai vostri iscritti? Selezioneremo, insieme a partner cinesi, articoli e marchi 100% made in Italy. Gestiremo tutte le fasi del processo di esportazione e vendita: dalle certificazioni agli aspetti logistici, dalla selezione dei prodotti al packaging, dagli aspetti legali alla gestione finanziaria, dalle analisi di mercato alle attività di comunicazione.

Su quali altri fronti vi state muovendo? Fin dall’inizio abbiamo portato avanti un’intensa azione di marketing culturale. A oggi abbiamo siglato numerosi accordi e protocolli d’intesa con istituzioni italiane, accademiche e non, interessate a progetti di ricerca in collaborazione con enti cinesi. In autunno, nella Cina Sudorientale, partiranno le iniziative dell’Istituto Internazionale di Cultura con eventi relativi alla moda, alle arti visive, alla musica e alla lingua italiana. Inoltre, in varie città della Repubblica Popolare Cinese stiamo promuovendo diversi progetti di tecnologia applicati a settori quali l’agricoltura e la sanità.

In base alla sua esperienza, c’è qualche aspetto della mentalità cinese che potremmo e dovremmo imparare? Avevamo molte qualità; con la crisi le stiamo un po’ perdendo, siamo diventati fragilissimi e noto grande stanchezza da parte dell’imprenditore italiano, in generale. Dobbiamo recuperare grinta e tenacia. Ed essere, allo stesso tempo, un po’ più umili: ci sono tante aziende che magari, nel nostro Paese, hanno un brand forte, ma questo, all’estero, non conta a priori. Non basta l’etichetta di “made in Italy” perché un prodotto possa piacere e venga comprato! Per entrare in un mercato straniero bisogna comprendere bene le sue regole e conoscere i gusti specifici dei suoi consumatori. Soprattutto in un contesto come quello cinese in cui, ancora per una decina d’anni, la nostra presenza sarà vulnerabile.

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