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Gusto

Come sono brave le e donne del vino…

Ecco le case vinicole guidate da donne. Come Stefania Sandrelli, che produce il Sangiovese Acino D’oro. O le tre signore di Lungarotti, famose per il loro Torgiano o Silvia Imparato con il suo Montevetrano

I “vini femminili” non esistono. Esistono i rosé, ma non è la stessa cosa. Però è vero: le donne consumano sempre più vino e i produttori stanno scoprendo questo nuovo immenso mercato per il quale si sono dati da fare creando prodotti dedicati proprio a questo mondo in larga parte ancora tutto da conquistare. Come? Tirando fuori dal cassetto alcune nozioni di fisiologia spicciola. Ad esempio sapevate che le donne hanno quattro tipi di coni cromatici invece dei tre (rosso, verde e blu) che hanno gli uomini? Questo quarto tipo di fotorecettore conferirebbe alle persone di sesso femminile maggiore capacità di discriminare sfumature di colore nella sezione rossa dello spettro visivo. Significa che alcuni tipi di rosso hanno un fascino particolare che noi uomini non riusciamo proprio a vedere: siamo convinti che più il vino sia scuro più piaccia alle nostra compagnia femminile mentre invece si tratta di una sfumatura impercettibile che in alcuni vini è presente e in altri no. Nel caso maschile la preferenza verso vini scuri e concentrati parrebbe legata a retaggi ancestrali dell’uomo raccoglitore che aveva un vantaggio selettivo nel saper riconoscere i frutti più maturi (più rossi) rispetto a quelli più acerbi. Altro aspetto fisiologico importante, la differente sensibilità al retrogusto amarognolo e all’amaro in genere, che nelle donne è avvertito maggiormente. Non serve solo a spiegare il maggior consumo maschile di birra ma anche il fatto che le donne paiono preferire vini rossi più morbidi e meno acidi o tannici rispetto agli uomini.

Al di là dei meccanismi sensoriali, ciò che parrebbe davvero diverso sono le modalità del bere, fotografate nella ricerca appena presentata Chi sono e cosa bevono le italiane, realizzata dalla Lorien Consulting nel corso dei primi mesi del 2010, che mostra come si possa parlare di “rituali di consumo al femminile” nei quali bere è “vivere emozioni, passioni, speranze e sogni, è l’affermazione del proprio essere”. Anche gli uomini sono capaci di vivere emozioni davanti ad un bicchiere di vino anche se spesso risultano più affascinati dalla tecnica o dal lavoro dietro un vino che dal vino in sè stesso.

E non mancano nemmeno (anzi!) le aziende fatte da donne che fanno vino per donne (oltre che per gli uomini, naturalmente). Esiste anche un’associazione Donne del Vino, di cui fa parte Lungarotti, grande realtà anche storica dell’Umbria che oggi vende tre milioni di bottiglie all’anno. Qui alle redini dei vari settori aziendali sono Chiara che trasmette ai vini la sua sensibilità per la vigna e il terroir; Teresa che si occupa di comunicazione e di enologia grazie a una duttilità tutta femminile; e la loro madre, Maria Grazia si concentra su un aspetto affine e complementare alla bellezza del vino, ovvero l’espressione artistica. È lei infatti che cura la collezione d’arte di casa Lungarotti dove i grandi vini si trovano a maturare di fianco a grandi opere di tutti i tempi. Da Lungarotti escono bottiglie che sfiorano il miracolo come il Torgiano Rosso Riserva Rubesco Vigna Monticchio (nei negozi trovate l’ottima annata 2005), forse l’unico Sangiovese al di fuori della Toscana capace di sfidare, spesso vincendo, i cugini del Brunello di Montalcino per eleganza e longevità. Sono sempre loro a produrre il San Giorgio, vino voluto dal padre di Chiara ma molto amato in famiglia per la sua capacità di fondere la freschezza e bevibilità del Sangiovese umbro con l’eleganza e la misura del Cabernet Sauvignon: un vino più ricco, scuro e intenso ma guai a pensare che sia un vino pensato per le donne.

Una delle donne del vino più famose del nostro meridione è senz’altro Silvia Imparato che con l’aiuto di “amici” come l’enologo Riccardo Cotarella è stata capace di produrre un vino che da etichetta da bere con gli amici è diventato un’icona delle potenzialità vinicole della Campania. Il suo Montevetrano ha un anima di Cabernet Sauvignon ma anche una presenza di Aglianico che lo lega al territorio del Salernitano. Ma anche lo stesso Cabernet, diffusissimo in ogni angolo d’Italia per tagliare e contribuire a dare struttura corpo e profumi a vini nostrali, qui diviene quasi campano e si associa al territorio con i suoi richiami di sottobosco e macchia mediterranea. È un vino da aspettare con calma e che si presenta questo Natale perfetto come regalo specie nel cofanetto in edizione limitata Terre da Cabernet, associazione di tre aziende storiche come Tasca d’Almerita, Castello del Terriccio, Tenuta San Leonardo e Montevetrano, appunto. Il progetto nasce anche come fonte di finanziamento per Wine For Life: acquistando una cassetta Terre di Cabernet non solo vi portate a casa tre “vinoni” di immagine e avvenire sicuro ma anche contribuite con quasi 50 euro alle iniziative dell’associazione in Africa per bambini senza assistenza sanitaria.

Anche i cosiddetti “vini dei vip” hanno storie particolari e al femminile da raccontare. Ci sono infatti storie che nascono in Toscana, girano il mondo e fanno girare la testa di mezzo Belpaese e poi riapprodano in questa bellissima regione. Parliamo per esempio di Stefania Sandrelli che nasce a Viareggio e che oggi a Gaiole in Chianti con il compagno Giovanni Soldati e il socio Sandro Bottea (famoso distillatore a Treviso) conduce una tenuta nel cuore del Chianti Classico. Il loro vino, un Chianti Classico Docg annata e riserva, si chiama Acino d’Oro, ed è per fortuna lontano dal classico vino da vip o supertuscan: è infatti un Sangiovese con appena un 5% di canaiolo a dare un vino perfetto da tavola, appena rustico ma di una bevibilità rara. Del resto Stefania dal primo bicchiere assaggiato nel 1974 durante le riprese di Novecento (un bianco sauvignon), è costantemente alla ricerca di vini che siano generosi (e il Sangiovese sa esserlo anche troppo), gradevoli e in fondo in fondo semplici, merce rara di questi tempi.

La terra del vino più contesa della storia occidentale ha visto innumerevoli guerre e con essa lutti e famiglie distrutte con spesso una donna sola restata in azienda a reggerne le sorti. La spiegazione storica delle numerose aziende al femminile in Champagne è forse cruenta ma esemplifica al meglio cosa sia in grado di fare una donna chiamata a gestire situazioni così complesse. Capacità di tenere tutto sotto controllo, intuito per i nuovi mercati, marketing, relazioni sociali da coltivare: vendere Champagne significa oggi come un tempo saper vivere in questo modo, bilanciando le proprie idee sulle aspettative altrui, mantenere dritta la barra dell’azienda cercando di non scontentare nessuno. È stato così per la famosa Veuve Cliquot, per Madame Louise Pommery (per Natale, non accontentatevi di meno di una cuvèe Louise Pommery 2000), per “Lilly” Bollinger e, su scala più piccola, per maison come Vesselle e Corbon. A Corbon è oggi di casa Agnès che non ha avuto paura di lanciarsi sulle orme del padre passando dall’ingegneria alle viti. A Corbon si producono 15 mila bottiglie l’anno anche se ci sono le potenzialità per imbottigliare ben di più. Sono Champagne non filtrati (chi dice che la limpidezza è sempre una virtù?), lavorati nel rispetto dell’espressione del terroir e dello chardonnay, che è il vitigno principale qui ad Avize, nella Cote des Blancs, terra di Grand Cru. Tra i suoi vini, provate il Le Brut d’Autrefois, legato con lo spago, complesso e pulsante nel bicchiere.

Nelle donne dello champagne c’è uno spirito familiare di legame con la terra unito all’esplosiva capacità di comunicare che potremmo sintetizzare riprendendo l’abusata frase di Lilly Bollinger «Io lo bevo quando sono felice e quando sono triste. A volte lo bevo quando sono sola. Quando ho compagnia lo considero obbligatorio. Ci gioco quando non ho fame e lo bevo quando sono affamata. In caso contrario, non lo tocco mai, a meno che non abbia sete».

Parlare di Champagne e donne è scontato forse, ma non altrettanto è immaginare l’abbinamento di un vino prezioso e unico come Chateau d’Yquem e l’universo femminile. Chateau d’Yquem è un vino muffato, le cui uve sono raccolte sulle viti quando sono state attaccate, disidratate e insaporite dalla Botrytis Cinerea, una muffa detta nobile perché in certe condizioni permette di avere nei vini profumi e gusto non ottenibili in nessun altra maniera in natura. Gli aromi, che da giovane sono sentori nitidi di uva passa e albicocche, di iodio, di minerale e di gesso, con il tempo divengono agrumeati canditi pieno e rotondo, albicocca, miele di tiglio, floreale ricco, zenzero, pepe rosa, zafferano. In bocca da giovani offrono una immagine complessa con fiori e frutta gialla, con una dolcezza e un corpo ben presenti ma mascherati dall’acidità viva e finale interessante. Con qualche anno sulle spalle mantengono molte note giovanili di dolcezza ma acquisicono una freschezza che li rende dei vini perfetti con carico di aromi dei passiti ma bevibilità di un bianco giovane: miracoli della muffa!

Per non parlare della sua versatilità a tavola, se da giovane Yquem (ma viene considerato un sacrilegio aprire una bottiglia che non abbia almeno 15 anni sulle spalle) è un vino da conversazione da fine pasto o da dessert, acquista con il tempo un carattere particolare che lo rende sfizioso da vino a tutto pasto, specie su specialità con note amare spiccate (fegato e simili) e anche su cacciagione da piuma con spezie e aromi. Se proprio volete una “dritta” su un’annata, cercate il 1996 (Meregalli Distribuzione) che Delphine Vessiere “ambasciatrice” d’Yquem ci racconta come «ricco di aromi agrumati, di pompelmo, fico, albicocca con floreale importante e sfumature “boisées” (vaniglia, pane, tostato)». Questa meraviglia ha un costo non poi così irraggiungibile (150 euro per la mezza bottiglia, circa 500 per la bottiglia intera) ma ha il pregio di essere un vino eterno e che mai porta brutte sorprese con l’invecchiamento.

Come si vede un mondo variegato e non solo romantico. Queste viticoltrici sono donne vere, importanti nel loro mondo e ricche di spessore come molte delle donne di oggi, capaci di coniugare meglio di tanti uomini la vita e le scelte personali con le esigenze si business. Quindi, anche scegliere la giusta bottiglia per la giusta persona, potrebbe non bastare come regalo… Se può valere come proposito per il prossimo Natale, cercate in ogni pensiero, regalo, momento, di guardare oltre il bicchiere e il mondo che dentro può essere nascosto perché come per le donne, ciò che un bicchiere di vino non dice spesso è più importante di quello che noi gustiamo con i nostri sensi.