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Gusto

A ciascuno il suo vino

I wine lover non sono tutti uguali. C’è chi punta sulla naturalità e chi cerca la raffinatezza, chi si rivolge a bacco solo nei momenti di convivialità e chi lo ritiene un ospite fisso dei propri pasti. Non resta che scoprire a quale categoria appartenete

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Ormai il vino non si beve, si degusta, e soprattutto del vino si parla, anzi a volte si discute. È diventato a tutti gli effetti un “social object” capace di catalizzare una comunicazione molto fitta, specie in Rete. Analizzando le interazioni sul Web, è nata una mappa dei wine lover che rappresenta proprio come si dividono le tribù del vino. Condotta dall’istituto Squadrati di Milano, l’analisi evidenzia come tra gli italiani si possano individuare quattro differenti tipologie di approccio nelle scelte di consumo e nell’interazione col mondo di Bacco: – i “Radical”, per i quali il vino è il risultato del lavoro del vignaiolo e, quindi, il frutto di un processo produttivo che si svolge a contatto con la natura in vigna; – gli “Enosnob”, secondo cui il vino si fa in cantina e la figura determinante è quella dell’uomo, specialmente se enologo. Ricercano garanzie di qualità e raffinatezza del gusto, a volte per loro il vino è anche uno status symbol; – i “Pane al pane”, per i quali il vino è un alimento più che una bevanda; – i “Socialite”, che vedono il vino come un catalizzatore di convivialità e di gratificazione sociale, un fenomeno legato alla condivisione e a momenti speciali. Pescando nel grafico (lo trovate qui sotto), balza subito agli occhi l’angolo Radical, anche perché è un trend apparso di recente tra i consumatori, che più ha beneficiato della Rete. Una delle tendenze più seguite tra i Radical è quella del vino senza solforosa, elemento ritenuto responsabile dei mal di testa che possono dare alcuni prodotti. Tutto ciò non è dimostrato, ma se non volete correre rischi, potete assaggiare i vini di Salcheto (Montepulciano), che ha prodotto un’etichetta senza solfiti: Obvius. Ha una incredibile vivacità di frutto rosso con note speziate ficcanti e sapide. Sempre in Toscana, alla Rufina trovate il Puro di Lavacchio, oppure potete andare in Piemonte, dove Marziano Abbona produce (non tutti gli anni) un Langhe Rosso da Nebbiolo, vino croccante che stuzzica il palato di chi apprezza il vino piemontese e le sue acidità. Per gli amanti delle esperienze forti non può mancare il cannonau secondo Dettori, produttore a Badde Nigolosu in Romangia (a Nord). Sfruttiamo la Sardegna per passare dalla parte opposta del quadrato: tra i Socialite non mancano mai i nostalgici della gastronomia isolana, che amano bere Vermentino di Sardegna o di Gallura tutto l’anno. Per loro l’offerta della Gdo è un po’ troppo basic, ma ci sono brand come Pala, con il celebre Stellato, o Olianas, di proprietà toscana (Tenute Casadei), ma che in Sardegna ha saputo affermarsi come solida realtà per il Vermentino e il Cannonau tra Cagliari e Nuoro, a Barumini. Sempre tra i Socialite non possono mancare le bollicine, come quelle di Villa Franciacorta, che con l’Extra Brut 2007 Solomille ha prodotto un vino ammaliante, fermo restando che il vero fenomeno “social” del vino è il Prosecco Docg, come ribadito anche in una ricerca presentata lo scorso Vinitaly dalla casa Carpenè Malvolti.Il confine tra Socialite e Pane al pane è spesso labile, ma basta poco per capire che un vino come il Montepulciano d’Abruzzo di Luigi Ulisse (e tutta la sua linea “Unico” di monovitigno) possano incarnare benissimo la tipologia, senza mettere in dubbio che anche per questi vini la qualità sia ormai irrinunciabile. Sul fronte bollicine, possiamo esemplificare con il Prosecco Doc, che i suoi campioni, come quello della Cantina Sociale Viticoltori Il Ponte, che ha appena fatto debuttare il Prosecco Extra Dry Campe Dhei con note di mela verde e pera williams e retrogusto molto minerale e ficcante nonostante l’abboccatura. Ma l’approccio del consumatore Pane al pane cambia molto da regione a regione e un vino considerato quotidiano in Alto Adige (il Pinot Bianco di Nils Margreid) può diventare da Socialite altrove o addirittura per Enosnob in qualche frangente. La definizione di Enosnob può essere, infatti, attribuita ai consumatori dei classici, dei vini premiati dalle guide, meglio se bandiera dell’alta produzione italiana. Tra questi, quindi, un apprezzamento particolare lo hanno i Supertuscan che continuano – almeno per le loro etichette di culto come Tignanello, Flaccianello della Pieve di Fontodi, Ornellaia, Sassicaia e L’Apparita del Castello di Ama – ad avere un grande seguito, ma anche vini che sappiano stimolare curiosità e appagare un palato in cerca di ricchezza e concentrazione, come alcuni Gewürztraminer dell’Alto Adige (da poco è uscito il “nuovo” corso in materia di Martin Foradori che produrrà da questo vitigno la selezione Joseph e il famoso cru Kolbenhof). Oppure tornando in Toscana vini come l’Essenzia di Caiarossa, azienda biodinamica, quindi in teoria Radical, ma che per la sua nuova etichetta ha scelto Syrah e Grenache come interpreti della prima vendemmia (il 2009), oppure Castello di Querceto che ha presentato QR, poche migliaia di bottiglie all’insegna del Merlot, Petit Verdot e Syrah per parlare del territorio di Lucolena (Chianti Classico).

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