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Gusto

Nel covo del gusto

Il ritorno ad Asiago ha portato la stella allo chef de La Tana Gourmet, dove aghi di pino, resine e muschi fioriscono nei piatti per rendere onore a una storia millenaria: «Solo qui potevo trovare la mia strada»

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La stella si è finalmente fermata su La Tana Gourmet di Alessandro Dal Degan che, dopo tanti anni in Toscana, è tornato a essere profeta in patria nella “sua” Asiago: un luogo, una cucina e un territorio tutti da scoprire, che lo chef racconta introducendo nei piatti elementi originali presi dalla storia di questo altopiano. Adesso che l’impegno aumenta con l’apertura del Pub La Tana, sempre ad Asiago, e di Naturalmente, a Milano, non mancano le sfide per questo giovane talento.

Le guide l’hanno sempre seguita, ma la consacrazione vera è arrivata al ritorno ad Asiago. Il cerchio si è chiuso al momento giusto?Trovo che le cose non vengano mai né troppo presto né troppo tardi, arrivano sempre nel momento più adatto, anche se lì per lì non riusciamo a rendercene conto. Qui ho trovato la mia dimensione ideale. Posso dire che la “consacrazione” è arrivata nell’attimo in cui sono riuscito a fare qualcosa che in nessun altro posto e tempo sarei riuscito a fare. Se la stella fosse arrivata prima, magari non sarei mai tornato ad Asiago. In realtà non credo ci debba mai essere una consacrazione perché il rischio di adagiarsi è molto alto, e vorrebbe dire mettere a repentaglio il frutto degli sforzi: meglio avere sempre un ostacolo da affrontare e un obiettivo da raggiungere.

Via Kaberlaba, 19 – Asiago (Vi)Tel. 0424 462521 – 347 4057130

latanaristorante@gmail.com

Cosa ha imparato dalla sua lunga esperienza in Toscana?Ho vissuto 15 anni a Firenze e ho imparato come fare, e anche come non fare molte cose. È una regione difficile per la cucina gourmet, lo è per la natura stessa della mentalità toscana e della sua cucina, che è molto ricca di sapori, molto “vera”. La difficoltà nel proporre qualcosa “fuori tradizione” è data dalla concomitanza di due fattori: il turista che vuole, ovviamente, assaggiare le specialità locali, e il toscano che non chiede altro che i suoi piatti. Amo i toscani, perché sono persone splendide, che ti danno il cuore, ma li odio allo stesso tempo perché sono degli irriducibili testoni.

Si parla tanto di “emergenza sala” in Italia, con cucina di alto livello e servizio che fatica a tenere il passo. Che impressione ha dei giovani professionisti?Ci poniamo spesso questo problema con Enrico, mio socio e maître. Dove sono i giovani che si avvicinano a questa professione? È una realtà drammatica. Purtroppo il problema nasce sempre dal rapporto media-chef. Cerco di spiegarmi: il proliferare di programmi Tv (e non solo) ha portato un grande giovamento al settore, ma alla lunga ha creato un problema molto ampio: si parla solo dello chef e mai del maître. Si è instaurato nella conoscenza della massa il fatto che un ristorante sia solo ed esclusivamente la cucina, che il lavoro di chi sta sui fornelli sia la cosa più importante.

Quanto conta invece l’altro volto della ristorazione?La cucina (e di conseguenza lo chef) è solo il 40% del successo di un ristorante, il restante 60% è dovuto alla sala. Basti pensare a una semplice realtà. Se visitiamo un ristorante e mangiamo divinamente, ma veniamo trattati male, sicuramente non ci torneremo. Se non mangiamo bene, ma ci sentiamo coccolati sarà diverso. Tutto questo idolatrare i cuochi ha distrutto la figura del cameriere che serve ai tavoli, ma non è un servitore. Mio fratello ha 17 anni e frequenta la scuola alberghiera di Asiago. Sono tre anni che nella struttura non esiste una classe di sala, ma ben cinque di cucina…

Nei suoi piatti compaiono aghi di pino, resine, ormai comuni, e altri particolari come licheni o tarassaco. Come è nata l’idea?Nulla è fondamentale e tutto può essere utile. Dipende da cosa vuoi fare e a quale risultato vuoi arrivare. I prodotti che uso – erbe spontanee, pigne, muschi, licheni, funghi, terra, torba, radici, gemme, fiori e tanto altro – non servono a stupire, ma a recuperare la memoria di una cultura scomparsa, seppellita dalle bombe della Prima guerra mondiale. Noi abbiamo la fortuna di avere ancora qualche anziano da ascoltare. Facciamo una ricerca capillare e cerchiamo di capire come e perché i nostri predecessori usavano tutte queste ricchezze, in modo di riutilizzarle con le tecniche di oggi. Ci piace pensare che sia un modo per rendere onore alle persone che ci hanno permesso di essere qui oggi. D’altronde il futuro è scritto nel passato. C’è un antico detto che dice: «La terra plasma il tuo destino, essa vive in te come tu vivi in essa. Abbi il coraggio di seguirla».

Dopo La Tana Gourmet, sono nati il Pub La Tana, ad Asiago, e Naturalmente a Milano. Quali sono i tratti comuni di questi locali?In realtà da poco sono quattro i fronti. Accanto a La Tana, abbiamo aperto anche L’Osteria, un angolo semplice e informale, ma sempre con la nostra filosofia. Purtroppo sappiamo che un ristorante gourmet, spesso anche se si trova in grandi città, difficilmente riesce ad autofinanziarsi: molti hanno alle spalle danarosi finanziatori, holding o banche che coprono i buchi. Noi non siamo così fortunati, quindi abbiamo messo in piedi un sistema che ci permette di avere incassi e al tempo stesso poter fare nel gourmet quello che abbiamo in testa, senza compromessi. Possiamo permetterci, e lo consideriamo un lusso, di presentare la nostra cucina esattamente come la intendiamo, senza trovarci nelle condizioni che debba piacere a tutti i costi.

In quale ristorante di oggi o di ieri vorresti aver lavorato?Mi piacerebbe sinceramente tornare indietro nel tempo, magari in Francia, e vedere cosa succedeva nelle cucine di palazzo nel Rinascimento, nel Medioevo, quando i cuochi erano in grado di imbastire banchetti sfarzosissimi e ricchissimi. Con preparazioni che farebbero invidia ai cuochi moderni, ma senza le tecnologie di oggi. E mi piacerebbe essere stato al fianco di Pellegrino Artusi.