Connettiti con noi

Gusto

Il tartufo? Sa essere democratico. Parola di Enrico Crippa

Piemontese d’adozione, lo chef che ha da poco conquistato la terza stella Michelin dice la sua sull’oro delle Langhe. E non solo

architecture-alternativo

La storia, o almeno quella recente, di Enrico Crippa è la storia di un felice incontro tra un territorio, quello delle Langhe, con i suoi profumi e le sue suggestioni, e un ragazzo cresciuto alla scuola di Gualtiero Marchesi, aperto agli occhi della modernità da Ferran Adrià, affinatosi presso Michel Bras poi in Giappone e finalmente esploso a Piazza Duomo ad Alba, la forma più compiuta di ristorante piemontese che sia mai esistita, con la ciliegina sulla torta delle sue recenti e fiammeggianti tre stelle. Un percorso senza sbavature, condotto quasi sempre senza alzare la voce, ma ottenendo ogni volta i migliori risultati. Ripercorriamo con lui la sua iniziazione alla cucina e parliamo della stagione magica del tartufo nelle Langhe, che ogni anno attira milioni di visitatori gourmet.

Cosa l’ha portata a diventare chef?

Dal punto di vista emotivo, sicuramente il ricordo di quando d’estate i miei genitori mi mandavano da mio nonno paterno, a Renate, in Brianza. Con lui ogni mattina giravo i mercatini di paese (come quello grandissimo di Barzanò al mercoledì), poi lo seguivo in casa quando alle 10 cominciava a cucinare: guardavo questo omone che faceva queste “cose” in cucina e deve essere scattato qualcosa. Ho intuito che era un mestiere che offre l’opportunità di viaggiare e conoscere gente senza studiare, quindi decisamente la mia strada. Dal punto di vista professionale è stato, invece, grazie al maestro Marchesi e lo stage presso di lui.

LA FONTE D’ISPIRAZIONE PER I NUOVI PIATTI

L’ATTREZZO DI CUCINA CUI NON RINUNCEREBBE MAI

In genere dall’ambiente, dall’orto, da un campo con colori particolari, dalle tonalità del cielo. Ma anche da tante discussioni con i ragazzi che lavorano con me. Non c’è uno schema preciso, una regola fissa. A volte parti da un’idea salata e poi diventa dolce

Sicuramente i coltelli. Ma forse è banale, allora dico il coperchio per le casseruole. In rosolatura e a fine preparazione il coperchio sulle verdure è fondamentale in cotture per riduzione

La cosa che la diverte di più cucinare?

Direi la carne, perché si mettono in pratica le cotture senza termometro, con le sensazioni, il tatto e il tempo. Sotto il profilo del “gioco” e del “divertimento”, negli ultimi tempi tutto quello che è vegetale, dalle insalate in poi, uno scrigno di tesori.

Secondo lei, cosa rende il tartufo così speciale da far muovere tante persone?

Al di là del profumo, è talmente specifico di una determinata zona e stagionale (solo tre-quattro mesi) che scatta subito l’idea del carpe diem. Se ci fosse tutto l’anno sarebbe già diverso. Poi, è innegabile, tutta la poesia legata al profumo, il segreto del trifolaro, il suo rapporto con il cane cercatore, tutta la mitologia dietro è davvero unica. E non possiamo dimenticare il prezzo: più una cosa diventa cara e costosa, più diviene quasi morbosa la voglia di assaggiarla, un tocco di lusso che non si può negare a nessuno. La cosa bella è che alla fine il tartufo sa essere democratico, perché sia negli stellati che nelle piole (le osterie, ndr) il sistema è lo stesso: arriviamo al tavolo, iniziamo a grattare ed è il cliente che ci dice stop. L’idea è che uno prende ciò che vuole e sa quando fermarsi.

Una ricetta particolare al tartufo che racconta bene la sua cucina?

Sicuramente la crema di patate d’alta Langa con uovo di quaglia con il tè cinese Lapsang Souchong, il piatto che mi avvicina di più al territorio: un legame tra quest’ultimo e il mio stile creato utilizzando un ingrediente che viene da lontanissimo. Questa crema di patate frullata con crema di latte, e poi l’uovo con tè affumicato, ricordano le sensazioni di una cascina di inverno, il legno bruciato, il profumo del tubero… Questo piatto è sul menu degustazione, ed è ormai una firma (come l’insalata), tanto che la gente lo chiede sempre. Non è facile fare creatività con il tartufo bianco: innanzitutto è difficile usarlo per fare esperimenti e poi la gente ha il blocco del prezzo, preferisce andare sul sicuro e mangiarlo sui tagliolini, sugli agnolotti di fonduta o sulla carne cruda. Altri piatti magari sono preferiti dai cuochi ma non dai clienti… Abbiamo provato a uscire dai binari, ma ora restiamo sul classico.

Se le offrissero un viaggio gratis, dove deciderebbe di andare?

Magari in un posto nuovo, quindi direi in Australia. Ma se devo giocarmi una carta sola per togliermi alcuni sfizi alimentari e di cucina unica, ritornerei in Giappone. Sono tornato a casa nel 2000 dopo tre anni di lavoro lì e ci sono stato di nuovo solo nel 2001. Mi manca!

Chi pensa che sia lo chef migliore del mondo in questo momento?

Sicuramente – era ora che venissero premiati nella classifica The World’s 50 Best Restaurants – la famiglia Roca, incredibile sotto ogni punto di vista, umano e professionale. Poi Redzepi del Noma di Copenaghen, l’ho conosciuto quando nessuno se lo filava ed è un uomo dai saldi valori di un tempo, uno di quelli che si sono fatti dal nulla, e si sente. E poi ovviamente Ferran che ha liberato mentalmente noi italiani: quando tutto da noi era legato alla Francia e alle sue regole ingessate, ci ha permesso di ampliare gli orizzonti e andare oltre steccati e accademia, dimostrando che la vecchia scuola francese poteva essere messa in discussione e fatta evolvere.

C’È UN LEGAME DI TERROIR CON LE UVE

DUE BATTUTE CON VINCENZO DONATIELLO, SOMMELIER DEL RISTORANTE CON MAURO MATTEI

Credits Images:

Enrico Crippa, chef stellato del Ristorante Piazza Duomo, nel centro storico della città di Alba