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Gusto

Andrea Berton, Milano è il cantiere del gusto

Parla lo chef friulano che ha saputo interpretare al meglio la nuova tendenza nella ristorazione italiana: largo al bistrot. «Senza mai dimenticare la total experience che solo un ristorante stellato sa offrire»

Milano questo autunno pare davvero un grande cantiere, con una sarabanda di inaugurazioni di locali da togliere il fiato e soddisfare la fame di novità gustose e proposte innovative. Ma tutto è iniziato questa primavera con il duetto Dry – Pisacco, locali già di tendenza e capaci di far scalpore sia per il format che per il successo riscontrato, mai scontato ai giorni d’oggi. In entrambi c’è lo zampino di Andrea Berton, che dopo importanti esperienze in alcuni dei più prestigiosi ristoranti europei (Marchesi, con Carlo Cracco; Enoteca Pinchiorri, con Alain Ducasse; Louis XV di Montecarlo e Trussardi alla Scala, con due stelle Michelin) e in attesa dell’apertura del suo nuovo locale in Porta Nuova a novembre* (dicembre, ndr), si è dedicato, insieme all’architetto Tiziano Vudafieri, all’avvocato Diego Rigatti e al manager della ristorazione Giovanni Fiori, ad alcuni locali innovativi e di successo come Dry (pizza e cocktail) e Pisacco (ristorante moderno). Ne abbiamo approfittato per fare due chiacchiere sul momento che sta vivendo la ristorazione. A Milano e non solo.

Dalle alchimie “stellate” alla pizza con cocktail bar. A noi non sembra un controsenso, ma a qualcuno sì. Di certo è una ventata di novità: qual è stato l’aspetto più affascinante della nuova sfida Pisacco e Dry? Sicuramente il fatto che è diventato tutto più divertente rispetto allo stellato, e quando sei rilassato e ti diverti si creano alchimie diverse, si punta molto sulla qualità dell’offerta pur avendo a che fare con un target più basso (dal punto di vista delle possibilità di spesa) rispetto al ristorante precedente. La sfida è far capire a un pubblico più ampio che ci può, anzi ci deve, essere qualità anche in pizzeria o in un hamburger. Lo “stellato” è o dovrebbe essere un’esperienza a 360 gradi con la somma di tante stimolazioni sensoriali che facciano tascorrere due-tre ore di esperienza “totale”, mentre in questi nuovi locali si punta su velocità e semplicità, ma senza deroghe alla qualità. Ci teniamo a trasmettere l’idea che se si vuole mangiare un buon pollo arrosto o della verdura – solo in apparenza piatti semplici, e che devono comunque avere una collocazione nell’offerta gastronomica generale – non bisogna per forza andare in una tavola calda.

Altri cardini di questa nuova proposizione? Al Dry abbiamo voluto combinare cocktail con pizze attraverso abbinamenti spesso intriganti e innovativi, una situazione particolare che ha innescato in noi e nel pubblico la voglia di sperimentare. Ma c’è anche un’altra radicale novità, ovvero la grande attenzione all’accoglienza e al servizio. L’accoglienza, soprattutto, generalmente è molto trascurata e considerata secondaria, ma se entri in un bar, in una pizzeria o in qualsiasi posto, il “welcome” è d’obbligo: il cliente deve sentirsi accolto e non abbandonato. Anche questo è parte integrante dell’idea di riportare una funzione essenziale del ristorante stellato in locali meno “alti”.

Si può dire che il futuro della ristorazione italiana è nel modello bistrot, evoluzione moderna della trattoria della tradizione? Più che di format e futuro della ristorazione vorrei dire che la ristorazione è il futuro dell’Italia! Ci deve essere grande attenzione alle proposte che facciamo, ma soprattutto ci dovrà essere sostegno – o almeno l’assenza di ostacoli – da parte delle istituzioni. La nostra cucina sarà sempre più una risorsa fondamentale per incrementare il turismo. Direi però di smetterla con la litania della cucina della nonna o della mamma: abbiamo Massimo Bottura e tanti altri grandi interpreti. Questo è il futuro!

Qual è il suo comfort food per eccellenza e cosa cucina invece per “far colpo” se ha ospiti a casa?Non vorrei deludere nessuno, ma a me piacciono le verdure, in qualsiasi preparazione: le adoro sia bollite sia cotte in padella con olio o anche brasate, gratinate… È un tipo di cibo che mi fa star bene. Per far colpo su eventuali ospiti non penso a ricette complicate. Un po’ come per gli appassionati di calcio è magico vedere un campione palleggiare, per noi che facciamo questo mestiere cucinare è sempre un momento speciale. Quando ci vedono cucinare qualsiasi cosa, i gesti, i movimenti, il modo in cui preparo le cose fa sempre un certo effetto, indipendentemente da cosa sto cucinando.

Come sarà, quindi, questo suo nuovo locale?Si chiamerà, a scanso di equivoci, Ristorante Berton Milano e aprirà a novembre* (dicembre, ndr). Sarà soprattutto un locale facile da frequentare e che faccia passare due ore in maniera il più piacevole possibile, un’esperienza da vivere completamente con tutti i sensi del proprio corpo.

L’AGGETTIVO PER LA SUA CUCINAPer passato, presente e futuro mi piacerebbe usare “immediato” e trasparente”. Vorrei che davanti a un mio piatto si capisse subito il gusto di ciò che si sta per mangiare.

IL PIATTO DELL’INFANZIA RIEDITATOLa cucina friulana non è semplice da riprodurre in chiave “stellata”, ma la ricetta che più mi ha intrigato sono i cialcions, dei ravioli con farcia di patate ripieni (nel Collio) di pere, mostarda, pinoli e cacao. Li ho rivisti servendoli in passato come contorno alla selvaggina.

* L’apertura è stata posticipata a dicembre, abbiamo mantenuto il testo dell’intervista pubblicata su Business People ottobre 2013

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Andrea Berton