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World Football Museum: Tutto il calcio, cimelio per cimelio

Sono serviti 20 mesi e 120 milioni di euro di investimento alla Fifa per inaugurare a Zurigo il World Football Museum, che raccoglie memorabilia dei più grandi campioni della storia: dalla pipa di Bearzot alla tuta di Pelé. Un santuario per gli appassionati

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Era scritto nel grande libro della storia del calcio che, prima o poi, la mano de Dios, si sarebbe levata per punire i puritani e intransigenti britannici. Perché lo stacco da terra – e il tocco irregolare – con cui Diego Armando Maradona sovrastò il gigantesco portiere inglese Peter Shilton non solo permise all’Argentina di guadagnare la semifinale della Coppa del Mondo di Messico 1986 (poi vinta battendo la Germania in finale), ma pareggiò i conti con un’antica disputa che sta alle origini stesse del pallone. Ma per comprenderla bisogna risalire indietro alle origini dello sport più famoso del mondo.L’uomo ha sempre giocato prendendo a calci sfere di vario tipo. Erano palle di piume e capelli quelle che i cinesi colpivano per centrare lo spazio tra due canne di bambù, mentre per i romani l’harpastum era più fisico e prevedeva il raggiungimento di una meta al fine di ottenere punti. Le scorribande anarchiche del calcio medievale fiorentino, erede dell’agonismo romano, arrivarono fino alle sponde dell’isola britannica. Ma sotto l’austerità dell’Impero, nell’era vittoriana, certe esibizioni scalmanate non erano ben viste né ammesse. Nel 1835 viene emanato l’Highway Act, con il quale fu proibito il gioco del pallone in pubblica via, riservando schiamazzi e calci agli spazi chiusi dei collegi. Le camerate di Cambridge e di Oxford erano composte da dieci ragazzi e un istruttore. E si sfidavano in partite, 11 contro 11 appunto, dal regolamento incerto. O meglio, ogni college faceva a modo suo. Con il risultato che i tornei assomigliavano più a risse che a incontri sportivi. Da qui il colpo di mano che riportò il calcio nel regno dei piedi. Con i giovani della scuola di Rugby, cittadina a venti chilometri da Coventry, che sbatterono la porta della neonata Footbal Association fondando uno sport tutto loro con una sfera diventata ovale. Non bastò a convincerli nemmeno la regola di Sheffield – dove è stata fondata la prima squadra di calcio del mondo – secondo cui il portiere poteva usare le mani fino a metà campo (e così sarebbe stato fino al 1912). Il gioco del calcio da quel momento in poi aderì a 17 comandamenti: le leggi stabilite dalla Football Association di Londra, che andarono a normare durata delle partite, fuorigioco e ruolo degli arbitri, oltre al divieto assoluto di toccare la palla con le mani, pena un cartellino giallo. Con l’eccezione del Pibe de Oro, in quel pomeriggio del 22 giugno 1986, a confermare la regola per la rabbia dei servi degli “inventori” inglesi del gioco.

UNO SGUARDO INEDITOPer i fedeli laici del pallone, oggi c’è un santuario che tutti i pellegrini del dribbling devono visitare. A Zurigo, la Fifa ha aperto il suo tempio, il World Football Museum: tre piani e 3 mila metri quadri di storia che celebrano il calcio, ma soprattutto raccontano aspetti ed episodi poco conosciuti dello sport più praticato dall’umanità. Si stima che ci siano 265 milioni di persone, tra agonisti e amatori, che giochino a pallone regolarmente. Quando vanno in scena le partite della Coppa del Mondo, intere nazioni rimangono incollate davanti allo schermo. Eppure del calcio e della sua storia si sa molto poco. Si ignorano le origini e si dimenticano molti dei suoi protagonisti. A Zurigo si prova a offrire uno sguardo inedito del gioco del pallone: in bacheca ci sono oltre mille cimeli e ricordi dell’epopea mondiale, recuperati grazie a donazioni, collezioni private e aste internazionali: vere e proprie reliquie come la pipa di Bearzot, gli scarpini di Socrates, la tuta di Pelé indossata a Svezia 1956 e gli occhiali di Marcello Lippi. Si va anche indietro nel tempo con la maglia azzurra con la quale Gino Colaussi vinse i Mondiali del 1938, e poi le panchine originali dello stadio di Wembley. La Fifa ci ha messo 20 mesi e ha speso 120 milioni di euro per costruire una simile collezione. Ha iniziato sotto la presidenza Blatter, scolorita dagli scandali svelati dall’Fbi, e ha festeggiato l’inaugurazione con la nuova gestione di Gianni Infantino. Secondo il direttore Stefano Jost, il museo Fifa non è solo intrattenimento ma si propone di fare educazione, raccontare la storia di questo sport e ispirare valori per le giovani generazioni, grazie a un archivio digitale e una biblioteca contenente 4 mila volumi, che narrano ogni possibile curiosità. Ma poi ci sono bar, bistrot, negozi, un cinema; e non manca un biliardino con i busti dei fuoriclasse del passato, da Pelé a Maradona fino a Bobby Charlton. E ancora le maglie: sono 209, come le nazionali affiliate Fifa. Ma soprattutto ci sono loro, i trofei, che fanno correre e gioire, e qualche volta piangere.

CHI REALIZZA LE COPPE DEL MONDO

LE CASE DEI TIFOSI

LA MALEDIZIONE DI RIMETTra i pezzi unici da ammirare c’è l’oggetto del desiderio numero uno del calcio mondiale, ovvero la Coppa Rimet, che veniva assegnata ai vincitori della Coppa del Mondo fino al 1970. Il nome era un omaggio a Jules Rimet, il dirigente che inventò il massimo torneo per nazioni. Il trofeo, assegnato nove volte fino alla conquista definitiva da parte del Brasile al terzo successo in finale contro l’Italia in Messico, ha fatto gola a tanti. E non solo ai campioni del rettangolo verde. A Zurigo, infatti, è esposta la base originale in alabastro, mentre il destino del resto del trofeo è avvolto dal mistero. La statuetta, in argento placcato oro, alta 30 centimetri e raffigurante la vittoria alata, fu realizzata dall’orafo francese Abel Lafleur, cresciuto alla scuola di Cartier. Fu vinta per la prima volta nel 1930 dall’Uruguay, Paese ospitante della manifestazione al suo esordio. Da allora, non avrebbe avuto più pace. Conquistata due volte dagli Azzurri (Parigi ’34 e poi Roma ‘38), la coppa rimane custodita dalla Federcalcio durante la II Guerra mondiale. Il prezioso metallo, sui cui hanno messo gli occhi alcuni ufficiali tedeschi, dopo l’armistizio dell’8 settembre si salva grazie all’inventiva del segretario della Federcalcio Ottorino Barassi, che la nasconde in una scatola di scarpe e la porta in Lussemburgo. Nel 1966, in occasione dei Mondiali d’Inghilterra, la coppa Rimet viene rubata per la prima volta e recuperata dopo lunghe trattative e una rocambolesca caccia al ladro. A rendere leggendaria la storia della Rimet ci ha pensato un cagnolino senza pedigree, che ritrovò la coppa avvolta in un giornale, dietro la casa del suo proprietario David Corbett. Ma non è finita qui. Nel 1983 provano il colpo mundial un gruppo di malviventi brasiliani, che riescono a trafugare il trofeo e, secondo le dichiarazioni di un “pentito” della banda, fondono il metallo, pur ricavandoci un bottino modesto. Fine della storia? Il mistero della Rimet non è ancora svelato. Nel 1995 a un’asta di Sotheby’s ricompare la Coppa Rimet, definita però come una replica del gioielliere Byrd. La Fifa l’acquista per la cifra mostre di 245 mila sterline (750 milioni di lire), tanto da far pensare che possa essere l’originale. Le analisi hanno dimostrato che si tratta di una replica e la vera Rimet potrebbe essere nascosta nell’armadio di qualche magnate brasiliano, oppure nella bacheca di un collezionista privata in qualunque parte del pianeta.