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Art Déco. In mostra a Forlì il meglio della creatività italiana

La rassegna in programma nei Musei San Domenico raccontare il versante italiano di un fenomeno artistico che mise d’accordo tutti sull’idea del bello

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Quasi un secolo dopo, siamo ancora tutti sedotti dall’Art Déco. Sfrenata e ruggente, raffinata e razionale insieme, è l’arte degli anni ‘20, decennio creativo senza il quale non ci sarebbe stato nemmeno il made in Italy. È questa la tesi della mostra Art Déco. Gli anni ruggenti in Italia (dall’11 febbraio al 18 giugno) allestita nei Musei San Domenico, a Forlì: curata da Valerio Terraroli, con la collaborazione di Claudia Casali e Stefania Cretella, ci racconta un periodo della nostra storia denso di fascino e mistero.

Finita la straziante Grande Guerra e non ancora giunto il cupo periodo dei totalitarismi, si diffonde ovunque – e il nostro Paese non sta a guardare – uno stile di vita devoto al gusto del bello, del lusso, del bon vivre. Era lo “Stile 1925”, data non casuale: ricorreva, infatti, in quell’anno l’Esposizione Universale di Parigi dedicata alle Arts Decoratifs, da cui deriva Art Deco, il diminutivo che tutti conosciamo. Era lo stile delle sale cinematografi che, delle stazioni ferroviarie, dei teatri, dei transatlantici, dei palazzi pubblici, delle grandi residenze borghesi. Era lo stile elegante ma non formale, prezioso ma non ostentato degli arredi, delle ceramiche, dei vetri, dei ferri battuti, degli abiti, persino delle automobili, per non parlare dei cartelloni pubblicitari. La decorazione comanda in tutta Europa e le cosiddette “arti maggiori” (la pittura e la scultura) offrono liete il loro contributo: Matisse, Lhote, Schad, Chiparus e la celeberrima ritrattista aristocratica e mondana Tamara de Lempicka sono gli artisti che, a livello internazionale, contribuirono maggiormente all’affinamento di questo gusto comune. Ai nostri occhi abituati a movimenti artistici frammentati ed effimeri può apparire insolito, ma l’Art Déco compì il miracolo di mettere d’accordo tutti – almeno per un decennio – sull’idea del bello.

PITTORI E SCULTORI

PRESTARONO DI BUON GRADO

LA LORO CREATIVITÀ

AL CAMPO DELLA DECORAZIONE

All’ampia rassegna allestita a Forlì il merito di raccontare il “versante italiano” di questo fenomeno artistico, perché se è vero che il cuore del Déco pulsa a Parigi, è lungo lo Stivale che trovano spazio le sue infinite declinazioni. Monza, anticipando il ruolo che avrebbe avuto nei decenni successivi quale culla del made in Italy, ospitò negli anni ‘20 quattro biennali internazionali di arti decorative di successo, vera fucina di una produzione straordinaria. Siamo nell’art design, quel sottile territorio di confine che mescola l’originalità artistica di pezzi numerati (mai fatti in serie) alla sapienza artigiana nostrana: ne escono oggetti quali le ceramiche di Gio Ponti, le sculture di Adolfo Wildt, Arturo Martini o Sirio Tofanari, gli arredi del grande Portaluppi, le sete di Ravasi e Fortuny, gli arazzi di panno firmati da Depero. Ci si aggira per le sale dei Musei San Domenico e, davanti alle tele esposte, tra cui la splendida La sciarpa blu di Tamara de Lempicka o il raffinato Ritratto di Wally Toscanini per mano di Alberto Martini, ci si ricorda subito che quelli erano gli anni di Gabriele D’Annunzio, Eleonora Duse e di vere e proprie “divinità” d’Oltreoceano – come Rodolfo Valentino, Greta Garbo, Marlene Dietrich – e che quella era l’epoca fissata per sempre sulla pagina da Francis Scott Fitzgerald ne Il grande Gatsby. Per la prima volta in Italia una mostra indaga la complessità di un decennio che mescola, sulle tele così come negli oggetti o negli arredi, il fascino per l’innovazione con il vagheggiamento esotico (l’arte cinese, l’Antico Egitto, il Giappone sono spesso fonte di ispirazione), il gusto per una bellezza raffinata con la ricerca dell’utilità e del comfort. Spesso, e a torto, le cosiddette arti decorative sono state ritenute secondarie rispetto alla pittura e alla scultura: questa rassegna pone invece la giusta attenzione sul livello qualitativo, la fattura e l’originalità di quello che oggi chiameremmo “design”.

Le ceramiche di Galileo Chini sono, per vivacità di colori e dura del dettaglio, preziose come le sue tele, Fortunato Depero realizza tessuti, tappeti e manifesti pubblicitari di rara eleganza (e modernità) per non parlare della produzione che la Richard-Ginori affida al genio creativo di Gio Ponti, a testimonianza di quanto anche con un materiale così apparentemente tradizionale quale la ceramica sia possibile innovare. Gli artisti non sono indifferenti dalla vivacità di quel periodo: in mostra una galleria di tele firmate da Severini, Casorati, Martini, Cagnaccio di San Pietro, Bonazza, Bucci e molti altri testimonia quanto anche la pittura abbia subito il fascino Déco. Formidabili, quegli anni.