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Sostenibilità

Speranza tra le favelas

La onlus Casa do Menor offre dal 1986 rifugio e assistenza ai ragazzi di strada brasiliani, ma il cammino da percorrere è ancora lungo e le risorse insufficienti, nonostante lo sviluppo economico degli ultimi anni. Come racconta il fondatore, Padre Renato Chiera

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Il Brasile con il quale si confronta da ormai 36 anni Padre Renato Chiera è quello povero e disperato dei bambini e degli adolescenti che vivono per la strada, immersi in una realtà intrisa di violenza, sfruttamento e degrado. Il prodigioso sviluppo economico degli ultimi dieci anni non ha offerto loro alcuna occasione di riscatto. Anzi, la loro condizione è andata ulteriormente peggiorando dopo che, per evitare che potessero offuscare l’immagine del Paese, in previsione dei Mondiali di calcio, sono stati cacciati dalle città e costretti a rifugiarsi nelle favelas, diventando preda dei narcos che li sfruttano come manodopera. «Per dei ragazzi che hanno conosciuto soltanto abbandono e indifferenza», spiega Padre Renato, «anche entrare a far parte di un commando del narcotraffico è un modo per trovare un’appartenenza e acquistare finalmente visibilità. Purtroppo, quella del ragazzo di strada che sniffa la colla e sopravvive rubacchiando qua e là è ormai un’immagine quasi romantica. La realtà attuale è che spesso già a dieci anni girano armati, fanno abitualmente uso di droga e ammazzano o vengono uccisi in omaggio alle leggi del narcotraffico. Ancora peggiore è la condizione di chi va a finire in una delle tante “cracolandia” che stanno sorgendo intorno alle grandi città. Qui i ragazzi fumano il crack aspettando di morire». L’osservatorio da cui parla Padre Renato è quello privilegiato di Casa do Menor, l’organizzazione che ha creato nel 1986 proprio per offrire un rifugio e un’alternativa ai meninos de rua. La decisione di dedicare la propria vita a questi ragazzi nacque come reazione a due eventi sconvolgenti. «Nel 1983», ricorda, «gli squadroni della morte uccisero davanti alla mia porta Carlos, un diciassettenne che avevo accolto ferito e convinto a smettere di drogarsi e di rubare. Poco tempo dopo, una sera si presentò da me un ragazzo disperato perché aveva scoperto di essere in una lista di 40 condannati a morte dai narcos, che in quel mese avevano già ucciso 36 ragazzi della mia parrocchia. Gridava: «Qui nessuno fa niente» e io sentii che ero stanco di essere un “prete becchino” e che era ora di agire». Il primo passo fu quello di accogliere i bambini che andavano a dormire sulla soglia della casa parrocchiale, ma ben presto – grazie all’aiuto di alcuni benefattori – fu possibile aprire la Casa do Menor São Miguel Arcanjo. Oggi la onlus è una realtà articolata, che occupa circa 160 dipendenti e conta 78 edifici, tra case di prima accoglienza, case famiglia, asili, aule didattiche, laboratori, palestre, strutture per il tempo libero e il recupero dalla tossicodipendenza e ambulatori medici.

ATTIVITÀ

Tra le iniziative della onlus, case famiglia, asili, aule didattiche, laboratori, palestre, strutture per il tempo libero e il recupero dalla droga, e ambulatori medici

«Dobbiamo rispondere alle necessità di ragazzi che vanno da zero a 18 anni», spiega Padre Renato, «e che, in più, hanno problemi come la tossicodipendenza o sono traumatizzati dalle esperienze vissute. Cerchiamo di favorire il loro inserimento nel mondo del lavoro organizzando vari corsi di formazione – per esempio, informatica, falegnameria, meccanica, panetteria e pasticceria, ma anche corsi per elettricisti, parrucchieri ed estetiste – in modo da metterli nelle migliori con-dizioni per trarre vantaggio dalla legge “Adolescente Aprendiz”, che vincola le aziende ad assumere minori per almeno il 6% della propria forza lavoro». L’attività formativa è estesa anche alle famiglie dei ragazzi delle Case do Menor. L’idea è quella di offrire a quelle interessate l’opportunità di riaccogliere il proprio bambino trovando un buon lavoro. A sostenere le attività della Casa do Menor sono essenzialmente le donazioni provenienti dall’Europa che, però, sono in forte calo per effetto della perdurante crisi economica. Padre Renato non nasconde le difficoltà a reperire maggiori fondi in Brasile: «In teoria il governo brasiliano ci riconosce circa 400 real all’anno per ogni bambino. La cifra è già insufficiente a coprire i costi di mantenimento effettivi che, in media, ammontano a circa 1.500 real, ma il vero problema è che molto spesso questi soldi non arrivano. Stiamo cercando di costruire una rete sociale di supporto, ma con scarsi risultati. La nostra sfida è riuscire a promuovere un cambio di mentalità e far capire che non soltanto questi ragazzi sono recuperabili, ma anche che questa è la sola risposta in grado di contrastare l’escalation di violenza che tanto allarma i brasiliani».

IN LIBRERIA

Padre Renato Chiera è tornato in Italia per promuovere il suo ultimo libro Dall’inferno un grido per amore, nel quale narra la sua esperienza di prete di strada tra gli schiavi del crack. Racconta la discesa agli inferi della “cracolandia”, ma dimostra che anche in questi “cimiteri di vivi” è possibile offrire una speranza. I proventi delle vendite verranno interamente devoluti a favore della Casa do Menor. Le altre forme di autofinanziamento della onlus sono le adozioni a distanza, il 5 per mille e l’organizzazione di eventi