Italia: un’eccellenza di sostenibilità

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Sarà perché, come sostiene da vent’anni l’economista climatico Jeremy Rifkin, l’Italia è l’Arabia Saudita delle rinnovabili, ma quando si parla di svolta green, i rapporti di forza europei si invertono e a salire in cattedra è il Belpaese. Non si parla solo di primati consolidati nel riciclo dei rifiuti o nel biologico: il “miracolo” italiano è fatto di molti capitoli.

Energia pulita e packaging sostenibile: primati italiani

Un buon punto di partenza è il settore energetico. Italiana per esempio è l’idea stessa di bioraffineria. Fu dell’Eni, che nel 2014 trasformò il petrolchimico di Porto Marghera in un impianto capace di produrre combustibili di alta qualità ma non inquinanti, a partire da oli vegetali, grassi di frittura o animali e sottoprodotti di scarto, per poi replicare l’esperimento a Gela. Italiana è anche la leadership nel campo dell’energia pulita, appannaggio di Enel Green Power, costola dell’altro colosso di stato in campo energetico, con 1.200 impianti in 27 Paesi al servizio di 200 milioni di famiglie. Passando dalla produzione di energia elettrica alla sua distribuzione, Terna lo scorso dicembre ha lanciato Equigy, la piattaforma di Eot. L’acronimo sta per Energy of Things  e a essere connessi sono i device che consumano o producono energia, dalle auto elettriche agli impianti fotovoltaici, passando per climatizzatori e piani cottura a induzione, per avere una produzione energetica più razionale, tarata sul fabbisogno reale e con gli utenti incoraggiati ad investire nell’autosufficienza energetica e a ridistribuire l’output in eccesso. Questi gruppi sono tra le 33 società, sulle 231 quotate, che – dati Consob – hanno scelto di collegare la parte variabile della retribuzione del management a obiettivi green, collegandole cioè a parametri Esg. Di queste 33,14 sono a controllo pubblico.

C’è lo zampino dello Stato, attraverso l’Enea, anche in un altro primato italiano, quello del packaging green , mercato con tassi di crescita vertiginosi. Su questo fronte, l’ente di ricerca statale ha prodotto biopellicole “intelligenti”, biodegradibili e compostabili, che allungano la durata degli alimenti e ne segnalano il deterioramento cambiando colore. Italiano il brevetto del Mater-Bi, il polimero antidoto alla plastica. È di Catia Bastioli, a.d. di Novamont (e presidente di Terna, ndr ). Lo scorso giugno, l’azienda ha presentato una nuova pellicola per il confezionamento di snack, pasta, biscotti e merendine, frutto di una ricerca condotta con alcune società italiane, tra le quali c’è la Colussi, che ha iniziato a utilizzare il materiale su alcuni prodotti Misura, con un risparmio di plastica del 52%. Bioplastiche, polimeri a base vegetale che non hanno residui chimici e stanno rivoluzionando il food packaging , con zuppe e insalate già pronte o formaggi commercializzati da aziende come Fattoria Scaldasole, Fruttagel o Nonno Nanni che hanno lanciato linee di prodotti in imballaggi biodegradabili e compostabili. Sono ormai compostabili anche le cialde del caffè: il primo brevetto italiano è stato depositato dalla Lavazza nel 2015 ed erano fatte in Mater-Bi.

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Italia: la svolta green di agroalimentare, edilizia e tessile

In generale, la filiera dell’agroalimentare sta diventando circolare dalla coltivazione, con fattorie che raccolgono l’organico animale e vegetale e ne fanno concime e biogas in base ai dettami dell’agro-energetica, fino al post-consumo, con piatti e contenitori che si biodegradano in 30 giorni o sono addirittura edibili, fatti di pane ma resistenti al calore delle minestre e anche a quello del microonde, come anche le posate. È il caso di Pappami, prodotto dell’azienda Trentuno.

Grandi novità si sono registrate anche nel campo dell’edilizia e soprattutto quello dell’efficientamento energetico in ambito edile, settore che negli ultimi dieci anni ha attirato investimenti per 293 miliardi di euro. E il risultato sono progetti come UpTown Milano, lo smart district realizzato con la collaborazione dello Us Green Building Council, ente che possiede i protocolli Leed (Leadership in Energy and Enviromental Design ), con appartamenti di classe A e A+, illuminazione pubblica a led alimentata da pannelli fotovoltaici, teleriscaldamento e una rete geotermica per il raffreddamento. Pochi chilometri più a est c’è Bergamo, dove Marlegno, in collaborazione con la startup Iotty, sta realizzando uno dei bio-quartieri più grandi d’Europa, con case prodotte con legname certificato e garanzia di rimboschimento. Il valore aggiunto però è il cosiddetto Cognitive Building , tecnologia che grazie all’uso combinato di A.I., IoT e una rete di sensori, consente di monitorare anomalie della struttura, consumi e permette agli ambienti di regolare temperatura e umidità in base al numero di persone presenti.

APPROFONDIMENTI

Molte innovazioni arrivano poi dal tessile, un’industria inquinante e che consuma molte risorse: per produrre una t-shirt di cotone servono 2.700 litri d’acqua. Molti brand italiani si stanno spendendo perché diventi circolare. Prada, per esempio, nel 2019 ha cominciato a usare l’Econyl, un tessuto da plastica pescata negli oceani che possiede le stesse caratteristiche del vero nylon. Da una collezione capsule di borse lanciata nel 2019, si è passati alla linea d’abbigliamento principale nel 2020. Poi ci sono Ferragamo, che dal 2017 collabora con l’italiana Orange Fiber per usare una similseta ricavata dagli agrumi e Max Mara con l’esperimento CameLux, che prevede l’utilizzo degli scarti industriali di lavorazione della lana di cammello per ottenere fibre altamente isolanti. La carica di innovazione sale tra brand più giovani, come Repetita, produzione totalmente made in Italy che impiega polietilene tereftalato per ottenere una fibra che ha le stesse caratteristiche di quelle sintetiche in termini di traspirabilità e capacità termo-regolatoria. O come Fiscatech, che impiega materie prime provenienti da fonti rinnovabili, utilizza il riciclo per i capi sintetici e soprattutto è solvent free . Ma l’elenco è sterminato.

A voler cercare una morale della storia, si evince che per le loro caratteristiche di fondo, le imprese italiane sono quelle meglio posizionate per operare una svolta green, ma sono soprattutto quelle che hanno più da guadagnarne. E, infatti, sono tra le prime a essersi mosse anche in mancanza di una regia. Quello che vale per il comparto moda, dove l’abbandono del fast fashion , altamente inquinante, non può che far la gioia di brand il cui punto di forza non è mai stata la manodopera a basso costo, è estendibile ad altri settori. Il made in Italy ha tutte le carte per dimostrare che sostenibilità fa rima con qualità.

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Articolo pubblicato su Business People, gennaio-febbraio 2021